La progressiva riduzione delle possibilità di crescita economica e i continui disastri politici dei governi alimentano nei giovani una sostanziale sfiducia nelle istituzioni e nei confronti del futuro.
di Angelo Caputo e Silvia Simbolotti
I giovani attualmente costituiscono il punto di osservazione privilegiato dei ricercatori sociali. Non è da molto tempo, però, che nel nostro paese viene prestata la giusta attenzione alle loro aspettative e potenzialità, non solo ai fini di una eventuale crescita individuale, ma anche in relazione alla società nel suo insieme. Fino ad oggi, infatti, gli studiosi consideravano prioritario il tema degli anziani, probabilmente perché pressati dagli squilibri provocati dal rapido incremento dell’età media della popolazione. Del resto, anche i costi sociali per l’erogazione delle pensioni sono maggiori rispetto a quanto lo Stato investe nella formazione, nella ricerca e nelle politiche giovanili. Tanto più che la regressione dei diritti dei lavoratori, soprattutto per i nuovi assunti con i contratti a tutela crescente a causa dell’introduzione del jobs act, mostra quanta poca attenzione il governo rivolge alle future generazioni.
La progressiva riduzione delle possibilità di crescita economica e i continui disastri politici dei governi alimentano nei giovani una sostanziale sfiducia nelle istituzioni e nei confronti del futuro. Nel presente articolo si intendono valorizzare le nuove generazioni e indagare i loro tassi di fiducia, o meglio di sfiducia, nelle istituzioni. I dati raccolti evidenziano l’esistenza di un quadro di valori non troppo distante da quello che era già emerso da indagini precedenti anche di carattere nazionale, in cui i giovani italiani hanno mostrato una significativa diffidenza verso le istituzioni democratiche.
Le nuove generazioni italiane sono una categoria che in questo momento storico tende alla frammentazione e all’adeguamento pedissequo alla situazione esistente, ovvero all’accettazione degli escamotage proposti dalle istituzioni per non affrontare le problematiche socio-economiche reali. Il disorientamento e la scarsa coscienza sociale che pervade una parte consistente della popolazione giovanile, ne è una preoccupante conseguenza. Tali difficoltà delle attuali giovani generazioni, aggravate dalla disattenzione delle istituzioni, porta spesso i ragazzi a ripiegare sulla dimensione privata e ad allontanarsi progressivamente dall’attività politica nel senso ampio del termine.
Si viene a creare un conflitto latente fra gli interessi, le aspirazioni dei giovani e le presenti istituzioni sociali. Tale conflitto latente potrebbe divenire esplosivo a causa della disoccupazione giovanile e della precarizzazione del lavoro. Tanto più che il valore attribuito alle istituzioni è un elemento fondamentale dei sistemi democratici; le istituzioni, infatti, stabiliscono un legame simbolico tra i cittadini e il sistema politico di riferimento. Del resto gli italiani, almeno dal secondo dopoguerra, si sono sempre distinti per un sostanziale discredito nei confronti delle istituzioni però, a differenza di oggi, negli anni passati tale atteggiamento era accompagnato da una forte attività politica e una propulsione alla ricerca di nuove idee.
A partire dallo scandalo di Tangentopoli la sfiducia dei cittadini e, in particolare delle giovani generazioni, nelle istituzioni è ulteriormente aumentata. Dopo la fine delle “Prima Repubblica”, e con l’attuale crisi economica, che ha prodotto un significativo peggioramento delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione, il decifit di legittimità dello Stato si è amplificato.
Dall’analisi delle ultime inchieste sociali, è interessante notare che l’opinione pubblica, e in particolare la sua componente giovanile, è molto critica anche nei confronti delle istituzioni locali, quali i municipi, le province e le regioni. Sebbene in misura minore, emerge la diffidenza anche verso la Chiesa e le forze dell'ordine, mentre nonostante i costanti attacchi della classe dirigente la magistratura mostra dati in controtendenza. Il picco della diffidenza si manifesta nei confronti di tutte quelle istituzioni riconosciute dalla Costituzione quali strumenti di rappresentanza dei cittadini: i partiti politici e i sindacati, che dovrebbe contribuire allo sviluppo democratico del Paese, registrano il più ampio discredito.
Da ciò emerge che, allo stato attuale, non esistono in Italia organizzazioni politiche che rappresentino adeguatamente gli interessi della maggioranza dei giovani italiani. La precedente generazione non è stata evidentemente in grado di mantenere elevata l’affidabilità dei partiti politici in modo da coinvolgere nelle loro attività le giovani generazioni nel rispetto dell’art. 49 della Costituzione [1].
Ne deriva, almeno sulla base della nota definizione aristotelica dell’uomo [2], una paradossale situazione: l'uomo è un animale politico che attualmente svolge in modo inconsapevole l’attività specifica del proprio genere. Ma quel che appare preoccupante non è tanto la sfiducia diffusa nei confronti della politica, quanto l’assenza stessa di ideali e valori politici: è come se l’attività politica non fosse più considerata espressione di idee e di impegno civile e sociale, ma solo difesa di interessi personali e di specifiche lobby.
La mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni, a nostro avviso, deve essere ricondotta al bipolarismo imposto artificialmente dalle classi dominanti, che non permette di comprendere più la tradizionale dicotomia fra politiche di sinistra e politiche di destra: i due poli tendono a condividere gli stessi obiettivi. E in questo specifico momento di crisi economica le stesse istituzioni democratiche non appaiono in grado di favorire la soluzione dei problemi sociali; ciò favorisce la crescente invocazione di una soluzione cesarista, non più percepita come un pericolo, ma come una necessaria risposta alla tragica situazione che viviamo.
D’altra parte, la maggioranza dei giovani sembra nutrire una certa stima per le associazioni ambientalistiche, le associazioni dedite al volontariato e, anche se in misura minore, per i comitati di quartiere. Tuttavia ciò non si traduce nella maggioranza dei casi in una disponibilità a partecipare in modo attivo e diretto a tali associazioni e comitati. Il che sembra dimostrare una passiva adesione a ciò che è considerato favorevolmente dal senso comune dominante, senza che questo comporti un impegno concreto in prima persona, e sembra pure confermare la carenza di coscienza sociale nelle giovani generazioni. Quindi la scarsa partecipazione politica è resa ancora più allarmante dalla altrettanto scarso impegno sociale.
Tale allarmante situazione, può essere ricondotta alle seguenti cause:
- L’attività politica non è più percepita dai giovani come uno strumento decisivo per contribuire a migliorare la situazione propria dello Stato e della società civile, o la loro trasformazione radicale. Questa situazione, che potrebbe essere indicatrice di una crescente deresponsabilizzazione delle nuove generazioni, sempre più scettiche sulle loro possibilità e capacità di partecipare attivamente allo sviluppo della società, è in linea con il livello di sfiducia manifestato nei confronti dei partiti e dello scarso interesse alla partecipazione alle loro attività.
- I partiti sembrano non essere capaci di conquistare la fiducia delle giovani generazioni; essi manifestano una malsana tendenza alla difesa dei privilegi della “casta” e una smaccata demagogia.
- La crescente sfiducia della maggioranza dei giovani in tutte le istituzioni rappresentative, e negli organismi dello Stato volti a preservare l’ordine costituito esistente.
- La mancanza di un ideale, di una ideologia volta a trasformare l’esistente porta le giovani generazioni a una soluzione di tipo «catastrofico, poiché determina scatenamenti morbosi di passionalità repressa», che oggi si traduce in diversi giovani nello sfoggio di comportamenti “devianti” e spesso irrazionali, come dimostra, ad esempio, il numero elevato di ragazzi che fa ricorso a sostanze stupefacenti.
Altrettanto allarmante appare, in conclusione, la crescita in molti paesi europei dei partiti di destra, radicale o estrema, che godano oggi di consensi impensabili sino a pochi anni fa, grazie all’islamofobia e alla xenofobia ampiamente diffusa e indotta dai grandi mezzi di comunicazione sino a divenire senso comune dominante. Tanto più che, i gruppi politici dominanti non appaiono in grado di proporre una soluzione politica della crisi e non favoriscono il progresso e il benessere, ma sembrano contribuire ad accrescere l’oppressione delle classi subalterne [3].
A tale proposito è certamente utile tornare a riflettere su questo significativo brano di Antonio Gramsci [4]:
In ogni momento della storia, non solo l’ideale morale, ma il «tipo» di cittadino fissato dal diritto pubblico è superiore alla media degli uomini viventi in un determinato Stato. Questo distacco diviene molto più pronunziato nei momenti di crisi,(…) sia perché il livello di «moralità» si abbassi, sia perché più in alto si ponga la meta da raggiungere e che viene espressa in una nuova legge e in una nuova moralità. Nell’un caso e nell’altro la coercizione statale sugli individui aumenta, aumenta la pressione e il controllo di una parte sul tutto e del tutto su ogni suo componente molecolare. Molti risolvono la quistione facilmente: superano la contraddizione con lo scetticismo volgare. Altri si attengono esteriormente alla lettera delle leggi. Ma per molti la quistione non si risolve che in modo catastrofico, poiché determina scatenamenti morbosi di passionalità repressa, che la necessaria «ipocrisia» sociale (cioè l’attenersi alla fredda lettera della legge) non fa che approfondire e intorbidare.
Note
[1] «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».
[2] «Per natura l’uomo è un essere politico» (Etica Nicomachea, I, 1097b); «L'uomo infatti è un essere politico e portato naturalmente alla vita in società» (Etica Nicomachea, IX, 1169).
[3] Anche se tali forze reazionarie, a differenza di quanto è avvenuto dopo la crisi del 1929, oggi non hanno sfondato in quasi nessun paese europeo. Su queste tematiche cfr. Renato Caputo, La resistibile ascesa della destra reazionaria in Europa, in “Marxismo oggi”, XXIV, n. 1-2, La città del sole, Napoli 2011, pp. 145-67.
[4] Antonio Gramsci lettera a Tatiana Schucht del 7 marzo 1932, in Id., Lettere. 1926-1935, Einaudi, Torino, 1997, p. 940.