I servizi sociali e i lavoratori che vi operano rischiano di diventare le vittime innocenti della campagna mediatica su “Mafia Capitale”.
L’inchiesta cosiddetta “Mafia Capitale” rivela ogni giorno di più un sistema criminale ramificato e radicato per accaparrarsi appalti e bandi, pilotare progetti e lucrare sul disagio sociale.
E tuttavia i networks del circo mediatico sembrano più intenzionati a vendere i propri prodotti informativi che a fare giornalismo d'inchiesta, andando all'origine dei processi della corruzione e del malaffare, alimentando quell’humus di rabbia sociale che ribolle diffusamente da nord a sud, in un paese attanagliato da una crisi di cui non si intravedono vie d'uscita. È più facile quindi giocarsi la carta del sensazionalismo giornalistico, veleggiando nei mari populisti dove si pesca con poca fatica il (finto) colpevole di turno. E’ più facile dire che “le case non ci sono perchè le occupano i rom” o che “il lavoro ce lo rubano gli immigrati” piuttosto che denunciare un sistema economico in crisi basato sulla garanzia dei profitti e della rendita ai privati in cui “la casa ce l’ha solo chi se la può permettere” e “un lavoro lo vedrà solo chi è fortunato e disposto a farsi schiavizzare in nome del profitto”.
E così dentro questo calderone di Mafia Capitale stanno precipitando due vittime innocenti: i servizi sociali e i lavoratori e le lavoratrici che vi operano. Non solo quelli delle cooperative e associazioni che vedono dei propri dirigenti coinvolti nell’inchiesta, ma anche tutti gli altri del settore. Si sta infatti progressivamente insinuando nel senso comune l'opinione che i soldi spesi dal pubblico per questi servizi siano nella migliore delle ipotesi uno spreco e, nella peggiore, servano a sovvenzionare clientele e malaffare.
Il sistema delle cooperative è stato usato spesso per dismettere pezzi di welfare e si è rivelato in molti casi un sistema più “privato” che “sociale”, ma questo ritornello mediatico fa carne da macello di tutti, anche di chi lavora con dedizione in condizioni di estrema precarietà per garantire quei servizi minimi degni di una società “civile” e finisce con l'essere messo sullo stesso piano di chi, in questi anni, ha arraffato in modo illecito soldi pubblici con appalti milionari nella gestione dei campi rom regolari e dei centri di accoglienza per immigrati per ottenere finte vigilanze, installazione di telecamere, affidamenti in “emergenza” e quindi senza bando pubblico e così via (vedi Croce Rossa e Risorse per Roma spa!). E così non c’è nessuna distinzione tra quella parte dell’associazionismo mutualistico ed i suoi lavoratori che garantiscono i servizi essenziali che il pubblico non gestisce e quei vertici delle cooperative e imprese che si sono accaparrate illecitamente fette di denaro pubblico e che spesso utilizzano a man bassa lavoro precario e sottopagato. I lavoratori delle cooperative sono quindi – per dir così – “cornuti e mazziati”.
Il modello di Città che sta mostrando il suo volto più bestiale è quello basato sulla logica del profitto che prevale su tutto, del “governismo” decisionista che lo deve garantire, della cultura a pagamento, dei tagli della spending review e del patto, sempre rinnovato, degli Enti Locali con i palazzinari e con i consigli di amministrazione spregiudicati di imprese sociali e non.
A parte la sua variante più regressiva con la passata amministrazione di centrodestra, questo modello si è alimentato anche con le amministrazioni di centrosinistra che hanno cercato il sostegno dei poteri forti del capitalismo offrendo in cambio la flessibilità e la precarietà nel lavoro e il sostegno alla rendita e alla speculazione.
Dietro questo tentativo di cavalcare una “tangentopoli all’amatriciana” non si può non notare un fetore di iper-liberismo finalizzato ad azzerare gli investimenti pubblici e a lasciare anche i servizi in mano al “libero mercato”. Odore ancora più nauseante quando queste teorie, ammantate di un apparente “progressismo” liberista, vengono rilanciate anche da onlus finanziate da fondazioni private (per di più molto discutibili) che si scagliano contro tutti i servizi sociali e le tutte spese pubbliche, indiscriminatamente.
E allora dentro questo calderone della “Terra di Mezzo” chi difende gli abitanti della “Terra di Sotto”?
Chi prenderà le difese delle migliaia di operatori e operatrici che lavorano in questi settori?
Chi tutelerà le lotte contro le privatizzazioni e per i beni comuni della parte sana di questo settore?
Chi ne farà una battaglia per il controllo collettivo della cosa pubblica?
Noi, nel nostro piccolo, accanto alla doverosa denuncia del sistema economico criminale di fasciomafia, cercheremo in questi giorni di dare voce anche a questa parte che rappresenta il lavoro degli operatori del settore e la lotta contro la privatizzazione e cancellazione dei servizi sociali essenziali.