Il progetto del governo, che prevede l’integrazione tra asilo nido e scuola dell’infanzia, costituisce l’alibi di cui ha bisogno il MIUR per ricorrere all’intervento dei privati, vista la probabile impossibilità da parte dello Stato di gestire un così vasto bacino d’utenza.
di Antonia Sani
Stabilire la non automatica “integrazione” tra Asilo Nido (oggi servizio socio-educativo a domanda individuale) e Scuola dell’Infanzia (riconosciuta dallo Stato con legge 444/68 come diritto al primo livello di accesso all’istruzione) pare impresa ardua, a giudicare dal progetto 0-6 anni che andrà a riempire una delle deleghe in bianco concesse al Governo dalla legge 107. Questo, nonostante la Legge 444 /68 abbia stabilito che “Il diritto allo studio comincia a 3 anni” (e non all’atto della nascita).
La differenza tra educazione e istruzione non significa che il Nido comunale debba continuare a essere definito “servizio socio-educativo a domanda individuale”, ma nemmeno che il riconoscimento del diritto al Nido come servizio educativo debba rientrare nelle dirette competenze del MIUR.! Statalizzare per questa via l’istituzione del Nido, confondendola con la garanzia del rispetto del diritto allo studio nella Scuola dell’Infanzia cui lo Stato è tenuto, significherebbe precostituire l’alibi per il MIUR di non essere in grado di gestire un così vasto bacino di utenza, e quindi la necessità di ricorrere all’intervento dei privati nei Nidi come nella Materna costringendo i genitori a subire un’offerta non consona ai propri principi in quella che è a tutti gli effetti “scuola”, sia pure per ora non obbligatoria.
La cesura tra i primi tre anni di vita e il successivo triennio è consacrata sia nei testi di pedagogia della prima infanzia che negli ordinamenti vigenti nel nostro paese. Il piano quinquennale di istituzione dei Nidi comunali( Legge 1044/71), finanziato dallo Stato con la collaborazione dei Comuni per 16 miliardi di lire nel 1975, fu la prima consapevole risposta pubblica a tenere in considerazione i bisogni espressi dalle madri lavoratrici del territorio, ma soprattutto interventi educativi di qualità , soluzioni edilizie progettate per il benessere dei piccolissimi, in stretto contatto con la comunità locale.
Prima degli anni ’70, l’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia) contava su tutto il territorio romano 30 Asili! Le famiglie, allora più raramente mononucleari, erano più inclini ad affidare la prole nei primi mesi di vita alla parentela domestica. Fu la Giunta Argan, la prima Giunta di Sinistra del Comune di Roma, ad avviare nel 1975 un colossale progetto: 110 Nidi pensati esclusivamente per accogliere bimbi e bimbe dalla nascita ai 3 anni.
In quegli stessi anni sorsero Asili Nido in molte località, soprattutto nel Nord Italia; strutture autonome rispetto alle Scuole Materne.
La contiguità Nido-Scuola Materna era una rara circostanza, quasi esclusivamente presente presso istituti privati religiosi, dove lo 0-6 era dovuto a un effetto di trascinamento, in un’ottica di agevolazione delle famiglie frequentanti…
Diversa dagli asili della prima infanzia era infatti la condizione delle Scuole Materne, anch’esse comunali ma percepite come “scuola” (benché volgarmente chiamate “asili”) assai prima che con la cit. legge 444/68 venisse stabilito per la prima volta in Italia il principio del dovere dello Stato di istituire scuole materne (che presero in seguito il nome di Scuole dell’Infanzia ).
Esse rientravano in base all’art.33 /Cost nei diritti di Enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione... “senza oneri per lo Stato” (Ma il Comune come Ente Locale usufruiva dei finanziamenti dello Stato…, e così pure i privati…).
Che la Scuola Materna fosse considerata “scuola”, sia pure con caratteri particolari, lo rileviamo nella Legge 1073 del 1962 “Provvedimenti e sviluppo della scuola. Incremento e proroga dei programmi di edilizia scolastica nel triennio 62-65”, dove all’art.1,3 alla voce “contributi per le scuole degli altri tipi”, si legge “ comprese le scuole materne”.
Quanto i Comuni, in particolare nel Nord Italia -e segnatamente quelli retti da Giunte di Sinistra- avessero a cuore le proprie scuole risulta dagli animati contrasti che seguirono la nascita delle sezioni di scuola dell’Infanzia statale. Nel corso di un Convegno promosso a Modena nel 1973 dalla Lega per le Autonomie e i Poteri locali e dall’UDI col titolo “Il diritto allo studio comincia a 3 anni” si confrontarono amministratori locali, responsabili politici, pedagogisti su un punto dirimente, che era stato la ragione del convegno: “la meschinità della distinzione operata dalla legge in due tipi di scuola pubblica per l’infanzia: quella statale e quella comunale.”
Negli interventi furono soprattutto stigmatizzati i mancati trasferimenti di poteri alle Regioni (istituite da 3 anni) per far fronte ai loro compiti costituzionali a sostegno dei Comuni, e la tendenza – al contrario – a operare un decentramento burocratico col trasferimento di maggiori poteri a Prefetti, Provveditori, Sovrintendenti Scolastici etc..
Anziché chiudersi nell’esclusiva istituzione della Scuola dell’Infanzia statale, la legge 444 avrebbe dovuto prevedere una collaborazione con la Scuola comunale – veniva ripetuto – ricca di un patrimonio di esperienze apprezzato in tutta Europa. Essa invece “– grazie ai ministri democristiani succeduti nel dicastero della P.I. – venne interpretata in due direzioni precise: non dare respiro e sostegno finanziario ai Comuni; fare un’espansione assai limitata della scuola materna statale, non aprendo sezioni di scuola materna statale laddove ci fosse una scuola materna purchessia, anche inefficace e sovraffollata: per non creare una situazione concorrenziale nei confronti della scuola privata, che di fatto significa scuola confessionale..”.
Il convegno si concluse con alcune proposte di legge - alternative alla Scuola dell’Infanzia statale - che avevano come denominatore comune l’istituzione di “Scuole pubbliche per l’Infanzia” da parte di un Comune o di più Comuni associati, aperte a tutti gli aventi diritto, con gestione sociale, trattamento economico delle insegnanti uguale a quello degli insegnanti della scuola elementare statale, programmi ispirati alle esperienze che avevano reso famose le scuole materne comunali , ma anche a libere acquisizioni dagli Orientamenti Pedagogici del 1969.
La disputa durò nel tempo. Molto spesso sezioni di scuola dell’Infanzia statale e comunale convivono in un unico plesso dove si trova la Scuola primaria statale. Diversi i finanziamenti, diverse le disposizioni. I genitori non capiscono la differenza….
Di fronte all’avanzare di un unico segmento 0-6 “stop alla separazione tra Nidi e Scuole d’Infanzia”, e alla proposta di una sinergia tra Nidi- scuole materne pubbliche e private, anche la nostra preoccupazione avanza.
Consideriamo i Nidi un segmento a sé, come sempre è stato. E’ importante per essi la dimensione comunale, e da quella dimensione non ci si dovrebbe scostare, fatto salvo l’intervento dello Stato laddove il Comune non sia in grado di garantire il riconoscimento del diritto a un servizio che dovrebbe divenire non più a domanda individuale.
Altra riflessione va fatta per la Scuola dell’Infanzia. Il suo essere divenuta “scuola” non può consentire allo Stato di esimersi dal consentire a tutti e a tutte una frequenza, che anche se non obbligatoria costituisce un diritto. Questo diritto deve poter essere esercitato con pari opportunità su tutto il territorio nazionale.
Non è tollerabile, trattandosi di “scuola”, la differenza di situazioni tra un Comune e l’altro con penalizzazione dei bambini e dei loro genitori, spesso costretti a rivolgersi a scuole private , di tendenza, con buona pace di quella laicità che la Scuola della Repubblica deve garantire in ogni suo segmento.
L’annosa rivalità tra scuola materna statale e comunale non ha oggi più ragione d’essere. I programmi, sulla base degli Orientamenti del 1991, sono un terreno comune.
E’ tempo che il doppio canale venga superato, con un necessario capovolgimento rispetto alle istanze degli anni ’70, che la natura di “Scuola”, pur con le sue specificità per bambini 3-6 anni, richiede.
La scuola pubblica, anche se Scuola dell’Infanzia, per sua natura non può che essere statale, come gli altri ordini di scuola, laica, pluralista. Il personale deve entrare a far parte dei ruoli dello Stato. (una petizione in tal senso sta girando). Alle Regioni vanno riconosciute funzioni di programmazione, relative alle diverse realtà socio-economiche dei territori, e ai Comuni la gestione dei servizi.
Se tutto questo si realizzasse, sarebbero rispettate distinzioni insopprimibili.
E si libererebbero risorse da destinare ai Nidi comunali!!