Sorta dalle ideologie marxiste e socialiste, dalle lotte decennali per il suffragio universale e dall’attivismo politico dei movimenti delle lavoratrici e dei lavoratori agli inizi del XX secolo in Europa e in nord America, la Giornata Internazionale delle Donne è stata designata e promossa a livello internazionale dall’Onu a partire dal 1975 per segnalare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono tuttora oggetto in tutte le parti del mondo.
Il tema dettato dall’Onu per l’8 marzo 2018 ha un profilo eminentemente economico e sociale: “Le donne in un mondo del lavoro in evoluzione: verso un pianeta 50-50 nel 2030”.
Questo obiettivo paritario nell’ambito economico mira a promuovere il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile relativi all’uguaglianza dei diritti di genere e all’empowerment delle donne e delle ragazze attraverso l’accesso globale alla formazione di qualità e all’apprendimento continuo. Per parte sua la dinamica femminista internazionale #MeToo ha avuto il merito di rilanciare quest’anno in tutto il mondo l’allarme sulle violenze e sulle molestie sessuali alle donne negli ambienti di lavoro e ovunque le donne producono valore economico, evidenziando il carattere strutturale e diffuso di questi soprusi e reati che moltissime regolarmente sono costrette a subire nelle società ricche come in quelle più povere e arretrate e che costituiscono anche una evidente discriminazione di genere, come incontestabilmente dimostrano le statistiche.
L’allarme lanciato negli Usa dalle donne dello Star System Hollywoodiano è divenuto virale sui social ed è poi stato rilanciato in tantissimi Paesi dai movimenti femministi - tra cui Non Una Di Meno – e da varie categorie professionali di donne che godono di maggiore visibilità mediatica e audience e anche in Italia ha generato un dibattito pubblico serrato e ha convinto molte di ogni età e condizione socio-economica a trovare nella dinamica collettiva il coraggio di prendere parola per raccontare e denunciare almeno sui social le molestie e le violenze sessuali subite nel contesto del lavoro utilizzando l’hashtag #MeToo: #Anche a me è successo! A lanciarlo negli USA era stata l’attrice Alyssa Milano – che in realtà aveva ripreso una frase, l’unica che l’attivista antiviolenza Tarana Burke alcuni anni prima era riuscita a rivolgere a una ragazzina che aveva subito violenza, per consolarla: “Anche a me è successo”. Alla fine del 2017 negli USA le rivelazioni pubbliche sulla condotta sessuale del potentissimo produttore americano Harvey Weinstein – venute a galla grazie alle inchieste svolte dalle brave giornaliste investigative Jody Kantor e Megan Twohey del New York Times e dal reporter Ronan Farrow del New Yorker – avevano convinto sempre più attrici e collaboratrici a denunciare Weinstein per molestie e stupro: una condotta sessuale scorretta e criminale perpetrata per anni con la connivenza di funzionari e addetti della sua major americana di produzione cinematografica. Tra le attrici che lo hanno accusato anche le famose Gwyneth Paltrow, Ashley Judd, Jennifer Lawrence e Uma Thurman e la “nostra” Asia Argento, violentata da Weinstein a 21 anni.
Ma il livello di connivenza e protezione sociale fra uomini di potere negli Usa è andato oltre l’azienda Weinstein e un’altra attrice Rose McGowan che aveva postato dei tweet di denuncia contro Weinstein si è vista bloccare da Twitter l’account per diverse ore: ma lei è stata abile e ha rilanciato sulla concorrenza, pubblicando la sua denuncia su Instagram e alla fine Twitter ha dovuto ammettere che c’è poca trasparenza nelle policies del suo social. Ora, imputato per molestie e stupro da decine di donne, Weinstein è stato estromesso dalla sua azienda e abbandonato da tutto lo star system e dagli amici del partito democratico di cui era un grande finanziatore; in questa fase i Procuratori di New York stanno facendo causa alla società sostenendo che non è stata in grado di proteggere lo staff dal comportamento sessualmente predatorio del produttore cinematografico.
Nella causa legale si sostiene che qualsiasi vendita della società "deve garantire che le vittime siano indennizzate". La Weinstein company è infatti in trattative per essere venduta a un gruppo di investitori. L’Attorney general di New York, Eric Schneiderman, ha infatti dichiarato che "Né chi ha perpetrato né chi ha consentito si arricchirà ingiustamente da qualsiasi vendita dello studio cinematografico”. Nel frattempo un altro potente americano, Steve Wynn, imprenditore alberghiero e patron dei maggiori casinò di Las Vegas sembra finito anche lui nel mirino delle inchieste giornalistiche ed è accusato di una trentennale “sexual misconduct”.
Man mano che il fenomeno #MeToo si viralizzava a livello globale nei social, in Italia all’inizio dello scorso novembre il regista Giuseppe Tornatore è stato anch’egli accusato da Miriana Trevisan, con cui Asia Argento ha solidarizzato, mentre altre attrici dei film di Tornatore come Margherita Buy, Laura Chiatti, Margareth Madé, Claudia Gerini e Ksenia Rappoport lo hanno difeso.
“Questo è il tempo in cui noi abbiamo smesso di avere paura”: così si chiude la lettera manifesto “Dissenso comune” firmata da 124 tra attrici, registe, sceneggiatrici, produttrici, costumiste e scenografe – tante donne nei diversi campi dello spettacolo – per denunciare, anche a nome e per conto di tante altre donne più anonime e per “nominare la molestia sessuale come fenomeno sistemico e non come la patologia del singolo”. Un gesto collettivo agito consapevolmente non come donne vittime, ma come donne interessate a “riscrivere gli spazi di lavoro e per una società che rifletta un nuovo equilibrio tra uomini e donne”. Nel mese di febbraio un’analoga lettera e una presa di parola è venuta anche da un primo gruppo di giornaliste italiane, fra cui quelle dell’associazione GIULIA firmatarie di un documento che potrà essere sottoscritto da tante altre che operano nel mondo della informazione e comunicazione e dove viene denunciata prevaricazione, misoginia e sessismo. Da ultimo il fenomeno #MeToo planetario ha dato la stura anche a casi di denuncia in ambienti insospettabili: quelli della cooperazione internazionale e del terzo settore, lambendo Ong del calibro di Emergency – che ha però smentito categoricamente – e altre organizzazioni umanitarie impegnate in teatri di guerra critici come la Siria: la settimana scorsa la cooperatrice Danielle Spencer ha spiegato alla Bbc come alcune agenzie umanitarie stiano chiudendo un occhio sugli abusi perché costrette a servirsi di organizzazioni terze e funzionari locali per distribuire aiuti in zone pericolose della Siria dove lo staff internazionale non riesce ad avere accesso. Dunque cibo e aiuti umanitari in cambio di prestazioni sessuali: il solito stupro delle donne che accompagna sempre le guerre. Il fenomeno sarebbe così diffuso che molte donne per timore del ricatto sessuale si rifiutano di andare nei centri di distribuzione viveri. La piaga dello sfruttamento sessuale in cambio di aiuti era già stata denunciata dalla Spencer tre anni fa, dopo aver raccolto le accuse di donne siriane in un campo profughi in Giordania nel marzo del 2015: “Erano sconvolte. Gli aiuti venivano distribuiti in cambio di sesso”. Qualche mese dopo l’International Rescue Committee aveva denunciato che su 190 donne e ragazze a Daràa e Quneitra circa il 40% aveva subito violenza sessuale mentre cercavano di avere assistenza. Le denunce erano poi state presentate anche alle Agenzie Onu convocando i responsabili delle Ong internazionali in una riunione organizzata dall’Unfpa, lo United Nations Population Fund ad Amman il 15 luglio del 2015.
L’anno scorso l’Unfpa ha condotto una valutazione sulle violenze di genere in diverse province della Siria concludendo che l’assistenza umanitaria è stata offerta in cambio di prestazioni sessuali: il rapporto, intitolato Voci dalla Siria 2018, parla di “esempi di ragazze sposate a funzionari per un breve periodo per sesso per poter ricevere dei pasti” e della particolare vulnerabilità delle vedove e delle divorziate, che non sono protette da un uomo. L’Onu, interessata dal portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha parlato di informazioni insufficienti per adottare provvedimenti contro persone o organizzazioni singole accusate di sfruttamento sessuale delle donne in Siria. Tuttavia l’Unhcr ha commissionato una nuova inchiesta per avere maggiori informazioni e adottare misure di prevenzione e protocolli di segnalazione.
Il 13 febbraio di quest’anno Istat ha pubblicato dati recenti relativi al 2015 e 2016 che fotografano le molestie e i ricatti sessuali sul lavoro in Italia: se nel loro insieme i dati sulle molestie sessuali generiche sulle donne risultano in costante diminuzione dal 1997-1998 a oggi, (diminuiscono le vittime di esibizionismo, di telefonate oscene, di molestie fisiche e, anche se in misura minore, le vittime di pedinamenti e di molestie verbali), risultano invece stabili i ricatti sessuali sul lavoro.
Si stima che siano 8 milioni 816mila (il 43,6%) le donne fra i 14 e i 65 anni che nel corso della vita hanno subito qualche forma di molestia sessuale e si stima che siano 3 milioni 118mila le donne (15,4%) che le hanno subite negli ultimi tre anni. E per la prima volta Istat ha rilevato le molestie a sfondo sessuale anche ai danni degli uomini: si stima che 3 milioni 754mila uomini (il 18,8%), le abbiano subite nel corso della loro vita. 1 milione 274 mila negli ultimi tre anni (6,4%). Emerge anche che nel corso della vita 1 milione 173mila donne (7,5%) sono state vittima di ricatti sessuali sul luogo di lavoro per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere progressioni nella carriera.
Solo negli ultimi tre anni sono state 167mila le donne che in ufficio o in azienda hanno subito queste forme di ricatto (l'1,1%); al momento dell'assunzione ne sono state colpite più frequentemente le donne impiegate (37,6%) e le lavoratrici nel settore del commercio e dei servizi (30,4%). Lavorava o cercava lavoro nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche il 20% delle vittime e in quello del lavoro domestico (18,2%). Nell'11,3% dei casi le donne vittime hanno subito più ricatti dalla stessa persona e 1/3dei ricatti viene ripetuto quotidianamente o più volte alla settimana.
La grande maggioranza delle vittime (circa 70%) ritiene molto o abbastanza grave il ricatto subito. Nonostante questo, nell'81% dei casi, le vittime non ne hanno parlato con nessuno sul posto di lavoro. Ma quasi nessuna ha denunciato quanto accaduto alle forze dell'ordine.
Definizione e fattispecie giuridiche della Violenza sessuale e delle Molestie sessuali. Approfondimento giuridico
Violenza Sessuale (sexual assault)
È un delitto contro la persona, normato dall’Articolo 609 bis del Codice penale.
“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. In particolare se induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto”. Nel 1996 il legislatore italiano ha riformato con questo articolo la disciplina dei reati di violenza sessuale; precedentemente la legge intendeva tutelare prevalentemente il buon costume e la moralità pubblica. La norma attuale vuole invece tutelare massimamente la libertà sessuale della vittima. Pertanto, oggi nella nozione di atti sessuali non rientra più solamente la mera congiunzione carnale, ma anche gli “atti di libidine”, che erano un tempo sanzionati più lievemente. È indifferente il fine specifico dell’aggressore: l’atto sessuale può essere compiuto per dare mero sfogo alla propria libidine, per un innamoramento malato, o per vendetta o nel branco. Nonostante la più vasta portata dell’attuale reato di violenza sessuale, le molestie non sono fatte rientrare in questa categoria.
Gli atti sessuali.
L’atto sessuale è la condotta oggettiva che l’autore deve realizzare per poter incorrere nella sanzione penale. È importante capire cosa si intende con la nozione di atto sessuale, essendo il fulcro della norma e la vera novità della riforma del 1996. Per definire cosa siano gli atti sessuali al centro del reato di violenza sessuale si è soliti fare riferimento a un criterio oggettivo e a uno soggettivo. Secondo il criterio oggettivo atto sessuale è solamente quelle inerente il contatto corporeo con le parti del corpo che la scienza medica definisce come “zone erogene”, cioè quelle zone capaci di stimolare l’istinto sessuale (organi genitali, cosce, labbra, ecc.). Se si dimostra che la zona corporea che l’autore ha cercato di violare con la propria condotta rientra tra quelle erogene, si integra sicuramente il reato di violenza sessuale. Secondo il criterio soggettivo, invece, si commette violenza sessuale anche quando la parte del corpo oggetto di attenzioni non può essere definita erogena, ma il comportamento del soggetto è comunque inequivocabilmente teso a raggiungere un piacere sessuale. Secondo questa teoria, quindi, anche un bacio sulla guancia (zona non erogena), se dato all’evidente scopo di godere di una particolare piacere, può integrare il delitto di violenza sessuale.
Anche la Giurisprudenza oscilla tra le due teorie: secondo la Corte di Cassazione, la nozione di atti sessuali comprende tutti gli atti indirizzati verso zone erogene della vittima e quindi anche i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime, anche sopra i vestiti, suscettibili di eccitare la voluttà dell’autore. Secondo la Suprema Corte “la violenza sessuale ricomprende, oltre a ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, anche senza contatto fisico diretto con la vittima, sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà della persona attraverso l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente”. (per es: esibizionismo, costrizione al voyerismo o alla pornografia). La legge italiana fissa a quattordici anni la soglia al di sotto della quale vige una presunzione assoluta di invalidità del consenso ad atti sessuali. I ragazzi e le ragazze sotto i 14 anni non possono dare cioè un consenso valido a compiere atti sessuali e perciò sotto i 14 anni si presume sempre che non ci sia consenso ma violenza. Nell’articolo 609 del Codice Penale sono compresi i delitti di atti sessuali con minori, adescamento di minorenni con materiale pornografico, violenza sessuale di gruppo.
Molestie Sessuali (Sexual harassment)
Ben diversa dalla violenza sessuale è la fattispecie delle molestie sessuali. Il legislatore non ha previsto un autonomo delitto di molestia sessuale, bensì esiste il reato generico di molestia o disturbo alle persone arrecato per una ragione riprovevole. Il Codice Penale infatti punisce “con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 516 euro chi, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza – cioè insistenza –o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”. La molestia viene definita contravvenzione, cioè un reato minore, non punito con la reclusione e suscettibile di prescrizione più breve di quella prevista per i delitti.
In cosa consistono queste molestie sessuali concretamente?
Ce lo spiegano alcuni pronunciamenti della Corte di Cassazione che fanno giurisprudenza: l’utilizzo di espressioni volgari a sfondo sessuale all’indirizzo di una persona che le trova fastidiose e insopportabili; oppure atti di corteggiamento continuo e insistente che risulti invasivo e sgradito alla persona destinataria. (Nel caso affrontato dai giudici di Cassazione, l’ex fidanzato della persona offesa le aveva rivolto frasi e attenzioni per ore, alla presenza di numerosi avventori del locale pubblico ove la donna lavorava come cameriera). Ancora, costituisce reato di molestie sessuali l’insistente corteggiamento di una donna attraverso ripetuti pedinamenti e con continue telefonate e appostamenti attraverso i social media e le chat line. In un altro caso ha commesso una molestia sessuale una donna che seguiva metodicamente in automobile l’ex fidanzato e lo infastidiva, oppure un uomo che, durante una proiezione cinematografica, aveva tagliato una ciocca di capelli alla ragazza che gli sedeva davanti. Sempre la Suprema Corte ha ritenuto che il toccamento dei glutei va invece considerato violenza sessuale e non molestia, trattandosi di un atto sessuale che comporta un contatto corporeo che, seppur fugace ed estemporaneo, pone in pericolo la libera autodeterminazione della vittima. Una sentenza più recente ha invece stabilito che quando il corteggiamento molesto consiste in gesti a sfondo sessuale ed esplicite allusioni, può integrarsi il tentativo di violenza sessuale nel caso in cui la vittima non abbia possibilità di fuga. In quel caso giudiziario, infatti, la libertà sessuale della vittima aveva subito una costrizione intollerabile poiché il reo si era rifiutato di aprire la porta del mezzo di trasporto da lui condotto, impedendo il passaggio alla donna e costringendola a osservare i suoi atteggiamenti osceni. Oltre al Codice delle pari opportunità, la molestia sessuale è vietata dal Codice civile (art. 2087) nella forma del mobbing, e dal codice penale come violenza sessuale (art. 609bis del codice penale), stalking (art. 612 del codice penale inserito nella legge n. 38 del 23 aprile 2009), molestia o disturbo alle persone (art. 660 del codice penale) e ingiuria (art. 594 del codice penale).
Le Molestie sul lavoro
Nel mondo del Lavoro le molestie e le molestie sessuali costituiscono oltre che un reato, anche una Discriminazione. secondo l’articolo 26 del Decreto Legislativo 11 aprile 2006, n.198 che prende il nome di Codice delle Pari Opportunità. La materia è trattata al Libro III del codice che regola le Pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici. Dunque oltre alle molestie comuni sul luogo di lavoro – il cosiddetto Mobbing in inglese - sono considerate come discriminazioni anche le molestie sessuali, cioè tutti quei comportamenti indesiderati di carattere sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, che hanno lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Sono considerati come discriminazione anche i trattamenti lavorativi meno favorevoli subiti da una lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato di subire il mobbing o la molestia sessuale sul luogo del lavoro. Inoltre sempre secondo il Codice delle Pari Opportunità devono essere considerati nulli i patti o i provvedimenti inerenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime delle molestie, quando siano la conseguenza del rifiuto oppure della sottomissione alle molestie. Questo è il caso del demansionamento, del trasferimento, del licenziamento del lavoratore o lavoratrice, oppure delle promozioni e avanzamento in carriera, o dei premi economici accordati al lavoratore o lavoratrice derivati e collegati a una situazione di molestia sul lavoro anche di tipo sessuale. Secondo l’articolo 2087 del codice civile, il lavoratore molestato ha diritto a un risarcimento se la sua integrità fisica e personalità morale sono state danneggiate dal datore di lavoro o dai colleghi. Il Datore di Lavoro è perseguibile per le azioni dei suoi dipendenti in violazione del contratto nel caso in cui non si sia impegnato a prendere tutte le misure necessarie a evitare o fermare la molestia sessuale. Gli articoli 37-38 del Codice delle Pari Opportunità prevedono specifiche forme di ricorso anche con procedura d’urgenza per le vittime di discriminazione, inclusi gli atti di molestia sessuale. Se il datore di lavoro o l’autore della discriminazione non rispettano la richiesta del tribunale, può essere richiesto il pagamento di una multa di circa 50mila euro e sei mesi di carcere. (Fonte: Legge 20 maggio 1970 - Statuto dei lavoratori; Decreti Legislativi 9 luglio 2003, n. 215 e n. 216; Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 - Codice delle pari opportunità tra uomo e donna; Codice Civile; Codice Penale).