Mercoledì 20 settembre, alle ore 18, avrà luogo il terzo incontro del corso: controstoria della filosofia e della storia, introdotto dal prof. Renato Caputo, dedicato all’analisi, in una prospettiva marxista, della ripresa dell’anno mille e della conseguente crisi del fideismo. Per una introduzione al corso, in cui si chiariscono le motivazioni che hanno portato alla scelta del tema, rinvio all’articolo: Le ragioni di una controstoria del medioevo pubblicato in questo settimanale. Di seguito potete leggere una versione sintetica dei temi che saranno affrontati e discussi nel terzo incontro, al quale si potrà partecipare in diretta facebook https://www.facebook.com/unigramsci/, in videoconferenza per i membri dell’Unigramsci o per chi ne farà richiesta. Il video del corso sarà disponibile nei giorni successivi sul canale youtube dell’Università popolare Antonio Gramsci e sulla pagina facebook.
Dialettici e antidialettici
La dissoluzione dell’impero carolingio arresta la ripresa intellettuale dell’occidente. Solo con Ottone il Grande, che ristabilisce l’impero, l’elaborazione culturale si riavvia. In questo periodo, intorno all’anno mille, il pensiero non sarà più solo patrimonio delle abbazie. I pensatori cristiani in quest’epoca si dividono in dialettici e antidialettici: i primi si affidano alla ragione per intendere le verità della fede, i secondi si appellano all’autorità di santi e profeti, limitando il compito della filosofia alla difesa delle dottrine rivelate.
Tra i primi spicca Berengario di Tours (morto nel 1088), il quale sostiene che chi non ricorre alla ragione, grazie alla quale l’uomo è immagine di dio, abbandona la propria dignità. Tra gli antidialettici si distingue Pier Damiani, che nega valore al ragionamento e afferma che dio è superiore alle stesse regole della ragione.
La lotta per le investiture
La Costitutio de feudis (1037)
L’imperatore Corrado II, detto il Salico (1027), rompe con la tradizione degli Ottoni e si appoggia, invece che ai vescovi-conti, alla bassa feudalità promulgando nel 1037 la Costitutio de feudis, che riconosce l’ereditarietà anche dei feudi minori. L’impero è limitato a Germania, Borgogna e Italia del nord e rimane così per secoli. Intanto l’Italia precipita nell’anarchia. Il papato è in balia delle fazioni nobiliari e nel centro-nord le città si ribellano ai vescovi-conti.
L’imperatore Enrico III intraprende la riforma della chiesa per farne uno strumento del proprio potere
Il successore Enrico III, dopo aver sottoposto al suo controllo la feudalità e consolidato le frontiere orientali contro boemi, ungheresi e polacchi, nel 1046 è a Roma per l’incoronazione. La città è sconvolta dagli scontri, vi sono tre papi rivali che si contendono il soglio pontifico. Enrico rivendica il Privilegium Othonis e fa eleggere papa Clemente II. Il papato è così sottratto all’aristocrazia romana, ma torna sotto la tutela dell’imperatore.
Il papato rivendica la propria autonomia
Leone IX, designato da Enrico, intende farsi acclamare dal popolo romano: è la prima rivendicazione simbolica dell’autonomia della Chiesa. Egli lotta contro la simonia, ossia la compravendita di cariche ecclesiastiche, e il nicolaismo, ossia il matrimonio dei sacerdoti retaggio della chiesa paleocristiana. Intorno a lui si raccolgono Ildebrando di Soana (futuro Gregorio VII) e Pier Damiani (ideologo). La sua opera è ostacolata dal conflitto con i Normanni e da contrasti che si concludono con lo Scisma d’Oriente, che nel 1054 divide la Chiesa di Roma dalla Chiesa greca-ortodossa. Il papa Nicola II nel 1059 convoca un concilio in Laterano che provoca la rottura col partito imperiale, sancendo che il pontefice è eletto dal collegio dei cardinali.
Gregorio VII condanna l’investitura laica del clero
Ildebrando di Soana giunge al pontificato nel 1073 e assume il nome di Gregorio VII. Immediatamente affronta il problema dell’investitura di un beneficio ecclesiastico da parte di un laico. Essa comporta la sottomissione del beneficiato al suo patrono. A suo avviso il clero deve essere sottoposto solo al papa che, tra l’altro, rivendicando un’indiscutibile sovranità su tutti i cristiani, pretende di essere considerato sovrano universale. Solo il papa deve avere il potere di ordinare chierici, trasferire vescovi e deporre imperatori; sono queste le affermazioni del Dictatus Papae (1075) che formula il concilio vaticano convocato da Gregorio VII, insieme alla condanna delle investiture. Ciò minacciava mortalmente l’Impero, che ha le basi del proprio potere nel controllo dei vescovati, delle grandi abbazie e del clero.
La lotta tra Enrico IV e Gregorio VII
Così Enrico IV nel 1076 convoca un concilio con i vescovi tedeschi che denunziano il papa e lo dichiarano deposto. Il papa risponde con la scomunica che ha l’effetto di sciogliere dal vincolo di fedeltà tutti i sudditi di Enrico. Quindi, se Enrico non si libera dalla scomunica rischia di perdere la propria autorità. Muove così dalla Germania nell’inverno del 1077 deciso anche a umiliarsi per farsi togliere la scomunica, l’incontro avviene a Canossa, dove Enrico rimane come un penitente tre giorni fuori del castello della contessa Matilde prima di essere ricevuto dal Papa, che gli revoca la scomunica. Ma Enrico, recuperato il potere, continua a distribuire le cariche ecclesiastiche ed è colpito da una seconda scomunica (1080). A quel punto l’imperatore muove in armi verso Roma e la cinge d’assedio, il papa è protetto dal normanno Roberto il Guiscardo che costringe Enrico a lasciare Roma, ma lascia che le proprie truppe la saccheggino. L’ira dei romani si riversa sul papa, che è costretto a seguire i suoi liberatori a Salerno, dove muore nel 1085. All’umiliazione dell’imperatore a Canossa, segue l’umiliazione del papa. Il sogno alto-medievale dell’Impero cristiano, dell’unione dei due poteri destinati a governare il mondo è infranto per sempre.
Il concordato di Worms (1122)
Il nuovo sovrano Enrico V discende di nuovo a Roma, imprigiona il papa, crea un antipapa e cinge la corona imperiale. È scomunicato; contro di lui si sollevano i feudatari tedeschi ed è costretto alla trattativa con il pontefice Callisto, il conflitto si concluse nel 1122 con il concordato di Worms: solo la chiesa può consacrare gli ecclesiastici, l’autorità laica può successivamente concedere benefici (ma si fa eccezione per la Germania che può concedere il benefico prima della consacrazione). Sia il papa che l’imperatore si considerano vincitori, ma è un compromesso di difficile applicazione: in Italia comporta l’aumento dell’autorità pontificia, mentre in Germania di quella imperiale. Lo scontro rimane però aperto e si estenderà nella lotta politica a tutti i livelli: ovunque i Ghibellini (seguaci della casa sveva degli Hohenstaufen, signori del castello di Weibling, difensori dell’impero) si contrapposero ai Guelfi (da Welf, capostipite dei duchi di baviera e alleati del papa).
I regni
Il potere monarchico
I sovrani non contestavano al papa il potere spirituale, ma sostenevano che nelle questioni temporali dovesse essere superiore il potere monarchico, anche esso ritenuto di origine divina (fondamento biblico nella celebre affermazione di Paolo di Tarso “ogni potere discende da dio”), teocratico (in questo modo diveniva ingiustificabile la ribellione del subalterno, il potere era visto come una concessione dall’alto). Il sovrano non faceva parte del popolo, ma comandava sul popolo, quindi non poteva essere giudicato. Tuttavia la sua posizione era più debole di quella papale; appartenendo alla chiesa come gli altri come non poteva a sua volta non dipendere dal papa? In effetti, veniva consacrato nelle sue funzioni dal Papa nella cerimonia dell’unzione del re.
La Francia dai Carolingi ai Capetingi
Dopo la deposizione di Carlo il Grosso (887), a seguito della conquista normanna di Parigi, la Francia si presenta come un insieme di feudi in lotta tra loro: i re di Borgogna, Provenza e Arles hanno un’autorità solo nominale, quella effettiva è dei feudatari. Le incursioni normanne continuano fino al 911, il re dei franchi sceglie di trattare e gli concede il possesso della Normandia, che sarà la base di partenza per ulteriori espansioni verso nord e sud. La guerra per il trono di Francia subisce una svolta decisiva nel 987, quando i Grandi eleggono Ugo Capeto signore dei vasti feudi dell’Ile-de-France, che diviene re taumaturgo di tutta la Francia.
Le prime basi della futura monarchia nazionale
Nasce accanto all’impero sassone una monarchia feudale, una sovranità indipendente dall’investitura imperiale. La monarchia elettiva francese diviene ereditaria e assomiglia sempre meno a un tessuto di cellule feudali. La debolezza politica dei sovrani capetingi infatti, nel corso dell’XI secolo finisce per volgere a loro favore: visto che la loro autorità non è considerata una minaccia per i signori territoriali, viene da questi accettata e, quindi, riescono gradualmente a costruire una monarchia solida aumentando a poco a poco il loro potere.
L’Inghilterra fino all’avvento dei re normanni (1066)
Nel IX secolo l’Inghilterra è invasa dai danesi o normanni, popolazioni bellicose della Scandinavia che cominciano a invadere il continente a causa del sovrappopolamento delle loro comunità. Si forma un grande dominio settentrionale che unisce Inghilterra, Norvegia, Danimarca sotto il danese Canuto (1016-1035), ma dura poco. Nel 1042 prende il sopravvento l’anglosassone Edoardo il Confessore, normanno da parte di madre. Dopo la sua morte Guglielmo, poi detto il Conquistatore, figliastro del duca di Normandia, reclama la corona inglese e sconfigge il cognato di Edoardo, Aroldo II, nel 1066 nella battaglia di Hastings.
Il regno normanno in Inghilterra
Guglielmo introduce nell’isola la cultura francese e rafforza il potere monarchico. I suoi successori tengono la corona inglese fino al XIV secolo. L’anomalia è che hanno il potere regio in Inghilterra e allo stesso tempo sono vassalli del re di Francia (problema che si paleserà tragicamente con la guerra dei Cent’anni). Il feudalesimo è controllato da funzionari locali, gli sceriffi (dipendenti del sovrano); gli obblighi dei feudatari sono registrati nel Domesday Book (il libro del giudizio universale), primo catasto d’Inghilterra. Anche la Chiesa è controllata dal monarca.
Le ultime invasioni e il primo delinearsi dell’attuale carta politica europea
Oltre alle invasioni normanne e saracene, vi sono a est quelle degli ungari, fermati nel 955 da Ottone I, che li indusse a ritirarsi e insediarsi in Ungheria. Oltre il regno di Ungheria, nascono nuovi regni cristiani: il regno di Polonia e quello di Russia, quest’ultimo nell’orbita bizantina. Parallelamente, nel nord Europa, si consolidano i regni di Danimarca, Norvegia e Svezia. Si comincia così a delineare a grandi linee la fisionomia politica europea, così come la conosciamo oggi.
L’Italia fra il IX e il X secolo
L’Italia, alla fine del IX secolo, è così suddivisa dal punto di vista politico: 1) al Nord la sovranità è dell’impero; 2) da Ravenna al Lazio c’è lo Stato pontifico; 3) al centro-sud (Abruzzo, Puglia e Calabria) il ducato longobardo di Benevento; 4) al sud vi sono i possessi bizantini: il ducato di Napoli e le province di Puglia e Calabria.
Nel corso dei secoli X e XI i possessi bizantini passano al papa; tra lo 827 e il 902 c’è la conquista araba della Sicilia. Ai primi dell’XI secolo alcuni mercenari normanni aiutano i bizantini in una rivolta a Bari e per compenso ricevono in feudo la contea di Aversa, questa concessione attira altri gruppi di normanni tra cui si distinsero gli Altavilla, che spazzano via i bizantini in Italia con l’appoggio del papa e poi gli arabi dalla Sicilia.
Il regno normanno in Italia meridionale
Dal 1130 si forma il regno Normanno degli Altavilla (comprendente Palermo, Napoli e i Principati ex longobardi), che ha il suo centro in Sicilia: tutti obbediscono alle stesse leggi, sono rispettate le diverse religioni, c’è un efficiente apparato amministrativo. Tuttavia, a causa di un’organizzazione troppo centralizzata, è arrestato lo sviluppo delle istituzioni cittadine (sottoposte come la città marinara di Amalfi al sovrano); la feudalità era controllata dai re normanni. Si delinea nel Mezzogiorno uno sviluppo diverso rispetto all’Italia centrale e settentrionale).
Anselmo d’Aosta
Già nell’alta scolastica Anselmo d’Aosta avverte il bisogno di armonizzare fede e ragione. Nato nel 1033, è abate in Normandia e poi dal 1093 alla morte nel 1109 arcivescovo di Canterbury. Come tale si oppone al re che intende sottoporre al suo controllo la chiesa, limitandone i privilegi. Le sue opere principali sono il Monologion, ovvero il soliloquio, e il Proslogion ossia il discorso rivolto ad altri.
Credo ut intelligam
Il motto di Anselmo è credo ut intelligam, credo per capire. Se la fede è necessaria alla comprensione, occorre al contempo dimostrare la fede con motivi razionali. Del resto Anselmo non ritiene possibile un contrasto fra fede e ragione in quanto entrambe sono di derivazione divina.
L’esistenza di dio: la prova a posteriori e l’argomento ontologico
L’esistenza di dio è secondo Anselmo una pura verità di ragione, il che significa che la ragione può dimostrarla. Nel Monologion Anselmo dimostra l’esistenza di dio con l’argomento dei gradi: vi sono molte cose più o meno buone, ma non assolutamente, dunque presuppongono un bene assoluto che sia la loro misura, tale bene è Dio. Allo stesso modo tutte le cose sono in grado maggiore o minore, presupponendo un essere sommo da cui traggono il loro grado di essere.
Nel Proslogion Anselmo dimostra dio con la prova a priori, ossia a partire non dalla realtà, ma dal concetto di dio. Anche chi nega dio ne deve possedere, secondo Anselmo, il concetto: un essere di cui non si può pensare nulla di maggiore. Ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore non può esistere nel solo intelletto, altrimenti si potrebbe pensare qualcosa di ancora maggiore che esiste anche nella realtà.
Le obiezioni alla prova ontologica
Già un contemporaneo, il monaco Gaunilone, nel suo manoscritto A difesa dell’insipiente, sostiene che ammesso di possedere il concetto di dio come essere perfettissimo, dal concetto non può dedursi l’esistenza di dio, visto che dal concetto di un’isola perfetta non si può dedurre l’esistenza dell’isola. Gaunilone intende dire che dal piano del pensiero, delle possibilità logiche, non è lecito dedurre l’altro piano, il piano della realtà effettiva. Anselmo replica che l’idea di isola non coincide con quella di perfezione assoluta, che risiede unicamente nell’idea di dio. Tommaso obietterà ad Anselmo che egli presuppone ciò che deve dimostrare, ossia che l’essere perfettissimo esiste. Da qui diviene facile sostenere che l’essere perfettissimo non può non esistere.