Per una storia della questione palestinese

Dalla situazione della Palestina prima del tragico avvento del sionismo alla nakba, la madre di tutte le tragedie storiche contemporanee del popolo palestinese.


Per una storia della questione palestinese Credits: https://www.infopal.it/israele-controlla-piu-dell85-dei-territori-palestinesi/

La Palestina prima del sionismo

L’ideologia sionista, che tende a essere generalmente dominante nei paesi imperialisti, spaccia la Palestina come una terra vuota, arida come un deserto e poi coltivata e resa abitabile solo con l’arrivo dei primi coloni sionisti. Al contrario, verso la fine dell’Ottocento, prima del sionismo, la Palestina era una società prospera in cui si stavano implementando rapidi processi di modernizzazione e nazionalizzazione.

Altro mito fondativo del sionismo è la rappresentazione della Palestina come una terra senza un popolo che dovrebbe trovare il suo corrispettivo in un altro mito fondante del sionismo, quello di un popolo (il popolo ebraico) senza terra.

A questo punto occorre domandarsi se erano veramente gli ebrei gli abitanti originari della Palestina che dovevano essere supportati nel ritorno in quella che sarebbe stata la loro patria storica. Quest’ultimo mito si fonda sulla credenza che gli ebrei giunti in Palestina nel 1882 su impulso del sionismo rappresenterebbero i discendenti e, dunque, i legittimi eredi degli Ebrei che erano stati espulsi dai romani intorno al 70 d. C. In realtà in massima parte gli ebrei della Palestina ai tempi dell’impero romano rimasero su quella terra e nella maggioranza dei casi si convertirono prima al cristianesimo e poi alla religione islamica. Chi fossero gli antenati degli ebrei che si trasferirono in Palestina su impulso del sionismo è questione ancora dibattuta dalla storiografia, anche perché molto probabilmente la mescolanza delle genti nel corso del millennio ha precluso ogni possibile risposta univoca a questo dilemma.

Inoltre, prima del sionismo il legame tra le comunità ebraiche sparse per il mondo e la Palestina è sempre stato di natura religiosa e spirituale e mai di carattere politico. Fino al XVI secolo il ritorno degli ebrei in Palestina era un progetto cristiano, poi ereditato dai protestanti e poi fatto proprio in particolare dagli anglicani, sulla base della credenza basata su un passo dell’Apocalisse, per cui Gesù sarebbe tornato e il Regno di Dio si sarebbe finalmente affermato solo dopo che gli Ebrei fossero tornati a riunirsi in questa terra.

Ebrei e arabi in Palestina prima della nakba

A seguito dei trattati di pace della Prima guerra mondiale, lo sconfitto e da lungo tempo in crisi Impero Ottomano verrà definitivamente dissolto dalle potenze colonizzatrici, che intendevano espandere il loro dominio imperialistico coloniale ai danni dei popoli che erano stati parte di tale impero islamico. In particolare nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente si impose l’imperialismo francese e del Regno Unito, con l’accortezza tattica del sistema dei mandati da parte della Società delle nazioni, operazione di rivoluzione passiva necessaria per arginare la carica propulsiva emancipatoria che si era diffusa a partire dalla rivoluzione di ottobre. La Palestina era così stata costretta a divenire un protettorato dell’impero coloniale britannico.

A rendere la situazione di quest’area maggiormente turbolenta interviene la diffusione del movimento nazionalista-religioso del sionismo che deve il suo nome a una delle colline su cui è sorta Gerusalemme. I sionisti si battevano per costringere a realizzare l’impegno assunto dagli imperialisti britannici, con la Dichiarazione di Balfour (allora ministro degli esteri dell’Impero) del 1917, di creare in Palestina un centro di insediamento per gli ebrei di tutto il mondo. 

Il sionismo era stato fondato dall’ebreo ungherese Theodor Herzl (1860-1904) verso la fine del XIX secolo e si connotava come un movimento nazionalista che mirava alla creazione di uno Stato nazionale ebraico che avrebbe dovuto porre fine alla diaspora. Il sionismo incontro il favore del governo dell’impero britannico, sulla base del consueto principio del divide et impera. Sfruttando tale vicissitudine, nel movimento sionista prevalse l’opzione di fondare lo Stato ebraico in Palestina, di contro a chi riteneva preferibile puntare su territori meno ostici all’opera di colonizzazione come il Madagascar. Così nel 1918 i sionisti istituirono il loro primo organo di autogoverno, l’Agenzia ebraica, finalizzata a favorire in ogni modo l’emigrazione sempre più massiccia di più ebrei europei e statunitensi possibili in Palestina. 

D’altra parte, l’attitudine inizialmente favorevole del governo britannico, che si era impegnato in tal senso davanti al barone Rockfeller, muta quando tra il 1919 e il 1923 il flusso migratorio si ingrossa e, soprattutto, si radicalizza politicamente in quanto ben 35.000 ebrei russi e polacchi di orientamento socialista decisero di stabilirsi in Palestina, impiantando attive comuni agricole, i kibbutz, anche grazie al sostegno finanziario di diversi esponenti della comunità ebraica del mondo occidentale. 

Il governo mandatario britannico quando si accorse che la situazione rischiava di sfuggirgli di mano e che il progetto sionista non era più funzionale ai suoi progetti di rafforzamento del proprio dominio imperialistico sulla Palestina, contrapponendo i coloni europei e statunitensi ebrei alla popolazione palestinese, introdusse e ben presto rapidamente implementò le restrizioni all’acquisto di terre da parte degli immigrati ebrei. 

Era orami troppo tardi, per il successo di tale inversione di marcia, tanto che nel 1930 la comunità ebraica in Palestina aveva già raggiunto i 200.000 abitanti. Ciò non può che creare un crescente malcontento fra la popolazione indigena palestinese, che naturalmente non poteva riconoscere agli immigrati da altri continenti alcun diritto di primogenitura sulle loro terre. Del resto, la grande maggioranza dei palestinesi non poteva che avvertire la propria stessa identità messa a rischio dalla prospettiva sionista di creare sulle loro terre uno Stato ebraico fondato da nuovi colonizzatori stranieri. Lo scontro avviene anche a causa dell’ambiguità della politica britannica, che da una parte vedeva con favore i conflitti che creava in Palestina la sempre maggiore emigrazione di coloni ebraici, ma dall’altra temeva che tale consueta tattica del caos creativo potesse sfuggirgli sempre più di mano. Per quanto la prospettiva sempre meno utopistica della realizzazione nella loro colonia di uno Stato ebraico da parte degli immigrati li potesse spaventare, d’altra parte le necessarie crescenti controversie sull’accesso e la gestione dei luoghi sacri per le religioni ebraica, cristiana e musulmana non poteva che far comodo al dominio imperialista.

Il sionismo

Il sionismo è un movimento politico nato formalmente nel 1897 su iniziativa di Theodor Herzl, ma il termine era già stato coniato negli anni ’80 del diciannovesimo secolo, non a caso proprio nell’età dell’imperialismo. Sorge come un movimento mediante il quale gli ebrei avrebbero dovuto conquistarsi l’emancipazione politica che era loro negata in molti paesi europei. Herlz rielaborò il concetto accentuandone gli aspetti nazionalistici ponendo come fine del sionismo la costituzione di una patria nazionale ebraica, uno stato ebraico che avrebbe dovuto situarsi in Palestina, definita dai testi considerati sacri dal giudaismo la “terra di Israele”. Questa aspirazione al presunto “ritorno” nella terra promessa si accentua nel contesto storico di fine Ottocento, quando dilagano gli episodi di antisemitismo, in particolare con i pogrom in Russia e in Francia con l’affaire Dreyfus. Oltre al sionismo politico si sviluppò anche una corrente di sionismo religioso restia ad appoggiare progetti di colonizzazione politica ed economica della Palestina, perché la costituzione di uno Stato ebraico doveva essere legata alla venuta del Messia. Nel Novecento il movimento espresse due opposte tendenze: una di sinistra laburista e una di destra che radicalizzava l’obiettivo dell’immediata costituzione dello Stato ebraico. Fino agli anni Settanta prevalse la prima matrice, interpretata in particolare da Ben Gurion, primo presidente dello Stato di Israele nel 1948. 

Sionismo, ebraismo e colonialismo

In primo luogo occorre, dunque, sfatare il mito fondato sull’identificazione fra sionismo e ebraismo, da cui deriverebbe l’accusa pretestuosa per cui l’antisionismo non potrebbe che essere inteso come una forma di antisemitismo.

Se il sionismo viene interpretato come un movimento di liberazione nazionale e Israele sarebbe semplicemente una democrazia che avrebbe il diritto di difendersi, allora realtà politiche palestinesi, a partire dalla storica Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), sarebbero da considerarsi organizzazioni terroristiche a tutti gli effetti. Se invece la lotta di organizzazioni politiche palestinesi, a partire dall’Olp, è una lotta contro un progetto colonialista dell’epoca imperialista sarebbe lecito definirle come protagoniste di un movimento anticoloniale e l’immagine internazionale dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina sarebbe molto diversa da quella che Israele e i suoi sostenitori tentano di imporre all’opinione pubblica internazionale.

Il primo conflitto arabo-israeliano (1948-1949)

Mentre i popoli del Medio Oriente sottomessi a Francia e Regno Unito ottenevano l’indipendenza, rimaneva da risolvere il problema della Palestina. L’insediamento israeliano in Palestina si intensificò alla fine della Seconda guerra mondiale, quando molti ebrei scampati alla shoah vi si trasferirono per dimenticare le persecuzioni. Gli ebrei misero in piedi strutture civili, sociali ed economiche e si dotarono anche di un’organizzazione clandestina armata. Con l’incremento dell’immigrazione ebraica crebbero le tensioni tra i nuovi arrivati e la popolazione araba che risiedeva in quell’area da secoli. Anche gli inglesi rimangono coinvolti nel conflitto: nel luglio del 1946 un attentato ordito da sionisti distrusse l’hotel King David di Gerusalemme provocando 91 vittime. I sionisti emigrati in Palestina, quindi, portano avanti azioni terroristiche per costringere la Gran Bretagna al ritiro e al contempo continuano a scontrarsi con i palestinesi.

26/01/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.infopal.it/israele-controlla-piu-dell85-dei-territori-palestinesi/

Condividi

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: