BARCELLONA
8 Novembre – L’indipentismo di classe
Arrivo a Barcellona il giorno in cui il sindacato conflittuale Intersindical CNC ha dichiarato in solitaria lo sciopero per la liberazione dei prigionieri politici: i capi delle organizzazioni sociali indipendentiste Omnium e Asamblea Nacional Catalana, i membri del governo catalano che non sono scappati a Bruxelles, poi si aggiungerà anche la presidente del parlamento catalano e i capi delle forze politiche che hanno partecipato al voto sulla Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza (DUI). Anche il comunista Nuet è incriminato, in libertà vigilata, il gruppo parlamentare della sinistra radicale Catalunya Si Que Es Pot ha partecipato votando contro la DUI.
Treni e metropolitane funzionano quasi regolarmente, i mezzi di superficie no, anche per via dei blocchi stradali. Le scuole chiuse. Nel tardo pomeriggio la manifestazione sindacale si raduna di fronte alla Cattedrale, ci sono un paio di migliaia di militanti che cantano Bella Ciao, Lo Pal e l'inno catalano, tendenzialmente di mezza età, principalmente insegnanti e lavoratori dei trasporti pubblici.
Dopo un paio d'ore comincia ad arrivare la testa di un altro corteo, quello dei Comitati in Difesa del referendum (CDR, alcuni sugli striscioni riportano "in difesa della repubblica) e di altre organizzazioni indipendentiste locali. Il corteo è composto da più di diecimila persone, alta presenza giovanile, composizione sociale più variegata rispetto al pezzo dell'Intersindical, ma comunque popolare. I CDR sono nati in maniera più o meno "spontanea" (cioè, dal reticolo di organizzazioni indipendentiste locali popolari) alla vigilia del referendum del primo ottobre, quando il governo dello stato spagnolo ha reso chiaro che non avrebbe tollerato il referendum e che probabilmente il governo catalano si sarebbe accontentato di una consultazione simbolica. La versione dei CDR è che se il 1 ottobre c'è stato qualcosa davvero simile a un referendum, è perchè la mobilitazione dal basso ha forzato la mano al governo catalano.
Nel corteo niente bandiere di partito (se non quelle di alcuni gruppi trotzkisti), molto diffuse le bandiere di Omnium e ANC. Alcuni striscioni e cartelli affiancano temi sociali, soprattutto i tagli alla scuola, e l'indipendentismo.
Nel giro di poco tempo la piazzetta della cattedrale non contiene più i manifestanti. Il corteo prosegue su via Laietana. Di fronte alla sede della polizia catalana, gli spezzoni si fermano intonando "fuori le forze di occupazione", “le strade saranno sempre nostre” e "questo edificio sarà una biblioteca". A proteggere la polizia spagnola (e qualche occasionario contromanifestante con la bandiera spagnola) ci sono i mossos, la polizia catalana. Rimango fuori dalla piazza durante i discorsi ufficiali, non li sentono neanche molti dei manifestanti che, d'altra parte, non mi sembrano preoccuparsene molto.
9 novembre
Amnesty International ha dato indicazione di non considerare i leader di Omnium e ANC e i leader politici arrestati come "presos politicos". La scusa è che Amnesty non userebbe l'espressione "prigionieri politici". I compagni dell'Unione delle Gioventù Comuniste Spagnole li smentiscono immediatamente mostrando tutte le volte in cui hanno usato "prigionieri politici" per i golpisti venezuelani.
11 novembre – L’indipendentismo interclassista
Il giorno della grande dimostrazione indipendentista e per la liberazione dei prigionieri politici. I tre chilometri della Carrer de la Marina che salgono dal Mediterraneo verso la Sagrada Familia sono intasati di gente, così come le strade e i parchi laterali. I manifestanti si contano nell’ordine delle centinaia di migliaia, secondo gli organizzatori 750mila, in una regione di 7 milioni di abitanti. In teoria ci sarebbe dovuto essere un corteo, ma è subito chiaro che nessuno riuscirà a muoversi.
A ogni incrocio si formano sotto-manifestazioni: chi canta canzoni della guerra civile, chi lancia slogan politici, chi fa la tradizionale “piramide umana” catalana, chi suona. Fino a quando cominciano i discorsi tenuti dai familiari dei prigionieri politici, ascoltati dai manifestanti con le radio e i telefoni. Anni di esperienza di manifestazioni di massa hanno dato al movimento indipendentista una certa esperienza nel gestire gli effetti mediatici delle mobilitazioni. Per i giornali internazionali l’immagine di questa mobilitazione è la foto aerea con i manifestanti che alzano la luce dei cellulari nel buio della sera.
I manifestanti sono venuti da tutta la Catalogna, la composizione sociale è estremamente variegata. Dai settori più popolari ai bottegai e piccoli imprenditori. Dai ragazzini agli anziani, come si dice in questi casi: “famiglie intere”. Praticamente assente è la grande ricchezza, che invece affollava le manifestazioni spagnoliste. Qualche bandiera tricolore della repubblica degli anni '30 segnala la partecipazione di compagni a favore di una spagna federale plurinazionale. Le bandiere catalane con la stella rossa e quelle dell’indipendentismo radicale di sinistra con la stella rossa si affiancano lungo tutto il corteo.
La dimostrazione di forza e popolarità è impressionante. Ma, se a livello sociale è impressionante l'unità e la forza dell'indipendentismo nel chiedere la liberazione dei detenuti, la precipitazione sul livello politico è molto più complessa. Il fronte comune dei partiti di governo catalani non si ripresenterà. I democristiani del presidente Puigdemont avranno una loro lista, i socialdemocratici di Esquerra Republicana da Catalonia (ERC) un’altra. Gli anticapitalisti della CUP, che hanno dato il sostegno esterno a Puigdemont, promettono una lista “di rottura”, mirando a recuperare anche il lato di conflitto sociale dopo aver spinto nell’ultimo anno tutto sulla questione nazionale.
13 novembre – Questione nazionale e questione di classe
Tra il fronte degli spagnolisti e quello dei catalanisti c'è un terzo mondo. La posizione di Podemos, Izquierda Unida, Comunistes de Catalunya, del PSUC-viu e di Ada Colau, con le ovvie differenze, riconosce la questione catalana e con varie sfumature sostiene il "diritto a decidere" del popolo catalano. Hanno partecipato al "Patto nazionale per la Catalogna" ma non hanno sostenuto il referendum nel momento in cui è stato convocato senza garanzie internazionali. Per qualcuno può essere la posizione di chi non sa prendere posizione (Podemos ha al suo interno tutte le posizioni, anche alcune nazionaliste anti catalane). È anche una posizione che risponde a settori di classi popolari che non sono coinvolte nel movimento indipendentista. Nei quartieri centrali (dove si mescolano nuovo precariato, storici rioni popolari, bottegai e ricchezza), alle finestre si trova una bandiera spagnola ogni trenta bandiere catalane. Negli storici quartieri operai a nord-est della città, le bandiere spagnole non sono molte, ma sono in numero quasi uguale a quelle catalane. Sui manifesti dei giovani di ERC per l'indipendenza, qualcuno scrive che l'indipendenza porterebbe solo più soldi ai corrotti democristiani. Alle finestre, più che bandiere nazionali, si trovano gli striscioni contro il progetto di un nuovo mega-crematorio e contro i tagli alle scuole.
Dopo un referendum interno al suo partito Barcelona en Comu, Ada Colau ha rotto il patto per il governo della città con il PSC (la sezione catalana del PSOE spagnolo), dato l’appoggio dei socialdemocratici alla repressione. Colau si appella al senso di responsabilità dei partiti di opposizione per non bloccare la città, è difficile credere che davvero saranno “responsabili”, è probabile che poco dopo le elezioni regionali, ci saranno quelle comunali.
Si sta aprendo una campagna elettorale per la Catalogna a tutto campo. Sui giornali della borghesia spagnola, Puigdemont è dato come un cadavere politico. I sondaggi dicono che i partiti indipendentisti potrebbero avere uno o due seggi di maggioranza. Oppure potrebbero arrivare a non avere la maggioranza per uno o due seggi. Lo spauracchio lanciato dai giornali borghesi è ora quello di una Catalogna con un governo di "sinistra radicale": CUP, ERC, Podemos, Izquierda Unida, Barcelone en Comu. In mezzo alle righe, quello che temono è che si approfondisca l'incrocio tra l'indipendentismo e la lotta di classe.
Certo, quello che può succedere, è anche che un governo della "sinistra radicale" si faccia trascinare in una trattativa infinita sul riottenere gli spazi di autonomia cancellati dallo stato spagnolo.