Le nuove strategie e i nuovi dispiegamenti di forza della NATO verso Est e verso Sud. La più grande ristrutturazione dell’alleanza militare dopo la fine della Guerra Fredda per adeguarsi alle mutate esigenze geo-politiche. Con l’impegno economico e territoriale dei nuovi membri dell’Europa orientale e dei membri storici tra cui, in prima linea, l’Italia.
di Antonio Mazzeo
“Abbiamo potenziato le nostre capacità di analisi e intelligence, stiamo accelerando le modalità di assunzione delle decisioni e implementando il più grande rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della Guerra Fredda, grazie al Readiness Action Plan (RAP) approvato il 5 settembre 2014 al Summit in Galles”. Lo ha dichiarato il generale Knud Bartels, presidente del Nato Military Committee, a conclusione del vertice dei comandanti delle forze armate alleate del 20 e 21 maggio 2015.
Secondo gli strateghi, il Readiness Action Plan ha lo scopo di consentire alla Nato di “rispondere velocemente e con fermezza alle nuove minacce” (principalmente sul fronte orientale e meridionale), grazie all’utilizzo di un “coerente” pacchetto di strumenti militari “ai confini dell’Alleanza e anche più lontano”. Nello specifico, il nuovo Piano di pronto intervento prevede il rafforzamento della presenza Nato nell’Europa centrale ed orientale attraverso alcune “misure di sicurezza” (assurance measures) e, a più lungo termine, al cambiamento della postura delle forze armate con alcune adaptation measures che “accresceranno le capacità dell’Alleanza nel rispondere ancora più velocemente alle emergenze, ovunque esse si presentino”.
Le dispendiose misure adottate dai comandi di Washington e Bruxelles per consolidare l’immagine e il ruolo di una Nato sempre più invasiva e globale (e ipocritamente giustificata di fronte all’opinione pubblica con le “aggressive azioni russe in Ucraina”), saranno coperte finanziariamente da tutti i 28 paesi dell’Alleanza. A partire dal maggio 2014, le misure di sicurezza Nato hanno incluso la crescita del numero dei cacciabombardieri impiegati in operazioni di pattugliamento dello spazio aereo delle Repubbliche Baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) e il rischiaramento di numerosi velivoli da guerra e da trasporto in alcuni aeroporti della Romania e della Polonia.
A partire dal 1° maggio di quest’anno, invece, Belgio, Italia, Gran Bretagna e Norvegia hanno rafforzato il loro impegno nelle attività di vigilanza dello spazio aereo dell’Europa centrale e orientale; Portogallo e Stati Uniti hanno inviato aerei di guerra in Romania per svolgere attività addestrative congiunte; gli aerei radar AWACS della forza Nato di sorveglianza aerea con base in Germania hanno avviato missioni spia nei territori più orientali dell’Alleanza e di pattugliamento nel mar Baltico. Ancora nel Baltico, in Mar Nero e nel Mediterraneo sono stati intensificati i pattugliamenti dei gruppi navali di pronto intervento e di contro-misure mine, mentre i dispositivi sono stati potenziati con nuove e più sofisticate unità da guerra di superficie e di profondità.
“Alcune unità terrestri sono state inviate su base rotativa nelle regioni orientali dell’Alleanza per partecipare ad esercitazioni e attività addestrative e migliorare le capacità di risposta e intervento della Nato Response Force (NRF)”, spiegano i vertici del Comando alleato interforze. Il Summit dei ministri della Nato in Galles ha deciso di triplicare il numero dei militari assegnati alla NRF, portando la composizione della forza di rapido intervento a 30.000 appartenenti ai reparti altamente specializzati (terrestri, marittimi e aerei) alleati. Corpo d’élite della nuova NRF sarà la Very High Readiness Joint Task Force (VJTF), pienamente operativa dal 2016. Enfaticamente soprannominata Spearhead (punta di lancia), la VJTF sarà composta da una brigata di terra di 5.000 militari circa, supportata da forze aeree e navali speciali e, in caso di crisi maggiori, da due altre brigate con capacità di dispiegamento rapido.
“La Spearhead force sarà in grado di essere schierata in meno di 48 ore”, afferma il Comando Nato. “In particolare, essa potrà essere di grande aiuto nel contrastare operazioni irregolari ibride come ad esempio lo schieramento di truppe senza le insegne nazionali o regolari e contro gruppi d’infiltrati e agitatori. La leadership e la fornitura di truppe e reparti alla Spearhead e alla NRF saranno garantite a rotazione e su base annuale da alcuni paesi membri dell’Alleanza”. Sino al prossimo anno, saranno Danimarca, Germania e Olanda a contribuire alle attività della neocostituita punta di lancia Nato. Sei sono invece i paesi offertisi a dirigere le future operazioni della Response Force: Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Spagna. “Al fine di garantirne la massima prontezza operativa, la task force si avvarrà di sei nuovi centri multinazionali di comando e controllo dislocati in Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania”, ha annunciato il Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg.
“Se esploderà una crisi, questi centri renderanno ancora più rapidi i dispiegamenti delle forze nazionali e Nato; intanto contribuiranno a rafforzare la cooperazione interalleata e a preparare, coordinare e supportare le attività addestrative e le esercitazioni”. Al potenziamento del dispositivo di sostegno della task force concorreranno pure altri programmi varati di recente, come ad esempio quelli relativi all’ampliamento delle infrastrutture e delle funzioni del quartier generale del Multinational Corps Northeast di Szczecin, Polonia, e alla sua trasformazione in hub per la “cooperazione militare regionale”; il preposizionamento di attrezzature, velivoli e sistemi d’arma in alcune basi dell’Europa orientale; la realizzazione o il potenziamento di nuove infrastrutture strategiche come scali aeroportuali e porti ancora tra gli alleati dell’Est Europa.