Le vere cause che hanno portato all’avvio dell’operazione militare speciale del 24 febbraio sono sotto gli occhi di tutti, chi in questi mesi ha voluto approfondire lo ha potuto fare basandosi su molteplici fonti (non mainstream ma facilmente reperibili). Chi continua ad accusare la Russia di tutti i mali e chi anche a sinistra crede nelle favolette della stampa italiana lo fa non per mancanza di informazioni ma per scelta. È quindi inutile ripercorrere per l’ennesima volta la tappe di questo conflitto, mentre è più interessante capire come si stanno modificando gli equilibri internazionali in conseguenza degli eventi ucraini. Questa guerra ha implicazioni che vanno molto al di là della regione in cui viene combattuta. Per analizzare bene quello che sta succedendo occorre guardare agli attori più importanti e a come si stanno muovendo in questo scenario a partire dagli Stati Uniti d’America.
Gli USA hanno un ruolo di primo piano in questa guerra, per loro l’Ucraina ha un’importanza fondamentale nel contenimento della Russia. Per staccare Russia e Ucraina hanno fomentato le divisioni di quest’ultima; fino al 2014 l’Ucraina viveva su un fragilissimo equilibrio che riusciva a tenere assieme un popolo profondamente diviso. L’aut aut che l’Unione Europea pose, dietro il quale si riconosce la mano americana, aveva lo scopo di provocare lo scontro interno per produrre l’intervento russo.
L’obiettivo di Washington era chiaro, staccare Russia ed Europa; i rapporti sempre più stretti fra Mosca e Berlino, culminati nella costruzione del North Stream, avevano preoccupato gli strateghi statunitensi. Un asse fra Germania (ed Europa) e Russia per gli USA ha sempre rappresentato un pericolo, sia se esso fosse il prodotto di una conquista militare di una parte sull’altra come nelle due guerre mondiali, sia se fosse figlio di accordi di natura commerciale. Il primo obiettivo di questa guerra è l’Europa e che i decisori europei non lo capiscano o più probabilmente non abbiano la forza di opporvisi dimostra come il futuro di questa parte di mondo si stia colorando a tinte fosche.
Se da una parte l’obiettivo statunitense è quello di staccare Europa e Russia, dall’altro Washington sa che per l’egemonia mondiale nel XXI secolo sarà fondamentale lo scontro con la Cina in particolare nell’Indo-Pacifico. Colpire la Russia vuol dire indebolire l’asse sempre più stretto fra Mosca e Pechino, se la Russia tornasse agli anni ’90 o se addirittura venisse smembrata come è nei desideri della Casa Bianca, per gli USA sarebbe più facile affrontare la Cina.
I limiti di questi due obiettivi sono che essi sono in contraddizione l’uno con l’altro: una Russia indebolita a cui venisse imposto un rallentamento nei rapporti con Pechino sarebbe portata a guardare verso l’Europa. D’altra parte va ricordato che anche Eltsin si oppose all’espansione a est della NATO; questo significa, ed è quello che l’Occidente non vuole e non riesce a capire, che ci sono interessi strategici russi che vanno al di là del nome del presidente. Non prendere atto di questa semplice verità vuol dire consegnare i rapporti fra Russia ed Europa allo scontro anziché alla cooperazione.
Questa aggressività dell’Impero in declino trova le sue radici nella crisi interna degli USA, che vivono una crisi profonda, una crisi economica, politica, sociale e anche culturale. Gli Stati Uniti sono un Paese con più di 100 milioni di poveri, con la più grande popolazione carceraria del mondo, dagli anni ’80 la manifattura è stata smantellata e oggi l’economia vive su complessi strumenti finanziari che hanno sempre più slegato l’economia nominale da quella reale.
Dalla crisi dell’URSS gli USA hanno modificato la loro politica, incapaci di esercitare un’egemonia globale hanno sempre più spostato la loro azione sul piano militare. Dagli anni ’90 la politica estera statunitense è stata costituita da interventi regionali che avevano l’obiettivo di creare aree di destabilizzazione, questo era lo strumento scelto per sostenere il mondo unipolare. Se l’idea di mondo unipolare poteva essere accettata negli anni ’90 (ma già allora era anacronistica) oggi non è più nello stato delle cose, dovrebbero capirlo sia gli Stati Uniti che i loro vassalli sparsi per il mondo.
Se gli USA sono l’Impero in declino, la Russia ha fermato la sua crisi avviata con la fine dell’Unione Sovietica. A rimpiangere Eltsin e quella Russia sono soprattutto gli occidentali, i quali non hanno mai conosciuto veramente un Paese che dopo il crollo dell’URSS ha visto abbassarsi la vita media, aumentare la povertà e l’insicurezza sociale. La Russia in quel periodo era comandata (non governata) dagli oligarchi i quali spesso e volentieri, a partire dall’idolo dell’Occidente Khodorkovsky, regolavano i propri affari in modo brutale.
Putin ha rimesso ordine all’interno del Paese, poi ha ricostruito il ruolo e il prestigio internazionale della Russia. Rimettere ordine all’interno ha voluto dire limitare il potere politico degli oligarchi, ai quali è stato consentito di mantenere le loro ricchezze, benché accumulate in modi discutibili, rinunciando però alla propria influenza politica. Allo stesso tempo venne combattuto il terrorismo del Caucaso (Cecenia e Dagestan) e vennero date risposte sociali incisive sulla povertà e sulla disoccupazione.
La prima fase del nuovo periodo post-eltsiniano fu dedicato a salvare la Russia, successivamente Putin ne rilanciò il ruolo internazionale; alla Conferenza di Monaco del 2007 Putin intervenne duramente per criticare l’impostazione unilaterale degli Stati Uniti. Doveva essere chiaro che il periodo della Russia che accettava l’espansione della NATO a est o la guerra in Jugoslavia era definitivamente tramontato, dopo il colpo di Stato del 2014 Mosca ha posto due temi che sono ancora oggi le sue linee irrinunciabili. Da una parte si chiede la sicurezza delle popolazioni russofone e dall’altro la neutralità dell’Ucraina con la non adesione alla NATO. Gli accordi di Minsk andavano in questa direzione e rassicuravano Mosca, se non sono stati attuati è perché una parte interna all’Ucraina, i battaglioni neonazisti, e una esterna, gli Stati Uniti, li hanno boicottati. Recentemente la Merkel ha dichiarato che questi accordi erano stati sottoscritti solo per permettere a Kiev di guadagnare tempo e ricostituire il proprio esercito: queste dichiarazioni non solo fanno luce su chi ha veramente voluto la guerra, ma chiariscono anche che l’Occidente (leggasi la NATO e gli USA) non è un interlocutore affidabile.
A fronte di una Russia che persegue un obiettivo di sicurezza, l’Europa è stata incapace di articolare una propria posizione di politica estera. Premesso che la politica estera non è una materia che è stata devoluta a Bruxelles ma rimane diretta dai singoli Stati, ci si poteva aspettare una scelta di maggiore autonomia. L’Europa, dietro una facciata di unanimità, si è dimostrata divisa con una serie di Stati, quelli che Rumsfeld definì la nuova Europa, in prima fila nella guerra. In particolare la Polonia sta combattendo una guerra che non è solo contro la Russia ma anche contro le Germania. La vecchia Europa, nonostante i distinguo e i mal di pancia, non è riuscita a costruire una prospettiva di mediazione. Questa è una guerra fatta contro l’Europa che l’Europa sta combattendo contro se stessa; nel nuovo ordine mondiale che nascerà i Paesi europei si sono consegnati agli Stati Uniti. In Italia la classe dirigente uscita dalla Resistenza che, anche sul versante democristiano, era riuscita a difendere un briciolo di sovranità nazionale è solo un ricordo, il dibattito oggi è fra chi è l’alleato più affidabile per Washington. Quando uscì l’audio di Berlusconi nel quale venivano espressi giudizi poco lusinghieri su Zelensky, i politici italiani, da Letta alla Meloni, da Conte a Fratoianni, hanno fatto a gara per attaccare l’antiatlantismo del Cavaliere.
In questo quadro, il dato più importante che emerge è che l’asse fra Russia e Cina è saldo. Certamente Pechino non vive bene un conflitto che sta precipitando l’Europa, un importante partner economico, in una preoccupante crisi economica, ma nonostante questo non arriverà mai a rompere con Mosca. Pesa innanzitutto su questa scelta la cooperazione economica fra un Paese ricco di materie prime e un Paese energivoro. L’asse fra i due paesi non si spiega però solo con la cooperazione economico-commerciale; questa vicinanza è tale perché ha un avversario comune: gli Stati Uniti. Russia e Cina vogliono un mondo multipolare che limiti lo strapotere di Washington. In quest’ottica emerge il ruolo dell’India sempre più distante dagli Stati Uniti, un dato a cui è stato dato scarso risalto ma che è forse l’elemento di maggiore cambiamento portato da questa crisi.
Conclusioni
Nonostante le miserie nostrane il mondo sta cambiando, e il modello unipolare statunitense sta tramontando. Questa guerra è il primo atto del nuovo ordine mondiale. Una nuova Jalta è oggi una necessità, ben sapendo che parlare di nuova Jalta non vuol dire pensare a un mondo fatto di cooperazione e pace. Così come non lo è stato fino all’89 non lo sarà nemmeno nel prossimo futuro. Quello che si prefigura è un sistema multipolare in cui il diritto internazionale torni a essere parte integrante delle relazioni fra Stati. Questo vorrà dire che l’ONU dovrà ritrovare una sua centralità, e per farlo sarà necessaria una trasformazione che prenda atto di come il mondo stia cambiando. Basti pensare, ma è solo un esempio, a quello che sta succedendo in Africa, dove l’imperialismo francese viene cacciato da una lotta di popolo che innalza nelle sue manifestazioni le fotografie di Xi Jinping e Putin. In Italia si può guardare a quello che succede in Africa con un misto di accuse di neocolonialismo rivolto alla Cina e di razzismo verso gli africani incapaci di adottare il nostro sistema, ma la realtà è che il ruolo russo – ma soprattutto la crescita cinese – stanno ponendo le basi per un nuovo ordine mondiale.