Dopo aver affrontato brillantemente la prima ondata di COVID-19, il Vietnam sembrava aver cancellato definitivamente il virus dal proprio territorio. Per 99 giorni, il Paese non ha registrato nessuna positività, se non quelle di coloro che venivano rimpatriati dall'estero (circa 16.000 persone su sessanta voli speciali), prontamente messi in quarantena all'arrivo.
In pochi potevano allora immaginare che Đà Nẵng, città costiera che fu porto coloniale francese e che oggi rappresenta un'ambita meta turistica, sarebbe diventata l'epicentro della seconda ondata, ancora più violenta della prima. Il 24 luglio, le autorità cittadine hanno annunciato di aver testato oltre cento persone e messo in quarantena più di cinquanta individui conseguentemente al risultato positivo di un test effettuato a un cinquantasettenne che si era recato in ospedale a causa della forte tosse. In seguito al risultato del tampone, l'ospedale è stato immediatamente chiuso.
“Abbiamo preso una misura senza precedenti, che è quella di condurre test in aree ad alto rischio a Đà Nẵng utilizzando test anticorpali con un kit di test di fabbricazione vietnamita”, ha detto il ministro della sanità Nguyễn Thanh Long. Il ministero ha anche attivato un sistema di tracciamento per le persone che sono entrate in contatto con il “paziente 416”.
La città di Đà Nẵng ha poi bloccato tutti i voli di rimpatrio diretti verso l'aeroporto locale, che sono stati dirottati verso altre località, come richiesto dallo stesso ministro della sanità. Le autorità cittadine hanno deciso di chiudere i servizi “non essenziali” e di bloccare i flussi turistici verso la località balneare. Ai residenti è stato chiesto di mantenere una distanza minima di un metro tra le persone nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli ospedali. Sono state inoltre vietate le attività festive, le cerimonie religiose, i tornei sportivi e gli eventi affollati in luoghi pubblici e stadi.
Di fatto, è stata imposta una nuova campagna di distanziamento sociale per la sola città di Đà Nẵng: “Dobbiamo essere risoluti, altrimenti falliremo in questa campagna anti-pandemia”, ha dichiarato il primo ministro Nguyễn Xuân Phúc. “Non abbiamo parlato di un lockdown per Da Nang in questo momento, ma devono essere applicate misure di distanziamento sociale”.
Anche a livello nazionale, il Vietnam è tornato ai protocolli di prevenzione delle pandemie su aerei, treni, navi e autobus. Il Ministero dei Trasporti ha incaricato tutti gli operatori del settore di installare disinfettanti per le mani, di garantire che tutti, compreso il personale, indossino maschere facciali nelle stazioni e sui veicoli e di controllare le temperature di tutti i passeggeri. I Comitati Popolari di numerose città hanno inoltre richiesto di misurare la temperatura e verificare lo stato di salute dei passeggeri provenienti da Đà Nẵng. Il 28 luglio, infine, il Ministero dei Trasporti ha bloccato tutti i collegamenti con la città di Đà Nẵng per via terrestre, aerea o marittima.
Oltre alle misure prese per contenere i nuovi contagi, il governo vietnamita si è subito messo all'opera per capire l'origine del focolaio di Đà Nẵng. Nonostante gli oltre 400.000 test effettuati, il Vietnam non aveva registrato casi positivi per oltre tre mesi, e di conseguenza il contagio non poteva aver avuto origine all'interno del Paese. Il 25 luglio, il primo ministro Nguyễn Xuân Phúc ha annunciato il possibile collegamento del nuovo focolaio con un gruppo di cittadini stranieri entrati illegalmente nel Paese, visto che il Vietnam mantiene tuttora le frontiere chiuse, ad eccezione dei voli di rimpatrio e degli specialisti stranieri autorizzati a lavorare nel Paese (tutti comunque sottoposti a quarantena obbligatoria).
A metà luglio, infatti, la polizia vietnamita aveva fermato un gruppo di trentuno cittadini cinesi, e nei giorni successivi altri ventuno stranieri, prevalentemente cinesi, sono stati individuati nella città di Đà Nẵng. Le indagini hanno portato all'arresto di due vietnamiti e di un cinese che avrebbero favorito l'immigrazione irregolare dalla Cina. Anche nella provincia di Quảng Nam, situata a sud di Đà Nẵng, le forze dell'ordine hanno identificato ventuno irregolari, tutti messi prontamente in quarantena.
Nel nord del Paese, nella provincia costiera di Quảng Ninh, le forze di polizia hanno poi arrestato sei vietnamiti coinvolti nell'organizzazione di migrazioni clandestine. Secondo le ricostruzioni, i sei avrebbero utilizzato delle zattere per trasportare i cittadini cinesi dalla città di Dongxing a quella di Móng Cái (le due città si trovano al confine, separate solamente dal corso di un fiume, chiamato Sông Ka Long in vietnamita e Beilun in cinese). In seguito a queste rivelazioni, Nguyễn Văn Sơn, viceministro per la Pubblica Sicurezza, ha puntato il dito contro “una gestione dell'immigrazione lassista” in alcune località, invitando ad intensificare i controlli nelle aree di confine.
Tenendo conto della scoperta di questi flussi immigratori irregolari, i cui arresti sono proseguiti anche nei giorni successivi, le autorità sanitarie hanno intensificato i test nelle località indicate, scovando decine di nuovi casi positivi collegati prevalentemente al focolaio di Đà Nẵng. La solerzia nel prendere le misure necessarie ha permesso di mettere in quarantena e di testare nell'arco di pochi giorni centinaia di persone nella città di Đà Nẵng e nella vicina provincia di Quảng Nam.
Gli scienziati vietnamiti hanno inoltre reso noto che il coronavirus responsabile dei casi più recenti appartiene ad un nuovo ceppo più contagioso di origine straniera, come rivelato dall'analisi genetica, fatto che conferma il collegamento del focolaio con l'ingresso illegale di cittadini stranieri nel Paese. Il ministro della sanità Nguyễn Thanh Long ha infatti ricordato che in precedenza in Vietnam erano stati individuati cinque ceppi distinti di COVID-19, ma il ceppo di Đà Nẵng non fa parte di nessuno di questi: “Il nuovo ceppo proviene da fuori del Vietnam, ma non sappiamo da quale Paese. Il Ministero della Sanità ha presentato i dati del nuovo ceppo a una banca genetica mondiale per il confronto”.
Come previsto da Nguyễn Thanh Long, il nuovo ceppo si è rivelato più contagioso e più aggressivo rispetto a quelli precedentemente registrati in Vietnam. Considerando anche coloro che sono risultati positivi al momento del rimpatrio, il Paese aveva registrato solamente 415 casi positivi fino al 24 luglio. Dalla scoperta del primo positivo a Đà Nẵng, questi sono raddoppiati nell'arco di pochi giorni, arrivando a quota 841 il 9 agosto. Inoltre, fino al 30 luglio il Vietnam non aveva registrato nessun morto a causa del COVID-19: il 31 luglio, invece, il Paese ha dovuto registrare i primi due decessi, che sono saliti ad undici nei giorni successivi.
Come in occasione della prima ondata, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è complimentata il Vietnam per la sua rapida risposta alla seconda ondata e per l'efficacia del programma di rimpatri per i cittadini rimasti bloccati all'estero. Secondo Park Ki-Dong, rappresentante dell'OMS in Vietnam, i casi sono destinati ad aumentare nel futuro prossimo, ma questo “dimostra che il sistema di sorveglianza delle malattie funziona in modo efficace, permettendogli di trovare i casi rapidamente e in tempo”. “Crediamo che il Vietnam sarà in grado di rilevare rapidamente i casi di infezione, rintracciare quelli sospetti e localizzare le aree colpite per reprimere i focolai”, ha aggiunto.
Park ha anche aggiunto che il Vietnam ha applicato una “politica umanitaria che potrebbe rafforzare la fiducia delle persone nel governo”, come dimostrano i voli speciali organizzati per rimpatriare centinaia di cittadini bloccati in Paesi fortemente colpiti dalla pandemia e l'assistenza che il governo vietnamita ha fornito ai Paesi in difficoltà.