Grexit o un nuovo asse con Russia e Cina?

Uno spettro si aggira per l'Europa, e non è il comunismo ma la Grexit: l'uscita della Grecia dall'Euro, il default. La notizia è sempre la stessa e - come è noto - viene rimessa in circolazione ogni volta che Atene prova a opporsi ai pressing tedeschi su riforme e misure di austerity, senza le quali i rubinetti del prestito vengono chiusi. 


Grexit o un nuovo asse con Russia e Cina?

Mentre la Grecia aspetta i 7,2 miliardi di euro promessi a febbraio e che ancora non arrivano, la crisi di liquidità mette a rischio anche il pagamento degli stipendi. Il governo greco prova a non cedere e si guarda intorno per trovare nuovi alleati interessati a investire in Grecia: questo inedito asse potrebbe fruttare subito 15 miliardi. 

di Luigi Mazza 

Uno spettro si aggira per l'Europa, e non è il comunismo ma la Grexit: l'uscita della Grecia dall'Euro, il default. La notizia è sempre la stessa e - come è noto - viene rimessa in circolazione ogni volta che Atene prova a opporsi ai pressing tedeschi su riforme e misure di austerity, senza le quali i rubinetti del prestito vengono chiusi. 
Ma il fatto è che adesso la Grecia è in grave crisi di liquidità: nelle casse di Atene ci sono appena 2 miliardi di euro e, dopo la scadenza dell'8 aprile scorso della tranche di 460 milioni di euro da restituire al Fondo Monetario Internazionale, altre scadenze incombono: non solo un altro miliardo circa da ridare al FMI come parte del piano di salvataggio del 2010, ma soprattutto il pagamento degli stipendi statali. Nella situazione attuale, ha fatto sapere il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis, i pagamenti sono garantiti fino a maggio. E per assicurarsi di poter erogarli il governo guidato da Syriza, con un decreto, sta obbligando tutte le amministrazioni locali e gli enti statali periferici, esclusi i fondi pensione, a dirottare le proprie liquidità nelle casse centrali a causa di “bisogni estremamente urgenti e imprevisti”.

La crisi di liquidità greca, nell'immediato, ha un'unica soluzione: quei 7,2 miliardi di euro promessi dall'Eurogruppo il 24 febbraio scorso come prolungamento degli aiuti a quattro mesi per pagare i creditori. Soldi che però le banche della Grecia non hanno ancora incassato perché il primo ministro greco non starebbe mantenendo gli accordi: mettere mano alle imposte, rivedere la spesa pubblica e riformare il mercato del lavoro. Tsipras deve mediare fuori dalla Grecia per rendere più soft le riforme che chiede l'Europa, e all'interno per evitare emorragie nella coalizione di governo come nel consenso popolare per il programma elettorale finora disatteso: “stiamo cercando un compromesso onesto, ma nessuno si aspetti un accordo incondizionato da parte nostra”, ha dichiarato il premier greco in Parlamento. Ma non solo: secondo molti osservatori e analisti europei a ritardare l'erogazione del prestito, e dunque a tenere la Grecia col cappio al collo, sarebbero gli stessi creditori europei per far valere le proprie condizioni usuraie. Ambrose Evans-Pritchard, paragonando la Grecia di Tsipras al Guatemala di Arbenz, il cui esperimento di riforma agraria fu “spento da un colpo di stato della CIA nel 1954”, tre settimane fa scriveva sul «Telegraph» che “La Grexit forzata potrebbe radicare il sospetto, fra l'altro parecchio diffuso, che gli organi dell'UE altro non siano che degli 'agenti di riscossione crediti' dei paesi creditori. Renderebbe chiaro che il progetto di solidarietà del dopoguerra era solo una grande cazzata (humbug)”. 

Una grande cazzata! Una grande cazzata soprattutto se si considera che, in giro per l'Europa, è ormai chiaro a tutti che il debito della Grecia è insanabile, e che le misure adottate finora non hanno fatto altro che ingigantire il debito e far stagnare l'economia, dopo aver mandato a picco il pil (-26 punti percentuali) facendo guadagnare solo i creditori, principalmente le banche tedesche e francesi. Che il rischio Grexit sia alto lo ammette ormai anche l'associazione delle banche greche (EEDE), la quale ha fatto sapere che il limite di prestito a privati e aziende per il 2015 è stato dimezzato, da dieci a cinque miliardi per mancanza di liquidità e assenza di domanda.
Nonostante tutto ciò in Europa, e in Germania, il rischio che la Grecia esca dall'Euro, e che altre economie nazionali ne risultino “contagiate”, viene ignorato o minimizzato proprio adesso che sembra più concreto. Anche il presidente della BCE, Mario Draghi, ha ammesso che l'uscita della Grecia dall'Euro ci porterebbe in “acque inesplorate”: segno che, con un default sovrano che vale 330 miliardi di euro, la stessa Unione Monetaria sarebbe a rischio. 

Negli ultimi tempi il governo greco si guarda intorno e va alla ricerca di altri interlocutori e possibili alleati. Il governo di Syriza sembra avere due carte in mano: la Russia e la Cina. La prima Atene l'aveva già scoperta dopo le elezioni greche dichiarandosi contraria alle sanzioni UE contro la Russia. Ora Tsipras se la sta rigiocando prima minacciando il veto sulle stesse sanzioni (che indeboliscono l'export greco), e poi tramite ministro greco dell'Energia, Panagiotis Lafazanis, che in visita a Mosca ha dichiarato “forte interesse” per il Turkish Stream, un nuovo gasdotto con cui la Russia potrebbe rifornire di gas la Turchia passando proprio per Mar Nero e Grecia. Il legame tra i due stati ortodossi, già auspicato in campo agricolo e alimentare da Putin con l'annuncio di una joint venture e di accordi a partire dal 2016, creerebbe un asse poco gradito in Europa.
E poi c'è la Cina. In cambio dello sblocco di una parziale (33%) privatizzazione del porto del Pireo, che permetterà grandi affari al Gruppo Armatoriale cinese Cosco, e di altri possibili affari sulla rete ferroviaria ellenica, Pechino ha acquistato 100 milioni di euro di Buoni del Tesoro greci.
Questo nuovo asse, come anticipato dal «Der Spiegel», potrebbe portare nelle casse di Atene fino a 15 miliardi di euro - più del doppio, dunque, di quelli che la Troika tentenna a dare in questi giorni.

Questi accordi potrebbero tradursi in un'arma in più per la Grecia nello scontro con la Troika che, se fino a poche settimane fa sembrava sul punto di poter obbligare Tsipras a rimpastare il governo aprendo al Pasok, da domani potrebbe invece ritrovarsi a fare i conti con un inedito asse che stravolgerebbe gli equilibri geopolitici ed economici fin qui conosciuti. E la Grecia, al tavolo della Nato, non è solo un piccolo Paese del Mediterraneo. 

25/04/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Luigi Mazza

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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