Se qualcuno ha voglia di documentarsi sulla supposta “crisi umanitaria” in Venezuela, per alcuni scatenata dalle misure economiche prese dalla Rivoluzione Bolivariana, si troverà di fronte a informazioni e video profondamente contraddittori. Per esempio, secondo l’emittente pubblica tedesca DW, che adotta questa linea interpretativa, quasi 4 milioni di venezuelani (fenomeno mai verificatosi in America Latina) hanno abbandonato il loro paese a causa della carestia, dell’iperinflazione, della mancanza di un’alternativa politica. A partire dal 2017 i fuggitivi si sono recati soprattutto in Messico e negli Stati Uniti (in particolare Florida), dove costituiscono il terzo gruppo etnico per consistenza numerica dopo i cinesi e i messicani. Altri si sono diretti verso il Brasile e la Colombia, per poi raggiungere da lì altri paesi latinoamericani. Queste notizie sono ribadite da Vatican News, secondo cui più dell’80% della popolazione venezuelana è povera e generalmente si reca in luoghi in cui mangiare allestiti dal clero di quel paese, in mancanza dei quali morirebbe di fame.
Altre fonti, pur non negando le difficoltà in cui si trova a vivere da tempo la maggioranza della popolazione venezuelana, in gran parte certamente povera, che non ha a disposizione beni elementari, farmaci e che spesso si trova coinvolta in episodi di violenza, cercano di mostrare che sostanzialmente la vita quotidiana si svolge nella normalità. Queste stesse fonti hanno messo in risalto l’accordo recentemente raggiunto dal Presidente Maduro e da alcuni gruppi minoritari dell’opposizione, ritenuto inaccettabile dagli altri membri di quel tanto conflittuale settore, tra i quali spicca l’ineffabile ma fallimentare per gli Stati Uniti aspirante Presidente Juan Guaidó. L’accordo, sostenuto dall’onnipresente Vaticano [1], stabilisce che 50 deputati del PSUV torneranno al Parlamento, dopo averlo abbandonato tre anni fa per far parte dell’Assemblea costituente nazionale, che sarà istituito un nuovo Consiglio nazionale elettorale, saranno liberati alcuni “prigionieri politici”, si praticherà lo scambio tra petrolio, farmaci e servizi. Il primo ad essere stato liberato è Edgard Zambrano, mano destra di Guaidó, che era stato messo in carcere per aver appoggiato il fallito sollevamento militare contro la Rivoluzione bolivariana dello scorso mese di aprile.
Forse possiamo ricavare un qualche elemento di verità da un’interessante intervista (dedicata all’attuale politica statunitense verso l’America Latina), trasmessa da Telesur lo scorso 11 settembre, fatta da Jorge Gestoso ad Alex Main, direttore del Centro di ricerche economiche e politiche (CEPR), con sede a Washington [2]. Questo centro di ricerca ha recentemente pubblicato una relazione sulle cause della disastrosa situazione venezuelana, attribuendone la responsabilità in grande misura alle sanzioni decise dal Presidente Trump contro il paese governato dal “dittatore” Maduro, esponente pericoloso della declinante amenaza roja in America Latina. Sanzioni che, a partire dal mese di agosto del 2017 al 2018, avrebbero provocato più di 40.000 morti.
Il rapporto, scritto da due economisti del centro, Mark Weisbrot e Jeffrey Sachs, afferma: “Le sanzioni stanno privando i venezuelani dei farmaci salvavita, strumenti medici, cibo ed altro materiale indispensabile. Per le leggi statunitensi, per quelle internazionali e per i trattati siglati dagli Stati Uniti tutto ciò è illegale. Il Congresso dovrebbe decidersi a bloccare questa politica”. Il riconoscimento da parte dell’amministrazione Trump di un governo parallelo il passato gennaio ha dato vita a una nuova serie di sanzioni commerciali e finanziarie devastanti per l’economia e per il paese. Esse rendono sempre più difficile – come del resto ha dichiarato il Presidente Maduro – il pagamento delle medicine e degli altri beni essenziali importati in un contesto di scambio limitato con gli altri paesi.
In Venezuela – afferma uno dei coautori del rapporto – tutti condannano la crisi, ma non si tratta solo di questo: le sanzioni statunitensi mirano deliberatamente a far naufragare l’economia venezuelana per favorire così un cambiamento di regime. Si tratta di una scelta politica gretta, crudele, illegale, fallimentare e che causa gravi danni al popolo di quel paese. Inoltre, le sanzioni del 2017 hanno contribuito al declino della produzione del petrolio, bene primario del Venezuela; declino acuito dalle nuove sanzioni del gennaio 2019 [3], le quali, se continuassero determinerebbero la riduzione del 67% della produzione petrolifera, provocando ancora più ingenti perdite di vite umane. Questa conclusione è ricavata dal fatto che circa 80.000 individui con l’HIV non ricevono più il trattamento antiretrovirale dal 2017; a questi dobbiamo aggiungere i 16.000 che hanno bisogno della dialisi, i 16.000 malati di cancro, i 4 milioni di diabetici e di ipertesi, i quali non possono ricevere più le cure adeguate, in particolare per la grave difficoltà di conseguire l’insulina e i farmaci cardiovascolari.
D’altra parte, Alex Main non nega che il governo bolivariano abbia compiuto errori, contribuendo così allo scatenamento della crisi; errori che – come sostiene il Partito comunista del Venezuela - dovrebbero essere corretti al più presto anche per il possibile intervento militare prefigurato dall’attivazione del TIAR [4] e dal dimostrato legame tra Guaidó e i paramilitari colombiani. Nello specifico, Tribuna popular, organo del PCV, invita il Presidente Maduro a concretare il suo dichiarato antimperialismo in misure precise, quali per esempio l’espropriazione delle imprese statunitensi con sede in Venezuela (come Procter & Gamble), i loro attivi bancari, come l’amministrazione Trump ha fatto con la Citgo Petroleum Corporation, la società di raffinazione del petrolio con tre installazioni negli Stati Uniti, in gran parte di proprietà di PDVSA, da cui si è distaccata per accogliere le sanzioni statunitensi del 2019.
Se i media occidentali, soprattutto statunitensi, dedicano molto spazio alla crisi del Venezuela, è perché – secondo Main – Trump ha promesso al suo elettorato la cacciata di Maduro e la messa in crisi della Rivoluzione cubana, che per la loro ideologia socialista costituirebbero una seria minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Questo progetto è stato elaborato insieme al senatore di estrema destra Marco Rubio, che garantirebbe al Presidente miliardario la vittoria in Florida, Stato importantissimo da conquistare nelle prossime elezioni presidenziali del 2020. Un’altra promessa è il completamento della costruzione del famoso muro tra il Messico e gli Stati Uniti, che dovrebbe impedire l’arrivo di altri affamati latinoamericani.
Viceversa, la fame in Argentina, che ha suscitato imponenti mobilitazioni popolari, non merita lo stesso spazio, perché in questo caso bisognerebbe mettere sotto accusa il neoliberale e corrotto Mauricio Macri. La BBC Mundo si pone il problema delle ragioni di questa drammatica situazione, segnalando che si tratta di un paese che non dovrebbe confrontarsi con questi problemi, in quanto produttore di alimenti (soia, grano, carne, miele etc.) per 440 milioni di persone, ossia 10 volte il numero dei cittadini argentini. Le ragioni di questo drammatico fenomeno, che non garantisce un’alimentazione sufficiente neanche ai bambini, sarebbero la povertà (dovuta alla grande diffusione del lavoro informale), la distribuzione diseguale della ricchezza e, dulcis in fundo, la mancanza di generosità. La FAO Argentina aggiunge anche il problema dello spreco al 12% della produzione dovuto anche alla mancanza di educazione.
Benché anche la BBC non possa negare che la fame sia il prodotto della povertà, in cui è stata gettata negli ultimi anni la maggioranza della popolazione argentina, tenta di trasformare il problema in termini culturali, sostenendo che gli affamati più che poveri sono marginali (?) e quindi invisibili. A causa della loro invisibilità, assai problematica giacché in questi mesi ci sono state significative manifestazioni per richiedere la distribuzione di alimenti attraverso comedores pubblici, l’argentino, per sua natura solidario, non si rende conto del problema. Perciò, sarebbe necessario rendere visibile la fame di circa un milione di argentini (solo?), per superare questa mancanza di vocazione alla generosità (in contraddizione con il supposto spirito solidaristico degli argentini).
Di tutt’altro tenore è l’opinione dell’economista Noemi Brenta, eminente studiosa delle politiche del FMI, la quale attribuisce la responsabilità della situazione argentina, e anche di altri paesi non solo latinoamericani, all’accettazione di prestiti da parte di questa istituzione dominata dagli Stati Uniti in cambio delle cosiddette politiche de ajuste (restringimento),che hanno significato tagli alle spese sociali, attacchi ai diritti dei lavoratori, precarizzazione del lavoro etc., producendo sempre più disoccupazione (con Macrí un milione in più di disoccupati). Politiche che anche noi europei conosciamo e assai bene, e che i paesi, bisognosi di sostegno economico, potrebbero evitare solo nel caso dell’instaurazione di un nuovo sistema finanziario internazionale non più dominato dal dollaro. Sistema che sembrerebbe fare i primi passi e verso cui anche noi dovremo convergere.
Note
[1] Bisogna sottolineare che il Vaticano, riuscito a ritagliarsi il ruolo di mediatore nelle varie controversie internazionali, ha conseguito lo scopo di presentarsi come un’istituzione pacificatrice, pur continuando più o meno sottobanco a sostenere i veri aggressori.
[2] Una buona norma da seguire in una ricerca critica è documentarsi su quello che dicono i responsabili di un fenomeno o coloro che gli sono più prossimi.
[3] Tale diminuzione ha provocato la mancanza del petrolio a Cuba, anche perché il governo statunitense impedisce l’arrivo delle petroliere venezuelane all’isola caraibica.
[4] Trattato interamericano di assistenza reciproca che autorizza gli Stati Uniti e i loro alleati ad intervenire in un paese del continente nel caso di minacce provenienti da potenze extra-continentali (in questo caso Russia e Cuba). Giustificazione del tutto ridicola, come si può ben capire.