Il vertice degli stati americani in corso a Panama sancisce un’ulteriore tappa nella normalizzazione dei rapporti tra il governo cubano e l’amministrazione U.S.A. Prossimo obiettivo quello della fine del bloqueo affinchè Cuba possa svolgere pienamente sulla scena internazionale il ruolo importante che viene dalle sue conquiste e dalla sua storia rivoluzionaria.
di Fabio Marcelli
La decisione, assunta concordemente dai governi cubano e statunitensi , di dar vita a una nuova fase di relazioni reciproche, costituisce evidentemente un fatto storico che va adeguatamente compreso in tutta la sua portata. Essa costituisce peraltro, a oggi, uno dei pochi elementi positivi di una presidenza, quella di Obama, eletta con promesse di grandi cambiamenti sul piano internazionale che in realtà si sono realizzati solo in minima parte.
Ma cominciamo dalle cause di tale storica decisione. Non mancano coloro, gli eterni pessimisti talmente votati e abituati alla sconfitta e all’emarginazione da vedere con disdegno e diffidenza ogni evento che abbia anche solo l’apparenza della vittoria, che fiutano, con tutta l’astuzia di cui sono capaci i loro indomiti cervelli, la “fregatura”. Si tratterebbe invero di uno stratagemma dell’Impero per tornare finalmente in forze a Cuba, magari non coi marines ma con eserciti altrettanto temibili di rumorosi turisti avidi di divorare in men che non si dica ogni specie di bellezza fra quelle realmente notevoli che Cuba offre, da quelle paesaggistiche a quelle muliebri, passando per quelle musicali ed artistiche. Secondo tale visione il socialismo può conservarsi solo badando bene a mantenersi isolato a tenuta stagna dal resto del mondo e in particolare dall’enorme e vorace vicino imperialista. Versione capovolta di tale approccio inconsistente è fornita da coloro che sostengono che il bloqueo in realtà sia stato per tutti questi anni il principale supporto a quella che continuano a definire dittatura castrista.
Si tratta di un’impostazione totalmente sbagliata in tutte le sue versioni.
In primo luogo perché la decisione di Obama è stata adottata quando la parte più lucida dell’amministrazione statunitense si è resa conto che Cuba era un osso troppo duro per venir piegato con la forza e le intimidazioni, come abbondantemente dimostrato dal fatto che il nuovo quadro latinoamericano, per buona parte frutto proprio dell’esistenza e della resistenza di Cuba, si dimostrava - come logico - del tutto propizio a nuovi rapporti fra Cuba e gli Stati dell’area, che ricevevano un adeguato suggello con il reingresso della stessa all’interno dell’Organizzazione degli Stati americani, per non parlare del ruolo da protagonista assoluto assunto dal governo dell’Avana rispetto all’ALBA ed al CELAC.
In secondo luogo, perché proprio il venir meno dell’embargo e l’instaurazione di relazioni di scambio paritario fornirebbero un quadro più favorevole all’avanzamento della rivoluzione non solo a Cuba, ma in tutto il continente americano, Stati Uniti compresi. Nessun cedimento sul piano dei principi è infatti stato annunciato ed è anche solo lontanamente previsto. E non in modo fideistico, ma sulla base dell’analisi spassionata ed obiettiva degli ultimi cinquanta e più anni di storia, si ha ben diritto di nutrire fiducia nei confronti di Cuba e della sua capacità di governare il cambiamento garantendo per l’appunto il rispetto del socialismo.
Ovviamente però questa è solo una parte del discorso. Il riavvicinamento, per molti versi forzato, a Cuba, è stato infatti vissuto dalla stessa amministrazione statunitense come forma di ritirata tattica per poter concentrare le forze su altri anelli, a loro avviso più deboli, della situazione latinoamericana, primo fra tutti il Venezuela. Manovra ovviamente fallita dato l’appoggio unanime ribadito da tutti gli Stati della regione, con Cuba in testa, al legittimo e popolare governo di Nicolas Maduro.
Occorre poi tener conto del fatto che Obama non è affatto egemone a livello parlamentare e che per tradurre in realtà la fine del bloqueo sono necessari vari passaggi parlamentari dove la destra repubblicana si accinge a schierare le sue forze. Riuscirà tale destra a fermare lo scongelamento del bloqueo? Se ne può dubitare, dato che in questo caso esiste uno schieramento bipartisan favorevole, per varie ragioni, a rapporti di distensione e scambio paritario tra Cuba e Stati Uniti.
Ma la partita è ancora aperta su questi ed altri piani.
Compito del movimento di solidarietà e di tutti coloro, me compreso, che continuano a vedere in Cuba e nelle sue conquiste un faro di civiltà negli attuali per molti versi sconcertanti e scoraggianti frangenti della situazione internazionale, è far sì che vada in porto senza riserve il processo avviato da Obama e Raul. Nella consapevolezza che Cuba, forte dell’esperienza di oltre cinquantacinque anni di rivoluzione, ha molto da dire sulle questioni che oggi l’umanità si trova di fronte, dalla crisi economica a quella ambientale, dalla guerra nucleare al terrorismo. E deve poterlo fare in modo sempre più autorevole, efficace e tranquillo.