Corbyn, le elezioni in Grecia e noi?

La sorpresa della grande affermazione di Corbyn e di Syriza offrono un terreno più avanzato alle forze comuniste. Quale ruolo può giocare la sinistra di classe in Italia?


Corbyn, le elezioni in Grecia e noi?

La magnifica sorpresa della grande affermazione di Corbyn e di Syriza offrono un terreno più avanzato alle forze comuniste. Si apre una reale possibilità di mettere in discussione da sinistra l’Unione europea. D’altra parte non sfruttare in modo adeguato la fiducia data dalle masse a forze che rappresentano un’opposizione di sinistra potrebbe comportare un’enorme delusione. In tale delicato frangente quale ruolo può giocare la sinistra di classe in Italia?

di Renato Caputo

I risultati elettorali di Corbyn nelle primarie del Labour Party e di Syriza nelle elezioni greche sono andati oltre le più rosee aspettative. Dopo i terribili anni dell’era Blair e la pesante sconfitta dei laburisti nelle elezioni politiche, la cui causa secondo l’opinione pubblica borghese era dovuta a una presunta svolta a sinistra del partito, quasi nessuno poteva immaginare che un quasi sconosciuto esponente della sinistra radicale potesse imporsi con quasi il sessanta per cento dei consensi, pur avendo contro tutti i grandi mezzi di comunicazione e gli apparati del suo stesso partito.

Allo stesso modo ben pochi avrebbero immaginato che nel giro di un anno Syriza ottenesse per tre volte degli ottimi riscontri sul piano elettorale, pur non essendo riuscita a realizzare molto del proprio programma e pur avendo firmato il pesantissimo memorandum imposto dall’UE, nonostante il popolo greco si fosse da poco espresso a grande maggioranza contro una proposta più blanda.

In una fase storica di estrema debolezza della sinistra di classe in particolare europea, nonostante la gravissima crisi del modo di produzione capitalistico, tali risultati sono una boccata di ossigeno indispensabile per il morale di chi si batte per soddisfare i bisogni dei subalterni. Tanto più che ciò dimostra come l’imperialismo sia certo una tigre, ma di carta, come ricordava Mao Tse Tung, considerata la sua enorme perdita di credibilità. Nonostante il suo controllo dei potentissimi strumenti per la formazione del consenso e la debolezza e la non certo alta credibilità della sinistra radicale non è stato in grado di impedire tali esiti elettorali.

D’altra parte tali insperate affermazioni aumentano in modo esponenziale le responsabilità che ricadono su Corbyn e Tsipras e più in generale sui loro sostenitori. Responsabilità non solo per la fiducia accordatagli da settori tanto consistenti delle masse popolari, ma per le aspettative che suscitano fra i lavoratori del continente. Se tali successi non consentiranno un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei subalterni e non permetteranno un qualche cambiamento dei rapporti di forza a livello europeo la conseguente delusione non solo avrà effetti molto deleteri sulla credibilità della sinistra radicale europea nel suo complesso, ma favorirà oggettivamente l’affermazione delle forze populiste di destra.

Tali successi rischiano di essere vanificati o addirittura potrebbero avere un effetto boomerang, se non saranno sfruttati per rilanciare su un terreno più favorevole le lotte sociali in Grecia, in Gran Bretagna e più in generale nel resto d’Europa. In casi del genere, in effetti, il primo grande rischio che si corre è di favorire il meccanismo della delega, come se un’affermazione elettorale e il controllo di un governo siano sufficienti di per sé a garantire gli interessi dei subalterni. Al contrario il meccanismo della delega non può che favorire la classe dominante e la capacità dei poteri forti, per altro saldamente coordinati a livello europeo, di rendere del tutto inefficaci tali successi della sinistra radicale.

Tale pericolo è indubbiamente reale nel Regno Unito, dove il successo di Corbyn non giunge al culmine di una grande fase di sviluppo dei movimenti sociali. Anzi deve essere interpretato come un tentativo di arginare il pesante arretramento imposto dal governo conservatore dal punto di vista della lotta di classe. Ora la pesante sconfitta nel partito laburista dei socialiberisti offre la possibilità di ricostruire un’opposizione sociale efficace, con il vantaggio di non doversi nemmeno porre per i prossimi anni l’annosa questione della candidatura della sinistra radicale al governo di un paese imperialista.

Non sarà certamente la conquista della opposizione di sua maestà a consentire, di per sé, una rivincita nella lotta di classe. Tanto più che Corbyn sarà sotto il tiro incrociato di tutti gli apparati dello stato imperialista, a partire dai mezzi di comunicazione di massa, e della potente burocrazia del suo stesso partito, che farà di tutto per far fallire ogni speranza di una svolta a sinistra. In tale complessa situazione sarà decisiva la capacità che avrà la sinistra laburista di mobilitare le masse e di dirigere unificandolo e spingendolo in avanti il conflitto sociale.

Per quanto concerne i risvolti che tale nuovo scenario può avere sul contesto italiano, occorre innanzitutto accentuare il fatto che una campagna elettorale portata avanti con una piattaforma apertamente di sinistra, senza concessioni al senso comune opportunista imperante, può consentire un grande successo persino nella patria del liberalismo, la Gran Bretagna. Inoltre è un’ulteriore conferma della validità e attualità della tattica sviluppata dai classici del marxismo, da Marx a Engels a Lenin, per cui in paesi in cui la sinistra radicale è forte è necessario rompere con i socialdemocratici per costruire il partito della rivoluzione, mentre in paesi dove essa è ridotta ai minimi termini, piuttosto che isolarsi in una setta massimalista, è preferibile operare come frazione comunista all’interno di partiti di massa laburisti.

D’altra parte occorre fare attenzione a non cercare scorciatoie nell’esaltazione di strumenti assai discutibili e populisti come le primarie, che come hanno ampiamente dimostrato le elezioni regionali e comunali in Italia possono favorire l’illusione delle doti salvifiche del principio della delega e delle strategie riformiste. In secondo luogo non bisogna nemmeno illudersi troppo sulle potenzialità di una lotta tutta interna a formazioni politiche socialiberiste, dal momento che se tale lotta per l’egemonia non è legata all’internità e alla capacita di direzione di movimenti di massa rischia di produrre delle vittorie di Pirro.

Diverso è il caso del successo elettorale di Syriza. In questo caso, infatti, determinante sarà la scelta di utilizzare tale consenso per favorire lo sviluppo di un processo rivoluzionario, che non può che portare a un duro scontro con l’Ue e nei fatti a rendere impossibile una permanenza al suo interno. Se al contrario tale affermazione elettorale sarà utilizzata in un’ottica riformista, volta a far credere che sia possibile umanizzare un modo di produzione capitalista in profonda crisi e un’Unione europea strutturalmente liberista essa è destinata a trasformarsi in pesante sconfitta le cui tragiche conseguenze ricadranno in primo luogo sui subalterni che hanno in essa creduto. È la stessa crisi di sovrapproduzione a rendere nei fatti praticamente impossibile una politica riformista, visto che i margini degli extra-profitti da redistribuire sono praticamente nulli. Inoltre l’accrescersi dell’esercito di riserva a causa della crisi e degli inarrestabili flussi migratori rende debolissime le prospettive trade-unioniste. Ciò è tanto più impossibile all’interno di una Unione europea sorta e affermatasi in funzione anti socialista e che ha inserito negli stessi trattati modificabili solo all’unanimità, con la logica del pareggio di bilancio, il divieto di una politica anche blandamente keynesiana.

Da questo punto di vista estremamente preoccupanti sono le stesse prese di posizione dei dirigenti di Syriza che pretendono di portare avanti una politica socialdemocratica senza nemmeno prendere in considerazione la possibilità di una rottura con la UE e senza ripudiare il terzo memorandum firmato dal precedente governo Tsipras, che impone per i prossimi anni una politica di austerità e di lacrime e sangue per le classi subalterne.

Dal punto di vista della sinistra italiana la prima lezione da apprendere è che investire in una politica di lotte sociali contro le politiche liberali e di netta rottura con i socialisti europei è indispensabile per acquisire credibilità nei confronti delle classi subalterne. D’altra parte la sinistra di classe non deve mai perder di vista la lezione dei classici del marxismo, che a partire da Lenin ritengono utile agli interessi dei comunisti un governo dei riformisti, in modo da far apprendere alle masse come questi ultimi, non costituiscono più, secondo la lezione di Gramsci, l’ala destra del partito dei lavoratori, ma l’ala sinistra della borghesia.

Di certo gli intenti riformisti e le pratiche socialiberiste del primo governo Syriza non hanno avuto l’effetto sperato dai comunisti per la brevissima durata di tale governo, per la situazione da stato di assedio imposta al paese dall’UE, per la mancanza del tempo necessario a far comprendere gli effetti del terzo Memorandum e, infine, per gli errori anche gravi che hanno reso poco credibile la sinistra di classe. D’altra parte il notevole aumento dell’astensionismo, il calo del numero di votanti per Syriza e soprattutto la scarsissima partecipazione anche emotiva delle masse, anche dopo tale successo, che del resto non ha suscitato nessuna preoccupazione negli stessi mercati, è un chiaro segnale che si è trattato in buona parte di un voto scettico nell’ottica del meno peggio. Tale deciso calo dell’interesse di una parte significativa delle masse alla partecipazione politica e la crescita del sostegno ai nazionalsocialisti da parte dei settori dei disoccupati non può che essere considerato un ulteriore campanello d’allarme.

Alla luce di ciò non può che allarmare l’incondizionato sostegno dato alla preoccupante svolta della linea di Syriza in senso riformista da parte di buona parte dei dirigenti della sinistra radicale italiana. Tale posizione non solo non aiuta le forze rimaste dentro Syriza, determinate a contrastare la deriva riformista del partito, né favorisce le forze che operano al di fuori di essa per costruire l’opposizione sociale alle misure di austerità imposte con il terzo memorandum dall’Unione europea. Questo acritico riconoscersi nelle discutibili ed estremamente rischiose scelte della maggioranza di Syriza non lasciano prevedere nulla di buono, da parte di chi dovrebbe finalmente decidersi a ricostruire un fronte anticapitalista in grado di contrastare il governo sviluppando al contempo la necessaria rifondazione di una prospettiva comunista.

01/10/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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