Prima di entrare nel merito dei contenuti della bozza di legge di bilancio, corre l’obbligo di evidenziare alcune questioni attinenti ai problemi della pubblica amministrazione e ai fabbisogni reali di sanità ed enti locali.
Per mesi abbiamo verificato che la riduzione degli organici in sanità e la riduzione di spesa per la salute pubblica erano avvenute drenando capitali crescenti verso la sanità privata che nei mesi pandemici non è stata collaborativa, salvo poche eccezioni, nella cura degli ammalati di Covid e soprattutto non intende svolgere, per un evidente conflitto di interessi, alcun ruolo nella prevenzione.
Sempre in questi mesi abbiamo appurato che i contratti nazionali hanno determinato il rafforzamento della sanità e della previdenza integrative attraverso lo scambio diseguale tra salario e servizi.
Il governo asserisce di avere introdotto nella legge di bilancio adeguati fondi non solo per i rinnovi contrattuali, ma anche per le assunzioni nella pubblica amministrazione. Se guardiamo invece ai numeri reali la situazione è alquanto diversa.
Stando ai dati governativi arriveranno 52mila nuove assunzioni nel settore Pubblico, il 60% delle quali destinate alla scuola dove le carenze di organico sono a tutti note, come dimostra lo scarso numero degli insegnanti, di sostegno e non solo, e di educatori/trici.
E tutti gli altri settori?
Focalizziamo l’attenzione sulla sanità: gran parte dei soldi stanziati serviranno per la proroga di 37mila contratti a tempo determinato, numeri peraltro insufficienti se pensiamo ai riposi saltati dal personale, alle ferie soppresse, ai doppi turni e al costante ricorso agli straordinari (a recupero e non). E intanto dei contratti a tempo indeterminato in sanità si sta perdendo traccia.
In meno di quattro lustri la pubblica amministrazione ha perso 500mila posti di lavoro...
52.121 è la quantificazione dei nuovi ingressi nelle Pa centrali e locali, si dice in aggiunta al turnover ordinario senza però menzionare i pensionamenti straordinari, avvenuti con la quota 100.
Non si tratta di mettere in antitesi le assunzioni in un comparto o in un altro. Del resto nella scuola mancano 25mila insegnanti di sostegno, centinaia di assistenti di laboratorio, le figure di assistenza agli alunni con disabilità, fino al personale Ata.
Non è detto, inoltre, che i concorsi siano banditi nel corso dell’anno, nonostante un ragguardevole sforzo organizzativo di uffici con croniche carenze di personale: mancano medici Inps; vigili del fuoco, impiegati dell’Agenzia delle entrate, personale per le soprintendenze ai beni culturali, migliaia di tecnici nelle Province per seguire i cantieri aperti, amministrativi negli enti locali e ricercatori.
Le leggi finanziarie prima, di bilancio poi, hanno ottenuto l’effetto desiderato. Essendo strumenti non solo di regolazione contabile e finanziaria, ma di politica economica, ai nostri tempi di liberismo esasperato sono stati dispositivi funzionali ad abbattere lo stato sociale e i diritti dei lavoratori, a moltiplicare le diseguaglianze e a promuovere le privatizzazioni di servizi e rami strategici dell’economia. Se si volesse davvero invertire la rotta diventerebbe ineludibile l’introduzione di un’imposta sui grandi patrimoni e un ritorno a una maggiore progressività dei prelievi fiscali. L’alternativa è un ulteriore appesantimento del debito e nessuna mitigazione delle diseguaglianze che anzi, a emergenza terminata cresceranno ulteriormente perché l’obbligo a rientrare nei parametri costituirà un gravame sulla spesa pubblica a scapito delle persone con maggiori necessità.
La patrimoniale non può essere barattata con ulteriori detrazioni per il lavoro dipendente, magari a prescindere dai redditi, mettendo sullo stesso piano Cud inferiori a 25 mila euro e denunce dei redditi quattro volte maggiori. Il problema non è solo quello di far pagare meno tasse a chi lavora e percepisce redditi inferiori a 40mila euro; si tratta di far pagare le tasse in maniera crescente e progressivo, ai redditi in particolare ai grandi capitali e alle aziende che hanno delocalizzato produzioni e imprese pur continuando a ricevere ammortizzatori sociali e finanziamenti a fondo perduto.
Il governo Conte ha optato per la classica via liberista della riduzione delle tasse sperando che questa decisione spinga le aziende ad assumere o a non licenziare (ma allo stesso tempo ha accolto la richiesta confindustriale di ripristinare i licenziamenti collettivi a inizio primavera e non a fine 2021 come richiesto dai sindacati); sarebbe sufficiente, e ancora possibile, estendere per tutto il 2021 il divieto dei licenziamenti collettivi e ricostruire un sistema fiscale con un maggior numero di aliquote. Avremmo così un gettito fiscale maggiore da investire per lavoro e welfare. La legge di bilancio invece è stata costruita sulla riduzione delle tassazioni lasciando dormire sonni tranquilli al capitale grande e speculativo, puntando tutto sui bonus e sulle detrazioni fiscali e lasciando inalterate le spese militari che si spingono verso il 2% del Pil.
E anche in materia previdenziale non c'è traccia della riduzione dell’età pensionabile alla luce della riduzione dell’aspettativa di vita. Nel dimenticatoio è finita la necessità di incrementare l’importo delle pensioni medio-basse rimettendo in discussione il sistema contributivo causa della perdita del potere di acquisto delle pensioni e del conseguente scippo del Tfr da parte dei fondi speculativi.
Al paese non serve una manovra fotocopia di quelle del passato, costruita con il bilancino per non scontentare le associazioni datoriali alle quali si regalano sgravi e finanziamenti senza alcun atto di indirizzo reale dello Stato per la gestione dell’economia.
Questi i nodi salienti di una manovra destinata a scontentare le classi sociali meno abbienti.