L’arrogante alzata di spalle di Renzi di fronte alla catastrofe elettorale del suo Partito è ridicola. Ma oltre che grottesco Renzi è pericoloso, perché ignorare questo allarme svela l’intenzione di procedere senza e contro la democrazia.
Si è rotto definitivamente un “blocco storico” (movimento operaio, cooperative, contadini, buongoverno degli amministratori locali) che aveva fatto per decenni la forza del PCI e della sinistra italiana e che – sempre più logoro e socialmente ambiguo - si era travasato per intero nel PDS e nel PD. Ma oltre che grottesco Renzi è pericoloso, perché ignorare questo allarme svela l’intenzione di procedere senza e contro la democrazia.
Il loro problema: come fare a comandare il Paese avendo solo il 15% del consenso, che diventa il 30% circa dei voti validi? A risolvere questo peoblema dovranno provvedere lo stupro della Costituzione e le leggi elettorali porcata che Renzi sta contrattando con Berlusconi.
Per Renzi il crollo del numero dei votanti (il 37,7% in Emilia, mentre era il 69,9% alle europee dello scorso anno e il 68,7 alle precedenti regionali) è un dato “secondario”. Anzi egli definisce quel crollo con un eufemismo tragicomico: “la non grande affluenza”. Si conferma l’affermazione di papa Francesco che dietro ogni eufemismo c’è un delitto.
Renzi liquida così, con arroganza degna di un “bulletto di Pontassieve” (un soprannome più che meritato) una vera e propria catastrofe, che riguarda tutta la democrazia italiana ma che in particolare riguarda il Partito di cui è segretario e il Governo di cui è Presidente. Il PD passa in
Emilia dai 1.212.392 voti del 2013 a 535.109 voti del 2014 (perde cioè due suoi elettori su tre e oltre 750.000 voti) e in Calabria passa da 267.376 voti a 185.025 (perde cioè altri 82.000 voti e più di un elettore su tre). Ma Renzi gioisce twittando giulivo: “2-0 netto! 4 regioni su 4 strappate alla dx in 9 mesi”. Il bulletto tifoso non capisce che il crollo del PD non significa per ora aumento per le altre liste solo perché gli elettori che hanno abbandonato il PD non hanno trovato ancora un altro partito credibile, ma resta il fatto politico cruciale che oltre 800.000 elettori hanno abbandonato in massa il PD in meno di un anno. Un altro paio di “vittorie” come queste e il PD non esisterebbe più.
Altrettanto ridicola è la tesi che il voto e la evidente condanna espressa dagli elettori non riguardino il Governo: “Avevamo detto che non era un referendum sul Governo, ora che il risultato è netto lo diciamo a maggior ragione. L’agenda non muta” (Renzi al GR1 delle 10 di lunedì 24/11) . Strana tesi: la vittoria elettorale delle europee riguardava il Governo, la sconfitta delle regionali invece no.
Ma c’è di più: l’Emilia-Romagna non è per il PD una regione come tutte le altre. Perdere due elettori su tre lì significa che si è rotto definitivamente un “blocco storico” (movimento operaio, cooperative, contadini, buongoverno degli amministratori locali) che aveva rappresentato per decenni la spina dorsale del PCI e della sinistra italiana e che – sempre più logoro e socialmente ambiguo - si era travasato per intero nel PDS e poi nel PD.
Queste reazioni ridicole di Renzi non rivelano solo la spaventosa mancanza di cultura politica che caratterizza il renzismo (il berlusconismo 2.0), ma rappresentano anche una minaccia, sempre più grave, per la democrazia italiana.
Infatti la democrazia richiederebbe di tenere nel massimo conto il voto popolare e il suo significato, e dunque dovrebbe condurre Renzi a fermarsi, a cambiare rotta, a correggere le sue politiche antipopolari, ad abbandonare il suo attacco frontale al lavoro dipendente e perfino al Sindacato. Per il renzismo non è così: come ha detto una sua esimia esponente, il Parlamento è solo ciò che si frappone fra il dire e il fare; occorre dunque abolirlo o, almeno, metterlo nell’impossibilità di nuocere, cioè di contare. A questo debbono servire le cosiddette “riforme”, il compimento del piano istituzionale della P2 a cui Renzi sta lavorando d’intesa con il suo sodale e padrino Berlusconi.
Il problema che costoro hanno oggi di fronte è dunque uno solo: come fare a governare il Paese (e in modo autoritario, senza tenere alcun conto delle critiche e – come essi si esprimono – “senza fare prigionieri”) avendo solo il 15% del consenso fra la popolazione? Un consenso che può arrivare poi al 30% circa dei voti validi grazie all’aiuto dell’astensione?
Ammettiamolo: il loro problema non è affatto facile da risolvere. Per risolvere un tale problema a Renzi serve lo stupro della Costituzione, servono il presidenzialismo, la personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica, il bipartitismo coatto, le leggi elettorali-truffa con premi di maggioranza e sbarramenti, la mortificazione delle assemblee elettive, l’abolizione del voto di preferenza e, in generale, del potere di scelta dei cittadini.
Per questo Renzi riesce nell’impresa di essere al tempo stesso ridicolo e pericoloso. Molto ridicolo e molto pericoloso.