Non è un caso che la disfatta dell'esperienza del Brancaccio abbia rappresentato un passaggio politico importantissimo per tutti quei comunisti, sinceri antiliberisti, lavoratori sfruttati e, più in generale, per quei settori popolari che, ancora consapevoli di avere una non ben definita coscienza di classe, avevano vissuto con un senso di frustrazione il ripetersi di una serie di esperimenti politici fallimentari che, al di là della loro maggiore o minore radicalità, manifestavano sempre una sensazione d'impotenza, marginalità, confusione delle forze di sinistra in questo paese.
L'esperimento del Brancaccio nasceva da un assunto: Il partito democratico aveva tentato un attacco alla costituzione di marca così oligarchica e conservatrice che qualunque ipotesi di riannodare i legami con chi si era spinto così in avanti nel suo disprezzo per le classi popolari avrebbe incontrato una forte resistenza da parte di chi, a sinistra, non ne voleva sapere più di legami, anche indiretti, con quelle forze politiche che avevano attaccato così duramente gli interessi e la dignità dei settori popolari. E poiché permaneva una forte ambiguità da parte degli organizzatori di quell'esperienza con i vari Bersani, D’alema, Grasso e tutto il ceto politico che poi ha dato vita all'esperienza di Liberi e uguali, molti di noi hanno visto come una vera e propria liberazione l'appello del centro sociale Je so Pazzo di costruire quell'esperimento che andava portato avanti con maggiore radicalità e nettezza rispetto all'approccio avuto da Falcone e Montanari.
Il nome Potere al popolo ben definisce l'ambizione forte di chi partecipa a questo progetto: una forza di sinistra che è stanca di quel livello d’estraneità agli interessi profondi delle masse popolari incarnato da un ceto politico autoreferenziale perché interessato solo alla propria rappresentazione di sé, all'autoaffermazione della propria esistenza; tuttavia nel nome vi è anche l'ambizione di divenire potere al popolo, il fatto che esso rappresenta un progetto da realizzare, un obiettivo da raggiungere e non un dato già realizzato.
Tutte le forze organizzate che vi hanno aderito sono pienamente consapevoli - o almeno lo dovrebbero essere - dei propri limiti, ovvero del fatto che l'autoreferenzialità del ceto politico non è una caratteristica solo degli altri ma riguarda in parte anche loro (ed in parte tutti noi). E che il consenso delle masse va riconquistato con la prassi comune, con l'organizzazione politica che si muove collettivamente, che tenta di elaborare un progetto per l'uscita dalla crisi e che questo progetto lo sperimenta nel vivo delle lotte dei lavoratori e, più in generale, nelle lotte sociali. Ma anche nel momento in cui i lavoratori sondano la qualità, la realizzabilità effettiva del progetto - ovvero le elezioni.
Per noi comunisti le elezioni rappresentano questo: un riscontro del nostro operato generale, non su singole vertenze o lotte parziali - nelle quali, a volte alcuni di noi, anche se divisi, possono anche svolgere una funzione egemonica - ma sulla totalità delle questioni, sulla trasformazione effettiva dei rapporti sociali e di potere.
Secondo il mio punto di vista l'energia di Potere al popolo, l'entusiasmo che ha suscitato in molti anche dopo l'esito di poco più dell'1% nasce dalla consapevolezza di un punto chiaro: il rifiuto della marginalità da parte delle forze di sinistra popolari, il rifiuto del fatto che per avere una connessione con i bisogni delle masse popolari bisogna abbandonare una visione del mondo progressiva, emancipatrice e delegare tutto a quelle forze politiche come 5Stelle o Lega che - pur nelle loro differenze - recepiscono alcuni bisogni sociali inquadrandoli in una visione confusa, ideologicamente subalterna ai poteri forti e, sostanzialmente, regressiva. Noi siamo nati per cambiare noi stessi, non per mantenere lo stato preesistente, e se è vero che senza le organizzazioni che hanno aderito al progetto di Potere al Popolo, la lista non sarebbe neanche nata e non sarebbe stata presentata nei territori, è anche vero che tutte le organizzazioni sono o dovrebbero essere consapevoli dei loro limiti, di pratiche politiche e di idee che ci hanno portato alla quasi scomparsa.
Il limite di potere al popolo, secondo il mio punto di vista, potrebbe manifestarsi se si incancrenisse una logica da intergruppi che non farebbe altro che sommare le differenze, e tuttavia, non è possibile neanche chiedere alle nostre organizzazioni di sciogliersi, di lavorare per un progetto e poi annullarsi da subito, tanto più se le altre non lo fanno. Il punto focale, dunque, risiede nelle idee, nella loro circolazione all'interno di potere al popolo, nello sviluppo del dibattito e delle pratiche nei luoghi di lavoro per modificare lo stato delle cose esistenti. La responsabilità in questo campo spetta ad ogni militante che faccia parte o meno di una delle organizzazioni esistenti o che si sia avvicinato come singolo, rianimato dalla chiarezza con cui sono emersi i contenuti di classe.
Dunque, dal mio e dal nostro punto di vista, il modo migliore per attivare i nostri militanti è quello di definire alcune macro aree d'intervento per sviluppare in maniera più chiara possibile il nostro programma e la nostra modalità d'azione attorno a quelle tematiche per sviluppare, approfondire e coordinare le nostre forze dentro i conflitti e da qui nelle fasi elettorali che seguiranno.
Bisogna affrontare in primis il lavoro nel settore privato: fabbriche, terziario, ma più in generale lavoro dipendente nel settore privato. Poi i servizi pubblici, trasporti, lavoro pubblico. Quali sono i compagni impegnati in questo settore: vi invitiamo ad organizzarvi, ad elaborare su scala nazionale e locale una proposta d'intervento di organizzazione del programma e di comprensione del disagio che i lavoratori e gli utenti vivono. Scuola, università e ricerca: quali problemi vive la scuola e la ricerca nel nostro paese, come vivono e sentono questi problemi gli studenti, gli insegnanti ed i ricercatori, come è possibile riannodare i fili di un conflitto che ha avuto fasi ascendenti e momenti di riflusso ma che vede sempre un corpo militante attivo abbastanza diffuso data la natura delle contraddizioni e degli attacchi che riceve questo settore. Infine casa e problema del patrimonio immobiliare, connesso al problema della cura dell'ambiente.
Molti di noi lavorano già in questi settori perché quasi tutti noi ci siamo formati attraverso i conflitti sociali ma troppe volte lo abbiamo fatto isolatamente, ci è mancato quel coordinamento, quell'organizzazione che è fondamentale per costruire, approfondire e condividere una visione del mondo, per riportarla alle masse popolari non come qualcosa di individuale ma come un prodotto comune, non come l'elaborazione di una setta o di un piccolo partito lacerato da scissioni e diffidenze, ma da un soggetto collettivo nel quale si riorganizza il meglio di tutta la tradizione da cui veniamo ma in una modalità nuova, dialettica, aperta veramente al confronto perché centrata sui problemi, sull'appartenenza profonda e vissuta a quelle masse popolari che pensiamo di voler riconquistare.