Davvero complesso, per noi cittadini, potersi riconoscere nelle medesime esigenze di “sicurezza” espresse da questo governo. Ovviamente parlo di persone che abbiano ancora quel minimo di umanità, coscienza e spirito critico in grado di renderle consapevoli che, certamente, la delinquenza comune di persone ai limiti della sopravvivenza rappresenta un problema da risolvere ma comprendono che, per risolverlo, forse le carceri non rappresentano la panacea di tutti i mali, soprattutto nelle attuali condizioni in cui versano, dal momento in cui vengono da anni denunciate in ogni dove (e ignorate) le situazioni di sovraffollamento, degrado, disumanità e inutilità rieducativa. Se siete quel tipo di persone che abboccano, come vorrebbe la Meloni, alla scorciatoia fascio-medioevale di prendersela col capro espiatorio dell'emarginato sociale da punire e reprimere, allora passate tranquillamente oltre. Qui invece vogliamo condannare con fermezza l’ennesima deriva securitaria e poliziesca adottata senza pudore dalle istituzioni, in un contesto in cui, a livello globale, sembra sempre più normale accettare passivamente i peggiori soprusi contro i più deboli, sulle cui teste piovono le più svariate forme di repressione, quando non proprio le bombe come sta accadendo alla popolazione civile del Libano assediata dall'esercito israeliano in violazione di qualsiasi regola di base del diritto internazionale.
Il ddl 1660 - oggi in esame in commissione al Senato - introduce reati e aggravanti degne del peggior stato di polizia, colpendo le persone in situazioni di disagio abitativo, coloro che sono ristretti in carcere o nei CPR - peraltro ammettendo finalmente, visto il parallelismo, che non si tratta di “centri di permanenza” che dalla definizione sembrano quasi alberghi, ma di vere e proprie carceri -, per le persone in lotta nei contesti lavorativi (scioperi, picchetti di operai, blocchi stradali) o in quelli sociali, criminalizzando ad esempio financo coloro che pongano in essere iniziative solidali verso i migranti e i detenuti e coloro che si battono per mantenere il proprio territorio in uno stato demilitarizzato o non intaccato da dannose grandi opere. Eppure il governo non ha fatto assolutamente nulla per contrastare la povertà, dal momento in cui non ha risolto in alcun modo le problematiche delle politiche abitative e di tutte le centinaia di migliaia di richieste di alloggi popolari, per agevolare le persone ad affrontare mutui giunti ormai a percentuali stellari, per finanziare il welfare dopo aver abolito anche il reddito di cittadinanza, per contrastare il lavoro nero in un’epoca in cui i braccianti immigrati vengono letteralmente lasciati morire dissanguati dai loro caporali (il riferimento è alla recente morte di Satnam Singh ucciso dal mancato soccorso del datore di lavoro, Antonello Lovato). Ma d’altra parte non è chiaro cosa ci si possa aspettare di buono da un governo che sta per incarcerare anche i neonati (articolo 15 del disegno)?
E’ infatti particolarmente osservabile l’intervento ultra securitario del governo nella parte della legge riguardante i detenuti (compresi quindi i migranti nei CPR): sono previsti significativi aggravi di pena per chi promuova, organizzi o diriga una sommossa con atti di violenza o minaccia e di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti. Ora le pene possono arrivare fino a 20 anni. Queste inquietanti introduzioni impartiscono il definitivo colpo di grazia a chi si trovi già in condizione di compressioni dei propri diritti, con particolare riferimento ai migranti che finiscono detenuti pur non avendo commesso alcunché: privandoli definitivamente di qualsiasi dignità residua e costringendoli a subire totalmente agli arbitri delle autorità carcerarie che impartiscano “ordini”. Questa è la risposta del governo alla tragedia, fra le tante, di Ousmane Sylla, il ragazzo di 21 anni morto suicida nel CPR di Ponte Galeria in segno di protesta contro ciò che accade in questi lager. Lui voleva solo vivere la sua vita e tornare a casa, loro stanno condannando centinaia di altri ragazzi come lui a subire passivamente il medesimo destino di abusi.
Ma loro, Meloni, Piantedosi e compagnia varia, vanno veloci come treni futuristi a schiantarsi contro l’ambibile orizzonte del ritorno del manganello in mano al padrone e ai suoi fedeli esecutori per gestire e risolvere ogni cosa. E così, nonostante nelle ultime settimane il mondo abbia dovuto assistere inerme all’uccisione di centinaia e centinaia di civili tra Gaza e il Libano fino alla clamorosa invasione di terra israeliana di ieri, e monti la più che legittima indignazione di fronte a quanto sta accadendo (addirittura Calenda è arrivato a condannare Netanyahu, per intenderci…), Piantedosi dichiara “inevitabile” la mancata concessione della piazza per la manifestazione programmata per il 5 ottobre con la scusa che secondo lui l’intento sarebbe quello di osannare un “eccidio” (quello del 7 ottobre 2023) e quindi di trasformarsi in una “esaltazione alla violenza”. Un’interpretazione esilarante da parte di chi non promulga alcuna soluzione ai problemi e alla conflittualità sociale se non quella della repressione e della violenza, appunto. Non può essere la comunità ebraica a decidere se una manifestazione possa essere svolta oppure no, né tantomeno ci si può aggrappare a presunti comunicati comparsi sul web. Il diritto a manifestare è sacrosanto e va difeso per questo gli organizzatori hanno promosso un’azione legale al TAR per rimuovere questo divieto.
Auspichiamo una partecipazione ampia e pacifica alla manifestazione che rappresenta la migliore difesa contro ogni forma di violenza che scaturisce dal divieto stesso di manifestare contro la barbarie in atto.