Il 4 dicembre il NO ha vinto, con una affermazione netta e con il sostegno di una partecipazione al voto che non lascia dubbi. L'esito del referendum ha bocciato una brutta riforma della Costituzione, impedendo una pericolosa deriva del nostro assetto istituzionale, con l'accentramento dei poteri che da essa sarebbe derivato.
La forte affermazione del NO ha però consegnato al Paese anche l'insoddisfazione diffusa che questo Governo con arroganza ha creato. Renzi ha entusiasmato banche e padroni, ma finito l'effetto degli 80 euro, non ha incantato i settori sociali che dalle sue riforme sono stati più colpiti .Le dimissioni di Renzi, la notte del 5 dicembre, sono state soltanto la presa d'atto di questa innegabile evidenza. Una presa d'atto che ha impiegato però meno di 24 ore per trasformarsi in una farsa e trascinare il paese nel ridicolo, con un governo fotocopia affidato a un prestanome.
La realtà in effetti ha superato la nostra fantasia, con quasi tutti i ministri riconfermati al loro posto e la Boschi persino promossa, quasi a voler ignorare provocatoriamente il clima che si respira nel Paese. Ma anche se la scelta fosse stata un'altra, magari meno arrogante, o persino se si fosse tornati subito al voto, il risultato non poteva essere tanto diverso. Era quasi scontato che senza una mobilitazione dal basso e una nuova stagione di lotta, anche una forte affermazione del NO nel referendum sarebbe stata insufficiente a cambiare il quadro complessivo del paese.
Senza le lotte, il risultato del 4 dicembre non è andato oltre il 5. La Costituzione per ora è salva, certo, almeno sulla carta. Ma il Jobs act, la legge Fornero, la Buonascuola, i tagli alla sanità, i regali alle banche e alle industrie, la legge di Bilancio sono ancora tutti lì, al loro posto come i ministri. Persino le borse e i mercati sembrano aver superato indenni la nottata.
Solo una ripresa del conflitto sociale, l'affermazione di una grande mobilitazione di massa e un nuovo protagonismo del movimento dei lavoratori e delle lavoratrici avrebbero potuto fare la differenza e aprire lo spazio per poter rivendicare il risultato del 4 dicembre, come una vittoria dalla parte del lavoro e dei diritti sociali. Cioè di quel fronte del NO sociale e di classe che ha posto l'affermazione dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici al centro della difesa della Costituzione e della democrazia.
A noi resta la soddisfazione che almeno non hanno vinto il Governo e la Confindustria. Se avesse prevalso il SI’, ne sarebbero usciti pienamente confermati e quindi anche più aggressivi. E certamente - per una volta - non abbiamo perso noi e se questo serve a darci un po' di carica dopo tante sconfitte, bene. Però dobbiamo anche dirci che, pur non avendo perso, non abbiamo nemmeno vinto. La Costituzione è già uscita dai posti di lavoro e non vi è rientrata certo il 4 dicembre. Poche ore dopo, sono stati saldamente riconfermati il Governo in generale e il ministro del Lavoro in particolare.
In questo quadro, anche la prospettiva dei referendum di primavera promossi dalla CGIL contro il Jobs act rischia di restare astratta, se non ci si porrà da subito il tema di costruire una vasta mobilitazione sociale che la sostenga. Tema che non è invece all'ordine del giorno per la CGIL, che non a caso ha persino già fatto gli auguri di buon lavoro al "nuovo" governo, con la fretta di dichiararsi pronta a essere un "interlocutore propositivo". In totale continuità, di fatto, con una campagna referendaria in cui la CGIL si è schierata per il NO più a parole che nei fatti e, soprattutto, con la chiusura rapida e per certi versi forzata delle vertenze dei metalmeccanici e del settore pubblico, proprio pochi giorni prima del referendum costituzionale.
Sarà pure amaro, ma l'analisi dei risultati del referendum non può prescindere dall'affrontare questi temi, a meno di voler continuare a correre a vuoto come i criceti nella ruota. L'esito del 4 dicembre e ancora di più la campagna di primavera sui referendum della CGIL può avere uno sbocco sociale soltanto se l’iniziativa sindacale e politica riprendere subito, con l'obiettivo di uscire dall’immobilismo asfittico di questi mesi e lanciare uno sciopero generale contro la legge di stabilità e tutte le controriforme del governo Renzi.
I referendum di primavera, se mai si terranno, non serviranno a molto senza una mobilitazione ampia e radicale del Paese. I segnali positivi ci sono. Di certo positiva è la contro tendenza che si espressa il 4 dicembre, non soltanto per il prevalere del NO ma anche per l'alta partecipazione al voto e per la costituzione dei tanti comitati per il NO che in questi mesi hanno tenuto vivo il dibattito e costruito aggregazione e consenso. Anche positivo e incoraggiante è il clima nelle fabbriche metal-meccaniche sull'ipotesi di accordo firmata da FIM FIOM UILM, almeno laddove le ragioni del NO riescono a farsi a sentire.
Così come era già stata positiva la significativa affermazione del NO negli stabilimenti più grandi dell'igiene ambientale contro un altro pessimo contratto nazionale. In entrambi i casi è il segnale che nei posti di lavoro non c'è soltanto rassegnazione o obbedienza passiva alle burocrazie sindacali, quali esse siano. Il NO di tanti delegati e delegate al contratto nazionale dei metalmeccanici firmato anche dalla FIOM tiene aperto un fronte di resistenza dal basso, che parte da RSU di fabbriche importanti, dove i settori critici e di opposizione in CGIL hanno sempre avuto ampio consenso e radicamento: Gkn, Same, Piaggio, Fincantieri, Motovario, Marcegaglia, Continental, Thyssenkrupp, Perini, soltanto per citarne alcune.
Questo è già un esito importante, a prescindere da come finirà la consultazione di FIM FIOM UILM, dove peraltro le ragioni del NO non hanno alcuna agibilità se non quella organizzata dal basso. Che piaccia o meno, i risultati dei referendum a volte vanno e vengono. La costruzione dal basso del conflitto e di una partecipazione consapevole e attiva. Quella speriamo che resti.