Accordo in extremis tra liberali, socialdemocratici e anticapitalisti. In Catalogna si forma un governo per l'indipendenza. Lo stato spagnolo alza lo scontro.
di Paolo Rizzi
A tre mesi dalle elezioni, all'ultimo giorno utile prima di dover fissare nuove elezioni, la regione spagnola ha un nuovo governo guidato da Carles Puigdemont. Il programma del governo è creare un nuovo stato indipendente della Catalogna, secondo la Dichiarazione di Indipendenza già approvata dal parlamento catalano a novembre.
Anticapitalismo e indipendentismo
A fare da cruna dell'ago è stata la formazione anticapitalista, libertaria e indipendentista Candidatura di Unità Popolare (CUP). I suoi voti sono risultati necessari perché la lista Uniti per il Sì (JPS), formata dai socialdemocratici di Sinistra Repubblicana di Catalogna (ERC) e dai liberali di Convergenza non aveva la maggioranza assoluta. Le trattative si sono arenate sul nome del nuovo presidente, JpS ha insistito che fosse il presidente uscente Artur Mas (leader di Convergenza e di JpS), la CUP ha insistito che fosse chiunque ma non Artur Mas, giudicato come l'uomo della gestione liberista delle ultime due legislature.
Alla fine è stata la formazione anticapitalista a spuntarla: dopo una lunga serie di discussioni interne in cui ha rischiato di spaccarsi, ha spinto Mas a fare un passo indietro per non andare a nuove elezioni. La linea dura dei liberali in realtà nasconde una certa debolezza. Alle elezioni spagnole la lista sostenuta da Convergenza è arretrata mentre è cresciuta la lista di ERC. La CUP non si è presenta alle elezioni per il parlamento spagnolo, sicuramente molti dei suoi voti sono finiti alla lista della sinistra radicale che è risultata la più votata in Catalogna e che ha assunto una posizione aperta alla possibilità della creazione di uno stato catalano indipendente. Questa posizione di apertura era tipica di Izquierda Unida (l'alleanza di sinistra imperniata sul Partito Comunista Spagnolo), ma non di Podemos. Anzi, c'è voluto il pessimo risultato alle regionali catalane perché Podemos abbandonasse rapidamente i toni nazionalisti e assumesse la linea del "referendum sul diritto a decidere".
Un governo per l'indipendenza
Nel discorso d’insediamento, il nuovo Presidente Puigdemont ha assicurato che il suo programma è esattamente uguale a quello di Mas: l'attuazione della dichiarazione d’indipendenza, la costruzione delle strutture statali catalane, la scrittura di una nuova Costituzione e, dopo un anno e mezzo, un referendum per sancire la nascita della repubblica catalana.
I tre mesi di trattative non sono però passati invano. Mas intendeva imporre un processo d’indipendenza indifferente alle questioni di classe. O, per meglio dire, un indipendentismo rivolto principalmente ai referenti sociali di Convergenza, la borghesia catalana che sogna una repubblica dei ricchi che non debba prendersi l'onere di mantenere lo stato sociale di tutta la Spagna. Non che questa tendenza sia ora espulsa dal processo d’indipendenza, il Presidente Puigdemont rimane un membro di Convergenza, è però affiancato da due forti vicepresidenti «di sinistra»: Oriolo Junqueras di ERC con delega all'economia, e Raül Romeva, indipendente proveniente dalla sinistra radicale, con delega agli esteri.
Quindi, questi tre mesi si sono conclusi con la crescita del peso della sinistra riformista e con il ruolo determinante della sinistra anticapitalista. Non c’è però nulla di scontato. Annunciando il voto favorevole al governo di JpS (per la precisione, otto voti favorevoli e due astensioni), la CUP ha specificato che intende favorire la nascita della repubblica catalana, ma anche che intende “stare al gioco” se il gioco comprende l’indipendenza, il processo costituente e il riscatto sociale. Una maniera per dire che la CUP appoggia il processo d’indipendenza ma non chiude gli occhi sulla giustizia sociale, la povertà, la disoccupazione, l’omofobia e la violenza di genere.
Lo stato va alla guerra (o poco ci manca)
Ovviamente, lo stato spagnolo non intende restare a guardare mentre una sua regione dichiara l'indipendenza. Già nei mesi precedenti il Tribunale Supremo era intervenuto per dichiarare illegittima la Dichiarazione di Indipendenza e Artur Mas era stato minacciato di essere messo sotto processo. Ora la minaccia è di attuare l'articolo 55 della Costituzione, ovvero di sospendere l'autonomia della Catalogna e, di fatto, commissariare la regione.
Questo scontro arriva in un momento difficile per lo stato spagnolo e per la famiglia reale. A livello nazionale non esiste ancora una quadra sul governo. I due partiti maggiori, popolari e socialdemocratici, non sono in grado di formare un governo, escludono di allearsi tra di loro e provano a costruire improbabili alleanze alternative. Le vicende catalane sembrano spingere i partiti nazionalisti (socialdemocratici del PSOE; popolari del PP e i nazionalisti di Ciudadanos) a formare una grande coalizione, escludendo quindi Izquierda Unida, Podemos e le varie forze regionaliste.
Inoltre proprio in questi giorni inizia il processo all'infanta Cristina, sorella di Re Filippo VI, finita sotto inchiesta per vari scandali finanziari. Un processo a un membro della famiglia reale proprio nel momento in cui la famiglia reale si spende come garante dell’unità dello stato spagnolo.
Difficile fare ulteriori previsioni per il futuro della Spagna (quella avanzata nello scorso numero di questa rivista si è rivelata azzardata!), quel che è sicuro, è che all’interno di uno stato europeo è in atto un processo serio di secessione e che all’interno di questo processo la sinistra anticapitalista gioca un suo ruolo. Per noi italiani, dovrebbe essere il momento di studiare e seguire con attenzione le vicende catalane. Sarebbe già un bel cambiamento rispetto al consueto innamoramento per un qualche modello straniero, in questo caso quello assembleare della CUP, che di solito dura qualche settimana per poi finire nel dimenticatoio.