Il secondo importante momento nel percorso di costruzione di coalizione sociale registra il positivo avvio delle prime coalizioni territoriali e la definizione di alcune grandi mobilitazioni su temi fondamentali per il futuro della sinistra italiana: lavoro, scuola, emarginazione sociale, immigrazione. Ma non riesce a marcare il passo decisivo verso la definizione di un progetto di più ampio respiro. Resta irrisolta la questione della dimensione politica, e rimane un’ambiguità di fondo anche nel messaggio finale di Landini. Il prossimo appuntamento sarà il 17 ottobre, con una manifestazione nazionale per il reddito minimo di dignità.
di Ferdinando Gueli
Il teatro Ambra Jovinelli di Roma ha ospitato, domenica 13 settembre, la seconda assemblea nazionale di Coalizione Sociale. Rispetto alla prima assemblea, del 6 giugno scorso, la partecipazione è stata numericamente inferiore (circa 3-400 partecipanti, nostra stima in attesa che gli organizzatori diffondano il dato ufficiale, ndr), ma è anche vero che in quel caso il fattore novità aveva giocato un ruolo nell’attrarre la frammentata galassia della sinistra. Diversa anche l’atmosfera, meno entusiasmo ma, allo stesso tempo, si avverte maggiore familiarità tra i presenti ed un approccio più operativo. Presenti le associazioni e gli altri soggetti che continuano a credere nel processo di costruzione della Coalizione Sociale, con le prime coalizioni territoriali che hanno cominciato a prendere vita, a partire proprio da Roma.
Si parte dai numeri, con il primo brillante intervento della giovanissima, Federica, portavoce della coalizione sociale romana, una delle componenti territoriali più attive ad oggi: le statistiche riferiscono che oggi in Italia vi sono 8 milioni di poveri relativi e 4 milioni di poveri assoluti, cioè complessivamente un quinto della popolazione; 8 milioni di posti di lavoro sono scomparsi negli ultimi anni di cui 6 milioni al Sud; 78.000 immatricolazioni in meno nelle università. Numeri che testimoniano il continuo sprofondare dell’Italia (e dell’Europa) in una fase economica e sociale sempre più recessiva e involutiva.
Su questo scenario si muove l’azione politica del governo renziano: una progressiva, costante, lucida smobilitazione di tutti i capisaldi del welfare e di tutti i diritti e gli spazi di democrazia, che riportano le lancette indietro di settant’anni o forse più. La stessa Costituzione repubblicana, sia nel senso di costituzione materiale che formale, è ormai in fase di profonda revisione.
Questo quadro di analisi accomuna gran parte degli intervenuti, e su queste premesse si sviluppano i principali temi che, sin dal suo nascere, intendono caratterizzare coalizione sociale: emarginazione e povertà, lavoro, scuola e istruzione, immigrazione.
Il tema del lavoro è stato il più trattato. Dagli interventi sono emersi i fronti d’azione e di lotta più sentiti: a livello territoriale e locale l’impegno di molti a creare delle strutture di sostegno al lavoro autonomo e precario. Spicca, in tal senso, l’esperienza avviata a Roma dalle Camere del Lavoro Autonomo e Precario (CLAP) a Officine Zero, il cui portavoce, Francesco Raparelli, ha molto insistito sulla necessità irrinunciabile di uno sbocco “politico” dell’azione che si svilupperà sul piano sociale. Al livello nazionale la proposta più concreta e condivisa è quella di una mobilitazione nazionale contro il Jobs Act, che possa eventualmente accompagnarsi con un’iniziativa referendaria (abrogativa). Sarebbe un primo punto di partenza. Altro fronte è quello, più prettamente sindacale, della difesa dei contratti collettivi nazionali. Sempre Raparelli ha ricordato la strategia di attacco del governo agli ultimi baluardi di tutela dei lavoratori: l’ultima frontiera è il diritto di sciopero. La risposta a questo non può che essere la riunificazione del mondo del lavoro nelle sue sempre più frammentate componenti.
Desta emozione e simpatia l’intervento di Ciro d’Alessio, di Pomigliano d’Arco, che racconta il dramma degli operai Fiat che hanno paura di raccogliere i volantini distribuiti, all’ingresso della fabbrica, dai loro ex compagni di lavoro: un clima di paura che, come dice Ciro, “fa rabbrividire” e ci riporta veramente a epoche che sembravano lontane e superate.
Gli interventi sull’immigrazione, anch’essi numerosi, sono tutti molto appassionati e convergono sulla necessità di rigettare la discriminazione, che sta prendendo piede nel dibattito europeo mainstream e nelle politiche in via di adozione da parte dei paesi UE, tra immigrazione per motivi politici, e quindi meritevole di asilo, e immigrazione economica, da controllare restrittivamente quando non da respingere. Le diverse esperienze raccontate in assemblea testimoniano comunque della necessità di un’azione più ampia e generalizzata: coalizione sociale dovrebbe servire a tal scopo, per connettere insieme le diverse esperienze di solidarietà e di lotta esistenti nei territori.
Altro tema caldo e molto trattato è quello della scuola: in questo caso il riferimento principale è il documento dell’assemblea di Bologna dello scorso 6 settembre, partecipata da oltre 120 soggetti collettivi, che ha lanciato la proposta di una legge di iniziativa popolare sulla scuola pubblica, nonché di un possibile referendum abrogativo del decreto sulla buona scuola del governo Renzi. Su entrambi i temi si auspica che coalizione sociale divenga il soggetto propulsore di una larga mobilitazione sociale e nazionale, allargata anche a soggetti non direttamente legati al mondo della scuola. Una battaglia quanto mai necessaria per rilanciare il concetto di una scuola pubblica, libera e democratica.
Ma sarà la campagna “miseria ladra”, promossa da Libera, di cui in assemblea riferisce Giuseppe De Marzo, e mirata all’introduzione del reddito minimo di dignità, il primo vero cavallo di battaglia per coalizione sociale, che ha indetto e confermato in assemblea la giornata di mobilitazione nazionale del 17 ottobre. La data peraltro coinciderà con le 3 giornate di mobilitazione europea contro l’austerity (15, 16 e 17 ottobre) promossa, tra gli altri, da Blockupy.
Della consueta chiusura di Landini colpisce emotivamente la franca, e un po’ amara, ammissione del fallimento delle ultime lotte sindacali: le mobilitazioni che hanno caratterizzato lo scorso autunno non sono certo servite né a fermare e tantomeno a rallentare l’azione anti-popolare di questo governo. Landini fa notare lo smantellamento costante dei presidi di democrazia nel nostro paese, a partire da quelli costituzionali, e l’attacco sempre più frontale ai lavoratori ed alle classi popolari, dalla demolizione dello stato sociale, alla riforma, in senso favorevole alle imprese ed ai ceti più ricchi, del sistema fiscale, all’azzeramento, di fatto prima ancora che di diritto, delle tutele sindacali. Individua nella difesa del diritto di sciopero e dei contratti collettivi nazionali due fronti di resistenza fondamentali. Landini ammette che il processo di costruzione della coalizione sociale sarà lungo, come ogni processo realmente democratico, e che bisognerà avere pazienza, ma nel frattempo esorta ad andare avanti, ricordando che la manifestazione del 17 ottobre, di cui ammette con onestà di non essere stato l’ideatore, sarà soltanto un punto di partenza.
L’impressione ricavata da questa assemblea nazionale è che coalizione sociale è ancora a metà del guado. Tanti punti nodali non sono ancora chiariti, a partire dalla natura stessa di questo soggetto, sociale o politico, o le due cose insieme (ma è possibile?). Appare evidente che convivono spinte ed aspirazioni differenziate al suo interno. Questo potrebbe anche non essere un limite, ma la storia insegna che queste esperienze raggiungono il successo soltanto quando sono radicate su un progetto forte e ben definito nei suoi obiettivi, sia di medio che di lungo periodo, sia tattici che strategici, e che il progetto sia collettivamente condiviso.
Progetto e condivisione collettiva non riescono ancora ad emergere. Si potrebbe obiettare che in un processo democratico, secondo il richiamo dello stesso Landini, l’elaborazione progettuale nasce dal basso e non può essere calata dall’alto. Ciò sarebbe senz’altro auspicabile, ma qui non si considerano due elementi essenziali: la condivisione e l’organizzazione, che sono strettamente legati. Qualche intervento in assemblea ha rimarcato che coalizione sociale non si è data ancora una struttura organizzativa né regole di funzionamento, e lo si è notato chiaramente, a partire dai più banali dettagli logistici e organizzativi, in occasione di questi eventi assembleari, sia nazionali che territoriali, che si sono succeduti da marzo ad oggi.
Su un piano più generale sembra che non si vogliano ancora fare i conti con il nodo centrale che ha caratterizzato questa esperienza sin dal suo inizio: il rapporto con la dimensione politica della lotta. Si nota una tendenza, talvolta inconsapevole, a non voler elaborare questo punto. Landini addirittura afferma che “le categorie destra e sinistra non interessano più”. Siamo quindi ai limiti della narrativa tipica dell’antipolitica, e quindi prigionieri di uno schema culturale frutto del pensiero unico neoliberista che caratterizza la nostra epoca. Non si esce da questo schema, o si ha paura a farlo. Non si comprende che non è possibile lanciare delle mobilitazioni di così ampio respiro negando, o tentando di minimizzare, la loro natura intrinsecamente politica.
Ma attenzione: questo non significa essere obbligati a proporsi necessariamente come soggetto politico, partito o movimento che sia. Non è questo il punto. La necessità storica di un’azione di ricostruzione del tessuto sociale collettivo e di partecipazione democratica delle classi proletarie è innegabile, e può essere sviluppata anche solo sul piano sociale. Ma non è condizione sufficiente per un ribaltamento dei rapporti di forza, se poi quest’azione sociale non trova una sponda sul piano più prettamente politico. E’ proprio su questo punto che, secondo il modesto avviso dello scrivente, si giocherà il futuro di coalizione sociale. Lo stesso Landini si è più volte richiamato alle origini del movimento operaio del XIX secolo, sviluppatosi sulle gambe del mutualismo e dell’azione sindacale. Ma quel movimento trovò sicuramente uno sbocco in una soggettività politica ben definita, quella dei partiti socialisti prima e comunisti poi. E ci pare non sia necessario ripercorrere qui quella vicenda storica a tutti nota.
Ci auguriamo di non assistere all’ennesima meteora che ha investito lo spazio stellare della sinistra italiana negli ultimi anni. Pardon scusate, pare che il termine sinistra sia ormai politicamente obsoleto (e non ci chiediamo allora che ne è di comunismo o socialismo). Conviene forse imitare il linguaggio dii Podemos o dei 5 stelle? Proprio nel momento in cui, in una Gran Bretagna che sembrava ormai definitivamente sprofondata nel suo declino conservatore e nella finta dialettica neoliberista-neolaburista, improvvisamente, quasi per uno scherzo della storia, ti appare un Corbyn che riesuma coraggiosamente e orgogliosamente un linguaggio che il dominante ha con tutti i mezzi tentato di riporre in soffitta, seppellendolo di tabù ormai interiorizzati dall’intera sinistra europea e occidentale (fatte salve ovviamente le sacche di resistenza comunista laddove ancora esistenti). Forse questa è la novità politica, i cui contorni vanno ancora misurati, che potrebbe (o meglio dovrebbe) indurre Landini e i suoi compagni di percorso ad un maggiore coraggio e visione nel riconsiderare la dimensione politica dell’azione di coalizione sociale. E a quel punto si scontrerebbe con un altro grande enigma politico italiano di questi giorni: la cosiddetta “cosa rossa”! Non è certo questa la sede per affrontare quest’altro argomento, ma le sempre più profonde contraddizioni in cui annaspa la sinistra italiana verranno a galla prima o poi, e tutti, coalizione sociale inclusa, dovranno farci i conti. Nel frattempo potremmo accontentarci di un autunno possibilmente più caldo di quello passato, se ci sarà: appuntamento al 17 ottobre!