I lavoratori di Verizon, uno dei colossi statunitensi delle telecomunicazioni, dopo lunghi mesi di inutili trattative per il rinnovo contrattuale, hanno dato vita ad una prolungata ed imponente mobilitazione di livello nazionale, scendendo in piazza contro una multinazionale senza scrupoli che, nonostante l’espansione dei suoi profitti, cerca di comprimere ulteriormente i diritti dei lavoratori ed i loro salari minacciando, senza mezzi termini, la delocalizzazione di posti di lavoro in Messico e nelle Filippine.
di Zosimo
Un’ondata di scioperi e cortei ha reso un po’ più calda, per le strade di New York, una primavera metereologica in ritardo. Protagonisti i lavoratori di Verizon, che hanno dato la sveglia ai sonnolenti cittadini della Grande Mela radunandosi in assembramenti partiti sempre all’alba per avviare cortei che, nelle settimane scorse, hanno spesso paralizzato alcune aree centrali di Manhattan.
Questi scioperi rappresentano l’epigono di una difficilissima vertenza, durata ben 10 mesi, che tuttavia fin qui non ha portato a nulla di positivo, e i numerosi sindacati aderenti denunciano l’atteggiamento arrogante e deliberatamente ostile dei negoziatori aziendali di Verizon, che continuano a mostrarsi irriducibili nella revisione, o in alcuni casi rimozione totale, di importanti diritti acquisiti e nell’attacco a componenti fondamentali del salario, quali ad esempio le tutele anti-licenziamento per i lavoratori assunti prima del 2003 o l’assicurazione sanitaria, che negli USA rappresenta per i lavoratori un fattore vitale di sopravvivenza. Si pretende inoltre di imporre la piena mobilità, per cui un lavoratore può essere trasferito da una città ad un’altra senza preavviso e senza nessun sostegno economico.
I negoziatori di Verizon non hanno mai manifestato alcuna volontà concreta di compromesso nei confronti dei rappresentanti del CWA, il sindacato maggioritario tra i lavoratori di Verizon. Secondo alcune fonti sindacali [1] Verizon avrebbe realizzato, nei primi 3 mesi del 2016, profitti per una media mensile di 1,5 miliardi di dollari, mentre l’amministratore delegato percepisce un compenso annuale di circa 18 milioni di dollari, equivalente alla somma dei salari di circa 300 lavoratori.
In questi ultimi giorni l’agitazione dei lavoratori è ripresa e da New York si è allargata ad aree importanti per l’azienda, come il Massachusetts e la Virginia, con una partecipazione di oltre 40,000 lavoratori.
La protesta è giunta anche in California che tuttavia rappresenta una strana eccezione. Qui a mettere in atto le manifestazioni sono stati lavoratori provenienti da altri stati. Verizon infatti si è recentemente liberata di gran parte delle sue operazioni in California cedendole al gruppo Frontier, riducendosi ad un organico di soli 168 dipendenti nell’intero stato. Secondo i sindacati la strategia seguita dal gruppo in California intende essere una dimostrazione della determinazione di dismettere posti di lavoro laddove la conflittualità sindacale dovesse risultare troppo elevata. [2]
Le manifestazioni californiane si sono svolte simbolicamente il giorno delle celebrazioni del “Cinco de Mayo”, una ricorrenza della storia messicana ma che, singolarmente, è maggiormente sentita e celebrata negli USA che non nello stesso Messico [3]. Questo perché l’evento rappresenta, per le numerose comunità di immigrati messicani negli USA, un simbolo di orgoglio nazionale e di riconoscimento nei valori (presunti, ndr) di libertà e democrazia proclamati dalla costituzione americana.
Per il sindacato CWA (Communications Workers of America) la lotta dei lavoratori di Verizon assume oggi un significato che va al di là della stessa vertenza sindacale. Essa avviene in piena campagna per le primarie presidenziali, e non è un caso che lo stesso Bernie Sanders abbia più volte solidarizzato con i lavoratori Verizon, pur preoccupandosi di non dare l’impressione di volerne strumentalizzare la lotta a puri fini elettorali. Un comunicato del CWA sostiene infatti che:”Verizon incarna perfettamente la piega brutale che ha assunto al giorno d’oggi il cosiddetto sogno americano: i ricchi che diventano sempre più ricchi, mentre i lavoratori, e soprattutto gli operai delle fabbriche, faticano a mantenere il livello dei propri salari” [2].
Si tratta quindi di un tema che Bernie Sanders sta ponendo come centrale nella sua campagna elettorale, e la CWA è uno dei principali sindacati sostenitori di questa campagna. Lo abbiamo già evidenziato in uno dei nostri precedenti articoli su questo giornale. [4]
La vertenza di Verizon dimostra comunque una certa vitalità della classe operaia americana, nonostante gli USA, in quanto prima potenza imperialista globale, siano sempre stati caratterizzati da una profonda natura corporativa del sindacato e della classe operaia, quella che Marx avrebbe definito “aristocrazia operaia” e che i grandi teorici dell’imperialismo di inizio ‘900, Hobson, Lenin e Bucharin, avrebbero considerato un perfetto esempio di come, grazie al dominio imperialista, parallelamente all’esportazione di merci e capitali, anche il conflitto di classe viene in un certo senso “esportato”, o forse si potrebbe dire “esternalizzato”.
Oggi però le condizioni si stanno nuovamente modificando. La fase transnazionale dell’imperialismo, attualmente in corso, caratterizzata soprattutto dal ruolo preponderante della finanza e delle grandi imprese transnazionali appunto (e non più multinazionali, cioè aventi una “testa” o un “cuore” nel proprio paese d’origine), fa emergere con prepotenza le contraddizioni di ogni impostazione corporativa.
Il grande potere dei media mainstream e la manipolazione delle menti che comporta ottengono un effetto sedativo sui lavoratori e ciò permette poi ai populismi di orientare il malcontento dei lavoratori di un certo paese verso l’esterno, verso gli immigrati o verso i conflitti che avvengono in altre aree geografiche (terrorismo islamico), per cercare di ricompattare il fronte interno a vantaggio della borghesia, nella sua fazione dominante, ed evitare il riemergere del conflitto di classe che è sempre latente.
Le vertenze come quelle di Verizon, pur con tutti i loro limiti, hanno almeno il merito, e vorremmo dire la funzione storica, di riportare al centro dell’attenzione il cuore del problema, cioè appunto il conflitto di classe. E sono fondamentali per la ripresa di una coscienza di classe tra i lavoratori. Se ciò avviene poi nel cuore dell’impero americano è un piccolo ma significativo segnale di speranza.
Note:
[1] People’s World, 13 aprile 2016, http://peoplesworld.org/verizon-giveback-demands-force-39-000-on-east-coast-out-on-strike
[2] People’s World, 6 maggio 2016, http://peoplesworld.org/verizon-strike-attracts-support-in-southern-california/
[3] Il “Cinco de Mayo” rievoca un episodio fondamentale della storia messicana, quando la dichiarazione di bancarotta portò ad un conflitto internazionale, avvenuto nel 1862, tra il governo di Benito Juarez contro una coalizione di debitori europei guidati dalla Francia di Luigi Napoleone III. V. su Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Cinco_de_Mayo
Fonti e riferimenti:
New York Times, 14 aprile 2016, http://www.nytimes.com/2016/04/14/technology/verizon-service.html?_r=0
People’s World, 13 aprile 2016, http://peoplesworld.org/verizon-giveback-demands-force-39-000-on-east-coast-out-on-strike
People’s World, 6 maggio 2016, http://peoplesworld.org/verizon-strike-attracts-support-in-southern-california/