La lotta per la difesa della democrazia richiede necessariamente l’unità dei lavoratori e dei sinceri democratici contro il governo. Tale unità ha bisogno di un programma minimo da rendere credibile attraverso la costruzione di uno sciopero generale contro la “Buona scuola”, il Jobs act, l’Italicum e la Fornero.
di Renato Caputo
Siamo a un passaggio storico che potrebbe avere un significato epocale. La controffensiva delle classi dominanti, inauguratasi negli anni Ottanta, rischia di portare bene presto a compimento il proprio programma, che poi non è altro che quello della Loggia massonica P2. Come è noto, oltrepassato un certo livello gli impercettibili mutamenti quantitativi comportano un salto qualitativo, che rende d’improvviso manifesto il cambiamento prodottosi nel corso del tempo. Rischiamo così di precipitare, a forza di scivolare da 35 anni su di un piano inclinato, dal terreno più avanzato dello Stato democratico, nato dalla lotta anche armata contro il fascismo e dai grandi movimenti di lavoratori e studenti degli anni Sessanta e Settanta, alla restaurazione dello Stato liberale nella forma classica del diciannovesimo secolo. Uno Stato liberale che potrà, nel caso dovesse incontrare significative resistenze organizzate dei lavoratori destinati allo sfruttamento incondizionato, assumere la forma bonapartista, autoritaria.
Le norme giuridiche e le istituzioni dello Stato e della società civile fotografano l’esistente, ossia i rapporti di forza fra le classi sociali in lotta in un determinato momento storico. Quando il progressivo mutamento quantitativo dei rapporti di forza, si rovescia in un salto qualitativo si trasformano anche le leggi e le istituzioni. Nelle fasi dei mutamenti quantitativi cambia dapprima l’interpretazione delle norme giuridiche e la funzione delle istituzioni, poi una parte delle leggi viene messa tacitamente da parte non essendo più applicata, infine si producono mutamenti degli aspetti secondari che portano infine a mettere in discussione anche le strutture fondamentali dello Stato, nel nostro caso liberal-democratico. Da questo punto appare vano l’appello allo spirito dei padri costituenti o la semplice difesa della norma giuridica o delle istituzioni, incluse le fondamentali Costituzione e Statuto dei lavoratori[i], se non si trova il modo di invertire i rapporti di forza fra le classi in conflitto.
Che siamo in una fase di grande debolezza del fronte dei lavoratori, prodotto di 35 anni di sconfitte, è sotto gli occhi di tutti. Che l’accumularsi di sconfitte e ritirate tattiche stia producendo un vero e proprio salto qualitativo (all’indietro) è meno evidente. Tuttavia i segnali di allarme stanno suonando un po’ tutti, anche se suscitano ancora scarsa mobilitazione da parte di chi dovrebbe portare la propria solidarietà di classe. In altri casi gli attacchi alle istituzioni giuridiche e politiche finiscono per passare in secondo piano dinanzi all’esigenza immediata dei lavoratori di arginare gli attacchi sempre più violenti che subiscono sui luoghi di lavoro.
Distogliere l’attenzione dalla foresta per cogliere i singoli alberi, fa perdere di vista la necessaria visione di insieme, ossia l’attacco organico che i fautori della restaurazione liberista stanno portando alle istituzioni dello Stato liberal-democratico, offensiva che sta ormai rapidamente conducendo alla conquista della ultime roccaforti non ancora travolte. Così nel giro di pochissimo tempo abbiamo visto cadere sotto i colpi della restaurazione liberista, quasi senza incontrare resistenza, la politica economica dello Stato, trasformata in senso liberista dall’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione e dalla firma degli accordi capestro del Fiscal compact. In secondo luogo abbiamo visto cadere parti significative dello stesso diritto di voto, che tende a essere sottratto direttamente con la non eleggibilità di senatori e rappresentanze provinciali, indirettamente attraverso la logica maggioritaria, fatta in primo luogo di premi di maggioranza[ii]. I diritti dei lavoratori hanno subito degli attacchi decisivi con il Decreto Poletti e il Jobs act che finiscono di scardinare lo Statuto dei lavoratori, eliminando di fatto l’articolo 18, rendendo ormai la regola il lavoro precario e l’eccezione il posto fisso. A ciò corrisponde nella società civile il costante arretramento delle forze sindacali dinanzi all’offensiva padronale, con limitazioni sempre più ampie del diritto allo sciopero, del contratto nazionale e della stessa contrattazione collettiva, con l’estensione del lavoro a cottimo e l’aumento dei ritmi e degli orari di sfruttamento della forza-lavoro. In tal modo anche i sindacati stanno subendo un cambiamento epocale, da strumenti volti a tutelare gli interessi immediati della forza-lavoro, mediandone la vendita a un prezzo non troppo basso e provando a contrattarne l’utilizzo, a partire dai tempi e dai ritmi, divengono dei gestori dei servizi e delle strutture neocorporative, tese a impedire possibili esplosioni della rabbia degli sfruttati e una loro autonoma organizzazione in strutture consiliari. In tal modo si ritorna a uno dei capisaldi del liberalismo, la piena liberalizzazione del mercato della forza lavoro, senza nessuna forma di tutela per quest’ultima. In tal modo, chi ha il monopolio dei mezzi di produzione e di sussistenza potrà imporre facilmente il proprio prezzo a chi non ha altro per potersi riprodurre che alienare la propria capacità di lavoro. Un durissimo colpo ha subito il salario differito, ossia le pensioni, martoriate dal decreto Fornero, che hanno fatto precipitare il salario sociale italiano ai livelli più bassi dell’Unione europea e hanno innalzato il tempo di lavoro ai livelli più elevati con la riduzione degli importi e l’aumento dell’età minima per poterne fruire. Anche il salario indiretto ha subito colpi durissimi, con la privatizzazione e l’aumento dei prezzi di acqua, luce e gas, dei trasporti pubblici e della autostrade, delle tasse indirette, della sanità, delle università e, last but non least, della scuola pubblica statale. In quest’ultima, in particolare, con la possibilità data ai capi di istituto di selezionare il personale in modo arbitrario, di stabilirne possibili aumenti salariali e con la delega in bianco affidata al governo che potrà stabilire in modo altrettanto arbitrario orari di lavoro, ferie e retribuzioni, salta completamente la contrattazione nazionale e si introduce sostanzialmente il Jobs act con la relativa precarizzazione della forza lavoro. Così facendo non solo si depotenziano tutti gli organi collegiali e democratici della scuola, principale conquista delle lotte degli anni Sessanta e Settanta, ma si cancella la stessa libertà di insegnamento, visto che gli stipendi e il mantenimento del posto di lavoro nelle mani del dirigente lasceranno scarsi margini di autonomia ai docenti[iii].
In tal modo si arriva al paradosso che proprio un partito che si autodefinisce democratico dia il colpo di grazia alla democrazia di questo paese, frutto di terribili anni di lotte costate sangue e carcere al movimento dei lavoratori. Richiamarsi ai valori della democrazia e poi cancellarne ogni traccia nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle elezioni, nei partiti, nelle decisioni di politica economica è quanto di più ipocrita possa esserci. Altrettanto ipocrita è il richiamo degli esponenti dei partiti di governo e della finta opposizione ai grandi valori della tradizione liberali, fondati proprio sulla lotta all’assolutismo, attraverso la divisione dei poteri, per impedirne l’accentramento che rende il potere dispotico[iv].
Gli ultimi governi, veri e propri comitati per la gestione comune degli affari della grande borghesia, hanno proceduto a tappe forzate come quinta colonna del fronte padronale, incontrando, come visto, scarsa resistenza da parte del fronte dei lavoratori, incapaci di formare intellettuali organici e sempre più traditi dagli intellettuali tradizionali presi a prestito dalle altre classi sociali. L’unica resistenza significativa è venuta dal mondo della scuola, in cui il movimento spontaneo e autoconvocato dei lavoratori e la violenza dell’attacco governativo hanno costretto i sindacati a mettere in secondo piano la lotta fratricida a sostengo del proprio orticello.
Così il movimento autoconvocato dei lavoratori ha raccolto centinaia di mozioni degli organi collegiali, da assemblee di istituto, a collegi dei docenti, a consigli di istituto, organizzate spontaneamente da lavoratori e studenti, in cui si esprime in modo mai visto prima la compattezza dell’opposizione del mondo della scuola. In effetti non c’è stata, neppure nella scuola della moglie di Renzi, una sola mozione favorevole alle proposte del governo, anzi hanno espresso tutte la propria netta contrarietà all’unanimità o quasi. In seguito, dopo un riuscito sciopero organizzato dai sindacati di base e dagli autoconvocati, si è giunti finalmente a un grande sciopero unitario che, forse per la prima volta nella storia del nostro paese, ha bloccato le attività didattiche in quasi tutte le scuole e portato un numero imponente di lavoratori in piazza. Si sono poi sviluppate un altissimo numero di mobilitazioni più o meno spontanee, culminate nel blocco degli scrutini, sostenuto in modo compatto dai sindacati. Sebbene tale forma di lotta non si praticasse più da anni, ha avuto dei risultati eccezionali, riuscendo a bloccare l’80% degli scrutini. Cosa ancora più rilevante il blocco è stato organizzato e praticato autonomamente dai lavoratori dei singoli istituti.
Questo imponente movimento di lotta ha dato un duro colpo al progetto di partito della nazione mostrando che non esiste soltanto l’opposizione leghista al governo e favorendo la netta sconfitta dei partiti filo-governativi nelle elezioni regionali[v]. Questo grande movimento unitario ha colpito duramente il governo, lo ha fatto barcollare, ma non è riuscito a metterlo al tappeto, lasciandogli la possibilità di riorganizzarsi e contrattaccare. Così Renzi ha provato a spaccare il movimento contrapponendo le esigenze dei precari di essere assunti alle esigenze dei lavoratori di ruolo di non essere precarizzati.
Tuttavia, la difficoltà maggiore che ha impedito finora al movimento della scuola di aver successo, è stata la relativa passività degli altri settori del mondo del lavoro, che non sono stati in grado di far sentire con altrettanta forza le proprie ragioni. D’altra parte lo stesso movimento della scuola dinanzi al terribile attacco condotto dal governo contro i lavoratori del privato attraverso il Jobs act è rimasto poco più che muto. Ancora una volta è mancata, con poche lodevoli eccezioni, la solidarietà di classe e questo ha consentito al governo, pur essendo minoritario nel paese reale, di proseguire nello smantellamento della repubblica democratica italiana, il terreno più avanzato per battersi per la transizione al socialismo. Tale situazione rende ancora attuali i versi di Martin Niemöller resi celebri dalla rielaborazione che ne fece Bertolt Brecht: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”[vi].
Cosa è necessario fare per non trovarci soli a lottare quando la classe dirigente per conto della classe dominante passerà ad attaccare il nostro salario e le nostre condizioni di lavoro? È indispensabile che i comunisti, ossia il settore più cosciente del proletariato, e il movimento dei lavoratori della scuola, il settore attualmente più avanzato della resistenza del lavoro salariato, si mobilitino per riaprire realmente la partita per la democrazia in questo paese, attraverso un nuovo autunno caldo.
La spesso sottolineata esigenza che il movimento dei lavoratori della scuola si leghi al movimento studentesco e coinvolga i genitori e più in generale la società civile è generalmente posto in modo erroneo. Si crede di poter ottenere la necessari solidarietà ponendo la questione su un piano generale, universale, la lotta per la democrazia ad esempio. Questo discorso però è generalmente inefficace, perché l’attacco ai lavoratori della scuola è un attacco alla democrazia e alla Costituzione, come lo sono gli attacchi rivolti contro gli altri lavoratori e i lavoratori del futuro, ossia la maggioranza degli studenti, come è la lotta contro il maggioritario ecc. Proprio perciò non bisogna pretendere che chi non è in grado e non è stato in grado di difendere i propri diritti e con essi la democrazia possa ora mobilitarsi in prima persona per la difesa della scuola. Al contrario bisogna far comprendere che la lotta per la difesa della scuola pubblica e dei diritti dei lavoratori della scuola è la stessa lotta per la difesa della democrazia e la difesa dei diritti degli altri lavoratori.
Proprio perché si tratta di una lotta che riguarda tutti i lavoratori e i sinceri democratici, questa decisiva battaglia la si vince insieme o la si perde tutti. Proprio per questo è indispensabile, oltre che portare avanti la mobilitazione nei singoli settori e nei singoli luoghi di lavoro, portare avanti insieme la lotta per uno sciopero generale in difesa della scuola pubblica, contro la precarizzazione del lavoro, dunque contro il Jobs act e il decreto Poletti, contro l’Italicum e contro la legge Fornero[vii].
Come è evidente si tratta del programma minimo su cui ricostruire un blocco sociale in grado di portare avanti la lotta fino alla caduta di questo governo e delle politiche sociali anti proletarie e anti democratiche che porta avanti con la complicità di ampi settori dell’opposizione parlamentare. Questo programma minimo e la mobilitazione per lo sciopero generale potrebbero dare un contenuto concreto alla esigenza di costruire una coalizione sociale. Tale lotta consentirebbe anche di riaprire realmente il discorso sull’unità della sinistra, ossia sull’unità di chi nel conflitto di classe si schiera dalla parte della forza lavoro contro i capitalisti e i rentiers. Questa unità non sarà realizzabile attraverso alchimie politiciste o scorciatoie elettoraliste, ma sarà avvertita come una esigenza reale dalla classe, solo quando diverrà consapevole che solo sul piano politico sarà possibile realizzare pienamente le lotte intraprese sul piano economico e sociale. Evidentemente, infine, un nuovo blocco storico sociale richiede necessariamente l’unità delle avanguardie organizzate in un partito, ossia la ricostruire del partito comunista.
[i] Lo Statuto dei lavoratori segna l’ingresso delle norme liberaldemocratiche all’interno dei luoghi di lavoro. Ha svolto perciò una funzione importante al pari della Costituzione. Evidentemente in fasi di avanzata del movimento dei lavoratori nel conflitto socio-politico, dal momento che fotografavano i rapporti di forza esistenti in un momento storico meno favorevole, erano spesso considerati come un tradimento degli ideali rivoluzionari sviluppatesi nella lotta antifascista o nelle grandi mobilitazione del secondo biennio rosso: 1968-69. In epoche come la nostra di grande debolezza del movimento dei lavoratori la loro salvaguardia si presenta, al contrario, come una campagna decisamente progressiva. Più in generale la norma giuridica ha una duplice natura: è progressiva in quanto non esiste un diritto di natura, ma solo la legge della giungla e, quindi, la norma giuridica tende a universalizzare, ossia a stabilire un piano di eguaglianza contro l’arbitrio della violenza; è conservatrice proprio perché tende a fissare lo sviluppo storico, salvaguardando gli ineguali rapporti di proprietà esistenti.
[ii] La stessa democrazia all’interno dei partiti è fortemente limitata dal centralismo burocratico che mette nelle mani della sola direzione la scelta dei rappresentanti nelle istituzioni.
[iii] La libertà di insegnamento sarà ancora più limitata dai test invalsi, in cui domande e risposte esatte sono imposte dal governo, alla faccia della libertà di opinione e di pensiero.
[iv] Tutto ciò fa pensare che il modello perseguito dalla classe dirigente per conto della classe dominante vada nella direzione non del liberalismo classico, che comunque mirava a espandere gli spazi di libertà e la quantità di uomini liberi, rispetto ai sistemi politici precedenti, ma del bonapartismo, quale reazione del partito dell’ordine alle lotte popolari che avevano conquistato istituzioni democratiche.
[v] Purtroppo l’assenza o quasi di reali alternative credibili di sinistra al governo ha portato a disperdere molti voti di lavoratori fra astensionismo e consensi al M5S.
[vi] La versione originale era più corretta dal punto di vista storico di quella brechtiana, ma meno efficace e attuale: «Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa».
[vii] Non si creda sia troppo tardi riaprire la battaglia contro la legge Fornero, in quanto sarebbe maggioritaria nel paese, trovando consensi molto al di là dei confini della sinistra. Non solo è stata considerata prioritaria nel congresso della Cgil, da una maggioranza strettamente legata al Pd, ma è stata fatta propria persino dalla Lega.