Da gennaio ad agosto 2021, senza contare i morti per patologie contratte sul lavoro e gli incidenti non denunciati, si sono registrati 772 morti sul lavoro, una media di quasi quattro e mezzo per ogni giornata lavorativa. L’aumento, rispetto all’anno precedente, è del 13,4%.
È questo un altro risvolto dell’esito della lotta di classe in Italia, vinta a mani basse dal capitale, grazie anche al fatto che chi doveva attrezzare e mobilitare i lavoratori ha disertato.
Altro aspetto non secondario è rappresentato dalla liquidazione dei collettivi di fabbrica e delle commissioni interne al posto dei quali sono arrivate le Rsu che nel corso del tempo, in assenza di conflittualità e perché sovente controllati dai sindacati rappresentativi, si sono adeguate, ovviamente con alcune eccezioni, alla sottoscrizione di accordi a perdere sulla falsariga dei contratti nazionali senza potere di acquisto e di contrattazione.
Da parte dei datori di lavoro si pensa per lo più di ridurre i costi della sicurezza, come impone la logica del capitale, adempiendo a malapena agli obblighi burocratici o a redigere protocolli che all’atto pratico non producono un’effettiva riduzione dei rischi. Da qui i mancati interventi sugli impianti, le manomissioni dei dispositivi di sicurezza delle macchine, l’aumento dei ritmi produttivi, l’allungamento dell’orario di lavoro, con contratti collettivi nazionali di lavoro che prevedono l’obbligo dello straordinario e la detassazione di parte del salario accessorio. Ma perché si costruiscono macchine che consentono di disinnescare questi meccanismi e i poteri pubblici le omologano, sapendo bene che l’imprenditore (per natura avido) non esiterà a utilizzare questa possibilità?
Altro elemento rilevante è la precarizzazione del lavoro, favorita da una serie di leggi: Treu, Biagi, Jobs Act ecc. Ci sono studi che hanno evidenziato una chiara correlazione fra la precarietà e gli incidenti. I motivi sono intuibili: meno formazione e maggiore possibilità di ricatto (se non accetti di lavorare nella insicurezza c’è sempre il licenziamento, il demansionamento, gli orari scomodi imposti da qualche dirigente o capetto che sia).
La sconfitta nella lotta di classe ha impedito di porre argine alla dannata pulsione a incrementare i ritmi di lavoro, a esigere gli straordinari a non ridurre l’orario di lavoro che consentirebbe l’assunzione di nuovi lavoratori, a ridurre i ritmi oggi dettati da algoritmi padronali. Per non parlare della giungla delle piccole imprese dove in grande maggioranza si bypassano anche i più elementari dispositivi o dello sfruttamento bestiale per pochissimi euro al giorno dei lavoratori immigrati in nero.
Se dobbiamo ringraziare il governo Berlusconi per aver depenalizzato le responsabilità datoriali in materia, non possiamo sottacere che i successivi governi di centrosinistra, tecnici o di larghe intese che fossero, hanno lasciato le cose in questo stato.
Vediamo la faccenda dal punto di vista dei rapporti sindacali e degli istituti da essi derivanti.
Gli enti bilaterali sono degli organismi paritetici formati da associazioni datoriali e da sindacati firmatari di contratto e maggiormente rappresentativi.
Sono associazioni definite senza scopo di lucro, istituite e disciplinate dai contratti collettivi di lavoro, aventi il compito di garantire servizi e prestazioni che vanno dalla formazione all’assistenza sanitaria.
Nel corso degli anni questi enti hanno sottratto potere decisionale agli organismi eletti dai lavoratori e dalle lavoratrici (le Rsu) diventando nei fatti strumenti per promuovere sanità e previdenza integrativa anche attraverso lo scambio diseguale tra salario e servizi sui quali, peraltro, i datori pagano meno tasse.
Un’esperienza fallimentare dal punto di vista contrattuale e conflittuale, visto che sulla contrattazione di secondo livello hanno scaricato anche deroghe rispetto ai contratti nazionali e meccanismi iniqui e divisori come quello di attribuire a tale livello di contrattazione e in fase di confronto tra Rsu, organizzazioni sindacali ed enti pubblici, nella pubblica amministrazione, importi e criteri di alcuni istituti contrattuali. Così facendo i contratti nazionali vengono svuotati delle loro prerogative. Sul fondo della produttività collettiva grava l’aumento degli importi di alcuni istituti contrattuali senza incrementare tale fondo di un euro in più.
In questi ultimi giorni si va parlando di istituire delle commissioni miste sulla sicurezza. È emerso dai tavoli nazionali istituiti da governo, associazioni datoriali e i soliti sindacati per fermare l’aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro. Se così sarà verrà inferto un ulteriore colpo allo Statuto dei lavoratori rafforzando solo il potere datoriale. Occorre invece potenziare il ruolo e il potere effettivo dei rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza ormai risucchiati negli ingranaggi della filiera della sicurezza aziendale, subalterni al datore di lavoro e relegati ad ambiti di mera consultazione.
Qualcuno continua a credere che per ridurre gli infortuni e le morti sul lavoro (ma ben poco parliamo di malattie professionali che risultano in costante crescita) sia sufficiente prevedere pene più severe ricorrendo anche alla sospensione dell’attività per l’azienda inadempiente. Ci poi sono altre proposte, come una sorta di patente a punti per le imprese, l’istituzione di un database comune tra enti, le fin troppo attese assunzioni di ispettori, ma si tratta solo di qualche centinaio, non quindi di una massa critica in grado di intaccarne l’enorme carenza. Tutte proposte molto utili ma che non fanno venir meno la necessità di restituire potere contrattuale, che oggi non hanno, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls).
Serve riscrivere il Testo unico sulla sicurezza che, fin dalla sua adozione, ha subito continui stravolgimenti nell’ottica di alleviare pene e sanzioni a carico dei datori di lavoro. Se un intervento legislativo è necessario esso dovrà andare nella direzione di attribuire reali poteri ai rappresentanti dei lavoratori prevedendo sanzioni e pene severe per i datori inadempienti in materia di salute e sicurezza.
Ma questi obiettivi non sembra siano nell’agenda dei sindacati e men che mai del governo Draghi.
L’esperienza diretta insegna che infortuni e morti sul lavoro saranno in aumento nei prossimi mesi. Servirebbe un intervento legislativo per porre fine ai subappalti dove le condizioni di lavoro sono sempre più precarie e insicure ma, al contrario, il subappalto è stato rafforzato in nome del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
La patente a punti esiste già ma non ha prodotto i risultati sperati. In molti casi ci sono già normative che tuttavia non vengono rispettate in virtù di deroghe e scappatoie costruite ad arte. È emblematica la revisione dei mezzi agricoli con la rottamazione di quelli obsoleti e non a norma: se la volontà politica fosse quella di intervenire per combattere infortuni in agricoltura dovrebbero anche prevedere un adeguato stanziamento, e controllo, per il necessario ammodernamento degli strumenti di lavoro.
Anche la sospensione delle attività delle imprese inadempienti in materia di salute e sicurezza esisterebbe già sulla carta, per quanto sia un provvedimento assai raro. Qui entrano in gioco le tutele della forza-lavoro che necessiterebbero di ammortizzatori sociali adeguati perché un’impresa che chiude, anche temporaneamente, non lasci i propri dipendenti senza salario. In assenza di tale tutela potrebbero essere gli stessi lavoratori a non desiderare la sospensione.
Quanto alle assunzioni di tecnici se ne parla da almeno un decennio visto che negli organici della Asl e delle direzioni territoriali del lavoro mancano migliaia di unità e i concorsi banditi prevedono l’immissione in ruolo di numeri assai esigui rispetto alle reali necessità. Basti ricordare il rapporto tra gli ispettori del lavoro e il numero delle imprese da controllare. Ci sono in Italia circa quattromila ispettori a fronte di 4,4 milioni di imprese. Mediamente ogni ispettore dovrebbe controllare oltre mille imprese all’anno ed è stato calcolato che ogni azienda ha la probabilità di essere ispezionata una volta ogni 11 anni e mezzo.
Se dovesse passare, come temiamo, la proposta di istituire commissioni miste sulla sicurezza (lavoratori/azienda) saremmo davanti alla definitiva resa del sindacato perché ritorneremmo a prima del 1970 quando i datori avevano un potere assoluto contro il quale si svilupparono le lotte operaie del biennio 1968/69, con la nascita dei consigli di fabbrica che rimisero al centro delle rivendicazioni la tutela della salute e sicurezza. Veniamo da anni nei quali numerosi Rls sono stati perseguitati, sospesi o licenziati per avere svolto coerentemente il loro operato sindacale. La repressione è stata giustificata con il venir meno dell’obbligo fiduciario, preteso per sancire la subalternità del delegato sindacale al suo datore di lavoro. Se vogliamo restituire forza ai lavoratori e alle loro rappresentanze occorre porre fine ai codici di comportamento vigenti nelle aziende pubbliche e private – che rappresentano strumenti datoriali per tappare la bocca ai rappresentanti sindacali, imputando loro comportamenti scorretti e in cattiva fede – dai quali scaturiscono i licenziamenti. Le proposte dei sindacati rappresentativi non risultano convincenti, frutto come sono di un compromesso a perdere quale quello che in estate ha barattato il ripristino dei licenziamenti collettivi in cambio della promessa di pochi ammortizzatori sociali a tempo. Ci sembra evidente che l’obiettivo padronale sia quello di costruire organismi loro subalterni e senza effettivo potere contrattuale.
Ci sono poi i cosiddetti contratti pirata, circa 800, fatti sottoscrivere dalle aziende a sindacati di comodo, grazie all’assenza di una seria legge sulla rappresentanza sindacale. Tali contratti in genere prevedono condizioni oltremodo sfavorevoli per i lavoratori. Ma al contempo esistono anche contratti non pirata con retribuzioni di 4 euro l’ora.
Lo Statuto dei lavoratori aveva in una certa misura fatto entrare la Costituzione nei luoghi di lavoro. Ma essa è nuovamente uscita grazie alla continua erosione di queste conquiste. E con ciò anche l’articolo 1 della Costituzione e molti altri bei princìpi sono diventati carta straccia al momento in cui i rapporti di forza sono stati a solo vantaggio della classe padronale.
E il paese, nella lotta globale che oggi si va imponendo, riesce a competere solo risparmiando sulle tutele e sui diritti sociali e sulla svendita dell’ambiente.
Di fronte a questa situazione va estesa un’iniziativa conflittuale permanente nei luoghi di lavoro e nella società e il sindacato deve contrattare luogo per luogo l’organizzazione del processo lavorativo.