I lavoratori dell’azienda di trasporti romana, Atac, protestano per un rinnovo contrattuale che non si vede da un decennio e per le difficili e precarie condizioni di lavoro a cui sono soggetti, e subito il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio parla di «spregio verso il bene pubblico»; un gruppo di lavoratori di Pompei si riunisce in assemblea, il sito archeologico apre con un ritardo di un’ora e quarto e immediatamente il presidente del Consiglio, Matteo Renzi dice di aver provato «una rabbia incontenibile»
di Carmine Tomeo
Nell’uno e nell’altro caso, ricalcando la retorica di Brunetta ai tempi in cui, da ministro della Pubblica amministrazione, si era autoproclamato cacciatore di fannulloni, i lavoratori sono presentati come responsabili di immani disagi, delle pessime condizioni in cui versa il settore pubblico. Perciò, sostiene Delrio, «con loro si deve essere molto duri, nessuna timidezza». Il ministro, in questo caso, si riferisce ai lavoratori dell’Atac. Ma, di riflesso, Delrio si rivolge anche a quelli di Pompei, perché questi due casi «possono sembrare molto diversi fra loro. Ma hanno anche qualcosa che li mette sullo stesso piano, sono beni comuni, appartengono alla collettività. E quindi credo sia giusto far rientrare la fruizione dei beni culturali tra i servizi pubblici essenziali». Da qui, dal concetto di beni pubblici essenziali, si arriva presto, com’è facile immaginare, alla limitazione del diritto di sciopero.
Certo, Delrio riconosce che lo sciopero è un diritto tutelato dalla Costituzione e che perciò non è il caso che il governo intervenga direttamente in materia. Meglio che sia il Parlamento a farlo. Questo Parlamento, ovviamente, privato di qualsiasi reale rappresentanza di classe che non sia quella borghese e padronale. Ed infatti, ammette Delrio, «in Parlamento ci sono già diverse proposte di legge, come quella dei senatori Maurizio Sacconi e Pietro Ichino». Proposte che prevedono la possibilità di fare sciopero solo nel caso in cui a proclamarlo siano sindacati che rappresentano almeno il 50% più uno dei lavoratori o dopo un referendum con il quale lo sciopero è approvato dal 50% più dei lavoratori. Proposte che piaceranno anche a Roberto Alesse, presidente dell’autorità garante del diritto di sciopero, che ha chiesto al Parlamento di «avanzare proposte concrete di modifica alla legge sull'esercizio del diritto di sciopero», affinché si individuino, «strumenti di regolazione del conflitto, in una logica di salvaguardia dei diritti dei cittadini utenti».
E qui, sapientemente, Alesse costruisce una contraddizione tipicamente populista ad uso e consumo padronale, quella che incorrerebbe tra le rivendicazioni dei lavoratori ed i cittadini utenti (come se i lavoratori non fossero anche utenti di servizi e viceversa). Una contraddizione che Alesse, dal suo punto di vista, ovviamente vorrebbe risolvere in favore degli utenti, cioè dell’utilizzo dei mezzi pubblici declinata in un’ottica mercantilista e non certo di bene pubblico essenziale. Altrimenti, Alesse dovrebbe preoccuparsi della gestione di quei servizi, sulle responsabilità politiche e manageriali dei disservizi. Perciò, Alesse non ha di certo in mente di regolare il conflitto sull’esempio di uno sciopero delle infermiere in Inghilterra – ricordato da Ernest Mandel in una relazione sullo sciopero generale – quando queste, per evitare di nuocere ai malati, colpirono l’amministrazione del ministero della Sanità facendo lo sciopero dei pagamenti: le infermiere in sciopero, cioè, prestarono le cure ma non fecero pagare nessuno.
Alesse, infatti, da almeno un paio d’anni, punta su «una più efficace verifica del criterio della rappresentatività sindacale», per evitare che allo sciopero «si faccia ricorso in modo spregiudicato, magari a discapito delle organizzazioni sindacali maggiormente capaci di raccogliere il consenso della maggioranza dei lavoratori». Organizzazioni sindacali come la Cisl e la Uil, ad esempio, che propongono di nuovo lo sciopero virtuale (si lavora ma non si percepisce lo stipendio, perché si è in sciopero. La proposta è stata rilanciata dalla Uil) e che hanno firmato (insieme alla Cgil di Susanna Camusso), gli accordi del 28 giugno 2011, del 31 maggio 2013 e del 10 gennaio 2014. Accordi che regolano la rappresentanza sindacale, impongono la validità erga omnes degli accordi tra le parti e di fatto inibisce lo sciopero. Ed è proprio a questi accordi che Alesse guarda, già dal 2013, per regolare (ma si dovrebbe dire, per inibire) il diritto di sciopero, incitando ad una blindatura di quegli accordi per mezzo di un intervento del legislatore. E in attesa di questa “blindatura”, il Presidente della Commissione di Garanzia sul diritto di sciopero, chiede poteri speciali di tipo ispettivo e sanzionatorio, per colpire i lavoratori dei servizi pubblici che scioperano.
Il tentativo, in sostanza, è quello di regolamentare il conflitto, perché questo, se allargato e organizzato, può svolgere un’azione di controtendenza rispetto alle politiche di restringimento dei diritti e di progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro.