Un uomo solo al comando: Mario Draghi. Ma il presidente del Consiglio non è uno sprovveduto. A volerne la nomina sono stati i poteri forti dell’economia e della finanza e il principale alleato dell’Italia ossia gli Stati Uniti che hanno limitato, dal 1947, la sovranità del nostro paese dislocandovi decine di basi militari.
La visita di Draghi al presidente Usa va vista per quella che è, ossia un atto dovuto di un paese economicamente debole e poco incline a intraprendere iniziative politiche non suggerite dall’alleato americano. Se così non fosse il ruolo dell’Italia non sarebbe quello di portaerei nel Mediterraneo per conto della Nato, non saremmo stati trascinati nella guerra in Libia, avremmo compreso che la guerra in Ucraina ha ripercussioni solo negative sulla nostra economia e renderà l’Italia sempre più dipendente dai rifornimenti energetici (cinque volte più cari di quelli russi) dagli Usa.
In questo scenario desolante il Bel Paese si guarda bene dall’intraprendere iniziative diplomatiche che non siano dettate dal potente alleato.
Anche le politiche del lavoro costituiscono una conferma di questa subalternità.
I salari italiani sono cresciuti, negli ultimi 20 anni, meno che in ogni altro paese europeo, la perdita del potere di acquisto riguarda tanto i lavoratori dipendenti e autonomi quanto i pensionati.
Negli ultimi 40 anni tutte le riforme in materia di lavoro, welfare e previdenza si sono mosse nell’alveo del pareggio di bilancio e della contrazione di spesa al contrario degli Usa che, nei due anni pandemici, hanno assicurato alla loro economia una percentuale di aiuti e sovvenzioni di gran lunga superiore a quella decisa in quel di Maastricht.
Il lavoratore italiano è sempre più povero, e anche se ha un impiego stabile e a tempo indeterminato, il suo potere d’acquisto viene eroso dal costo della vita e da regole svantaggiose che rinnovano i contratti con aumenti irrisori.
Da 40 anni assistiamo impotenti ai tagli alla sanità, se guardiamo alla percentuale di Pil spesa in Italia per la salute pubblica siamo ben lontani dalla media europea. I morti da covid e la situazione negli ospedali ne sono la conferma.
Il Cnr è vittima di continui tagli, la ricerca pubblica è al collasso e i nostri cervelli migrano all’estero, portandosi dietro il capitale umano formato nelle università pubbliche.
La subalternità politica italiana alla Nato e alla Ue ha portato a controriforme anche in materia di lavoro con elevate percentuali di precari. La scelta operata è sempre stata quella di favorire l’impresa o con le detassazioni o con gli accordi di secondo livello, ma di accrescere il potere di acquisto salariale e previdenziale non si è mai parlato.
E il ruolo dei sindacati rappresentativi in Italia è quello di assicurare una stampella ai governi di turno tanto che veniamo da decenni di sconfitte, senza avere portato a casa alcun risultato come l’abbassamento dell’età pensionabile, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario o un calcolo dei contributi previdenziali meno svantaggioso.
E che dire della scuola pubblica, dove l’alternanza scuola-lavoro produce ogni giorno notizie di cronaca con giovani morti o gravemente feriti negli stage presso imprese che li utilizzano in maniera a dir poco impropria?
È quindi necessario e urgente un cambio di rotta e di prospettiva. non sarà il vassallaggio politico e culturale a fermare il declino di un paese la cui classe politica fa a gara per assecondare i voleri dei potentati di turno.