Dopo due anni e mezzo di occupazione della ex Maflow, fabbrica metalmeccanica nel sud ovest milanese de-localizzata e chiusa come molte altre, “qualcuno” si accorge dei 20 ex dipendenti, e non solo, che hanno dato vita a Ri-Maflow.
di Stefano Quitadamo a nome di Rimaflow
Un progetto di fabbrica autogestita, riconvertita in chiave ecologica, ispirata da chi prima di noi ha aperto questa strada come le fabbriche recuperate argentine, che rivendica innanzitutto la legittimità dell'occupazione come “risarcimento sociale” per lo sfruttamento e l'espulsione dei lavoratori e delle lavoratrici dal mondo del lavoro.
Un’esperienza di autogestione conflittuale che, sottolineiamo, è ben diversa dall'auto-imprenditoria dal basso (come alcuni articoli della stampa nazionale hanno tentato di etichettarci) dove ex dipendenti danno fondo alle proprie risorse, al tfr, ai risparmi di una, anzi, di molte vite per scommettere su quel mercato che li ha già traditi.
Quando Maflow, società leader mondiale nel settore della componentistica automotive, ha chiuso i battenti nel 2012 lo ha fatto mediante un accordo di chiusura che prevedeva anche la depredazione dei macchinari. L'occupazione degli ex dipendenti ha dato vita a molteplici attività che hanno il principale scopo di creare reddito tenendo al primo posto la dignità del lavoro e il mutuo soccorso che hanno fatto della fabbrica aperta un punto di riferimento per il territorio e per la cittadinanza. Alcuni rifugiati politici, dispersi nel territorio a causa della fine dei fondi dello stato per le associazioni che li avevano in carico, all'interno della fabbrica hanno trovato un letto, un tetto e del cibo, in una parola si può dire che hanno trovato una famiglia.
Co-working, laboratorio di riparazione e riuso computer/elettronica, laboratori artigiani, gruppo d'acquisto solidale (GAS) legato al Parco Agricolo Sud Milano, laboratori didattici sul cibo per i più piccoli, corsi di danza e concerti, 5000 mq di mercatino dell'usato, affitto degli spazi per eventi/feste, rimessaggio camper, magazzino per la logistica del progetto Spazio FuoriMercato per la fornitura dei GAS milanesi e molto, molto altro.
Numerose attività e progetti che fanno di RiMaflow un laboratorio aperto alle contaminazioni e collaborazioni “esterne” e che di fatto legittimano e sostengono questo progetto.
In RiMaflow abbiamo da subito fissato come primo obbiettivo la regolarizzazione dell'occupazione; sarebbe assurdo pensare di poter avviare un lavoro, una produzione attraverso la cooperativa, in una situazione di perenne irregolarità.
Questo processo di autogesione non è avvenuto attraverso la normalizzazione e il mantenimento dei rapporti di locazione vigenti prima della chiusura, ma, rivendicando appunto la forzatura compiuta ormai due anni e mezzo fa, attraverso un comodato d'uso gratuito temporaneo. Si tratta dell'opportunità di avviare una vera produzione con un piano industriale che giace nei cassetti da tempo e che, pagati gli stipendi, contempli il pagamento progressivo di una locazione.
Oggi la situazione va complicandosi, nonostante il rapporto da sempre interlocutorio con Unicredit proprietaria degli immobili, a causa di un atteggiamento miope ed intransigente delle istituzioni locali. Pur non essendoci mai stati problemi con il quartiere in cui Rimaflow è collocata, nessun caso di lamentele o denunce, dopo l'estate scorsa l'amministrazione comunale ha deciso unilateralmente di contattare la proprietà e irrompere a gamba tesa nella trattativa. Costretti quindi a coinvolgere anche l'amministrazione comunale, che di fatto è l'unica preposta alla concessione delle autorizzazioni necessarie per ogni attività verso terzi, ci siamo trovati di fronte ad una vera e propria “imboscata”.
Al termine di un sopralluogo in fabbrica, con i tecnici e le autorità locali, che aveva lo scopo di valutare insieme le anomalie e le irregolarità che sarebbero state oggetto di lavoro congiunto per essere superate, ci siamo visti recapitare successivamente come “atto dovuto” un esposto alla procura della repubblica che, coinvolgendo in solido la proprietaria Unicredit, denunciava gli illeciti presenti con annessa multa da alcune migliaia di euro.
Abbiamo quindi dovuto repentinamente rimuovere “gli illeciti” per non incorrere in altre e più pesanti sanzioni e di fatto chiudere il mercatino dell'usato con conseguente annullamento del bar e cucina, trovare altre soluzioni abitative per chi viveva in fabbrica, annullare tutte le manifestazioni culturali come concerti, teatro e tutte le attività rivolte ad un pubblico esterno, di fatto eliminare tutte le fonti di sostegno economico che ci tengono in vita.
La denuncia ha ovviamente provocato un irrigidimento da parte della proprietà e un precipitare delle relazioni tra le parti che ha visto un primo tavolo convocato in prefettura nel mese di aprile. Alla richiesta da parte di Unicredit di un coinvolgimento diretto dell'amministrazione comunale come garante di un possibile accordo di comodato d'uso a favore di Rimaflow è seguito un defilarsi di quest'ultima per ovvie implicazioni e rischi in ambito elettorale e di relazioni politiche interne a seguito di un eventuale appoggio alla sbandierata illegalità in cui vive oggi la fabbrica.
La risposta degli uffici comunali, a fronte di richieste da parte di Rimaflow di autorizzazioni in ottemperanza alle leggi in vigore, è quella di non poter procedere a causa della non titolarità dello spazio che essa stessa, l'amministrazione, non determina rendendosi di fatto latitante, nonostante il tavolo alla prefettura sia stato convocato una settimana dopo il primo quindi più di un mese fa.
Occorre sbloccare questa fase di stallo per arrivare all'accordo; solo l'attuazione del processo produttivo e della sua sostenibilità economica farà di Rimaflow un esempio che nel nostro paese potrà aprire la strada ad altre esperienze simili. La Rimaflow da sola potrà forse solo resistere, la RiMaflow invece deve vivere.
Cominciamo a dirlo forte e chiaro all'assemblea pubblica che si terrà in fabbrica.