La Costituzione italiana entrò in vigore nel 1948, ma passarono più di 20 anni prima che entrasse a pieno titolo anche nelle fabbriche, quando il 20 maggio del 1970 fu approvato lo Statuto dei lavoratori.
La Costituzione era stata scritta anche grazie alla Resistenza ed esprimeva in sé l'idea che la nuova democrazia fosse fondata su un compromesso tra capitale e lavoro, riconoscendo ad entrambi piena cittadinanza ed assegnando allo Stato il compito di ridurre le disuguaglianze. Da un lato, quindi, si scriveva il diritto al lavoro, allo sciopero e alla libertà di organizzazione sindacale, dall'altro quello all'impresa e alla proprietà privata. Proprietà privata che, nelle intenzioni, non avrebbe dovuto svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Quegli articoli, però, nelle fabbriche degli anni 50 non entrarono mai. Non alla Fiat di Valletta, per esempio, dove chi osava votare Fiom o essere iscritto al PCI veniva licenziato o rinchiuso nei reparti confino. Furono le grandi lotte dell'autunno caldo a tradurre la Costituzione nello Statuto dei lavoratori e imporre quei diritti nelle fabbriche e nei posti di lavoro.
Tutto questo è bene tenerlo fisso in mente, quando il 4 dicembre si andrà a votare per approvare o bocciare la riforma costituzionale del governo Renzi. Per almeno tre ragioni.
La prima è che la difesa di quella Costituzione è la difesa stessa della democrazia nel paese. Non si può accettare che la legge fondativa dello Stato, scritta da una Costituente che rappresentava allora tutti (o quasi) gli interessi del paese, possa essere modificata da un governo che non rappresenta invece che una minoranza di essi, per di più votata da un Parlamento riconosciuto illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale.
La seconda è che la la difesa di quella Costituzione è la difesa stessa della democrazia nei posti di lavoro. La riforma Costituzionale del governo Renzi obbedisce alla finanza mondiale e ai poteri forti del nostro paese. Non a caso, ha il sostegno incondizionato e appassionato della Confindustria. L’austerità imposta dalle banche e dai padroni non tollera i vincoli democratici dettati dalle costituzioni scritte nel dopoguerra. La riduzione dei costi del lavoro, l’aumento della flessibilità e della libertà di licenziare, le privatizzazioni e le liberalizzazioni hanno bisogno di istituzioni politiche nazionali meno democratiche. Questo intendevano gli economisti di JP Morgan nel 2013, quando invitarono i governi europei “a liberarsi delle costituzioni antifasciste”.
Le modifiche alla Costituzione servono allora anche a dare legittimità politica alle controriforme del governo Renzi, dal Jobs act alla legge di Bilancio, all'APE, alla Buona scuola e via dicendo. Ma soprattutto servono a costruire un sistema istituzionale che accentra i poteri sull'esecutivo per poter proseguire con ancor più decisione queste politiche. In poche parole, la riforma di Renzi è scritta e sostenuta dai padroni e dalle banche. Chi sta dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, il 4 dicembre farà bene a votare NO.
La terza ragione non è di merito, ma è altrettanto importante. L'esito del referendum è essenziale e produrrà effetti non soltanto sulla Costituzione, ma sullo stesso quadro politico italiano e quindi anche sulle sue politiche sociali. Nel caso in cui vincesse il SI, Governo e Confindustria ne uscirebbero pienamente confermati e quindi più forti, più legittimati e quindi anche più aggressivi. Per questo in questi mesi, tante compagne e compagni si sono impegnati e continueranno a farlo fino all'ultimo, affinché vinca il NO. Abbiamo bisogno che vinca il NO, anche perchè abbiamo bisogno di una vittoria ogni tanto. Di sconfitte ne subiamo in continuazione.
Tuttavia è bene che ci diciamo da subito e con chiarezza che in assenza di una mobilitazione, la vittoria del NO non sarà sufficiente a produrre un cambiamento reale nel paese.
Voterò NO perchè penso che il testo della Costituzione non vada modificato perchè va bene così come è, nelle condizioni date ovviamente, cioè quelle di una democrazia borghese in uno stato capitalistico. Ma essa va applicata. Perchè già oggi le ultime controriforme sociali sono passate a colpi di decreti e voti di fiducia, con un carattere di urgenza che a volte non viene garantito nemmeno per intervenire dopo i terremoti! Già oggi, una minoranza che governa il paese può permettersi di approvare leggi profondamente ingiuste verso i lavoratori e le lavoratrici. Già oggi quel compromesso che all'alba della Resistenza aveva permesso di scrivere la Costituzione non esiste più. E già oggi, lo Statuto dei lavoratori che aveva consentito l'ingresso della Costituzione nelle fabbriche è stato di fatto cancellato. La Fornero e Renzi hanno già fatto uscire la Costituzione dai posti di lavoro.
La vittoria del NO è una premessa per tentare di riportare la Costituzione nei luoghi di lavoro. Ma teniamo comunque presente che ciò non sarà sufficiente, perché in ogni caso il 5 dicembre ci saranno ancora il Jobs act e la legge Fornero, la legge di Bilancio e la Buona Scuola. Così come in Grecia a luglio dell'anno scorso la grandissima affermazione dell'OXI, non fu sufficiente ad impedire l'accettazione del terzo memorandum da parte del governo, in assenza di una mobilitazione generale del paese in quella fase.
Allora, votiamo NO il 4 dicembre e fino all'ultimo giorno spieghiamo le nostre ragioni, sapendo anche che se prevarrà il SI avranno vinto Renzi e la Confindustria. Ma dal 5 dicembre continuiamo a lavorare per ricostruire i rapporti di forza nei posti di lavoro e per creare le condizioni di una grande mobilitazione nel paese. È questa l'unica condizione affinché cambino davvero le cose.
Senza l'autunno caldo, i lavoratori e le lavoratrici non avrebbero conosciuto nemmeno la Costituzione che ora giustamente difendiamo. E se la Costituzione in fabbrica è entrata con le lotte, è con le lotte che deve rientrarci!