In questa corposa opera scientifica di quasi mille pagine (Il Capitale nel XXI secolo) Piketty - sulla base dei dati disponibili - presenta in maniera dettagliata, talvolta persino ridondante, lo stato attuale delle nostre conoscenze storiche sulla dinamica della distribuzione dei redditi e dei patrimoni a partire dal XVIII secolo, traendone, in ultimo, insegnamenti per il secolo in corso. La lezione principale - che conferma peraltro molti altri studi nonché la comune esperienza - è che il sistema capitalistico, se abbandonato a se stesso, continua a produrre progressiva divergenza economica all’interno della società, mettendo persino in discussione quello stato sociale faticosamente conquistato dai cittadini europei.
Il testo, non certo sintetico, costituisce uno studio serio che ha il merito di chiarire, su basi oggettive, la distribuzione della ricchezza mondiale, la sua dinamica storica e la direzione futura prevedibile, nonché quello di formulare una possibile soluzione chiara dei gravi problemi, della quale espone anche gli attuali ostacoli da rimuovere per la sua effettiva realizzazione. La proposta formulata consiste in un processo di redistribuzione della ricchezza, mediante una elevata imposta mondiale fortemente progressiva da applicarsi sul capitale individuale, per invertire l’attuale andamento, altrimenti inarrestabile, di concentrazione della stessa ricchezza prodotta (con formazione di un’oligarchia internazionale). Secondo l’Autore, tale riforma si dovrebbe comunque realizzare per vie democratiche all’interno dell’attuale sistema capitalistico e sarebbe l’unico modo per impedire una situazione insostenibile di sempre più estrema disuguaglianza economica, tale da poter inficiare gli stessi meccanismi del funzionamento economico e da generare inevitabilmente disastri umanitari e sociali al punto da ipotizzare la fine della civiltà così come oggi la conosciamo.
Analizzando i dati statistici mostrati nel testo si evince che con il crescere delle disuguaglianze nella proprietà di capitali, la cosiddetta “classe media” tende a sparire e si proletarizza, determinandosi una separazione sempre più netta tra i nullatenenti e la classe possidente. Si evince anche che la “classe media”, che costituisce ancora una sorta di cuscinetto tra il proletariato vero e proprio e la borghesia e che ha costituito il perno dello sviluppo delle cosiddette “democrazie occidentali”, non è sempre esistita storicamente (e geograficamente), ma si è formata prevalentemente nei primi decenni del secondo dopoguerra, a seguito di peculiari fattori storici occorsi nei Paesi sviluppati. La classe media piccolo-proprietaria è stata una grande creazione del XX secolo, dovuta alla redistribuzione di una importante quota di ricchezza proveniente dai centili superiori, nonché -ma questo punto non sembrerebbe essere citato nel testo- dall’esproprio sistematico della ricchezza prodotta dai paesi colonizzati da parte dell’imperialismo occidentale. E oggi sempre più in crisi…
Il punto è che i decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, i Trente Glorieuses, come ci illustra Piketty, sono stati l’unico periodo nella storia del capitalismo in cui si sono verificate le seguenti condizioni, in particolare nei Paesi del cosiddetto “Primo Mondo”:
- Crescita molto elevata del Prodotto Interno lordo (PIL). In nessun altro periodo storico, né antecedente o né successivo, si è mai avuta una tale continuativa crescita economica.
- Minime disuguaglianze patrimoniali di partenza. Ciò è stata la conseguenza dei disastri di trent’anni delle due guerre mondiali e della Grande Crisi economico-finanziaria che hanno quasi azzerato i valori dei capitali mobiliari ed immobiliari.
- Contenute (seppur crescenti) disuguaglianze dei redditi da lavoro.
- Politiche economiche pro-lavoro e socialmente più egualitarie (ad esempio la creazione dell’imposta progressiva sul reddito).
In tale congiuntura storica l’accumulo di ricchezza è provenuta prevalentemente dai redditi di lavoro anziché dal capitale ereditato o accumulato nel passato e ciò ha determinato una maggiore mobilità sociale ed una effettiva, sebbene parziale, emancipazione sociale.
L’Autore mette opportunamente in rilievo come questa fase storica si sia andata esaurendo intorno agli anni settanta e come, conseguentemente, la sua fenomenologia sociale in termini di distribuzione della ricchezza (minore disuguaglianza economica, espansione di una classe media, sviluppo dello stato sociale), a partire da quel periodo, pur con un ritardo inerziale, si stia ritrasformando in senso regressivo. Si è trattato infatti di una fase peculiare e temporanea, non del naturale sviluppo capitalistico.
Ci stiamo ormai avviando, in tutti i Paesi Sviluppati e in buona parte del mondo, verso una diseguaglianza economica in termini patrimoniali simile a quella vissuta dall’Europa nel XIX secolo -con l’1% di rentiers che possedeva il 50-60% dei patrimonio nazionale, il 10% che ne possedeva il 90% e il resto della popolazione che viveva di stenti- e tendenzialmente potremo persino superarla se non si interverrà. Ancora più drammatica è la crescente disuguaglianza dei redditi da lavoro: a partire dagli anni settanta-ottanta assistiamo, soprattutto e ad iniziare dagli Stati Uniti, ad una esplosione senza precedenti delle disuguaglianze di reddito, con una crescita impressionante del reddito da lavoro essenzialmente a beneficio esclusivo dell’1% più benestante. Ciò è dovuto in particolare ad una classe di supermanager delle multinazionali con stipendi annui di diversi milioni di dollari (o di euro) e persino di centinaia di milioni per le posizioni di vertice: nessuno può prevedere fino a quale livello ci si potrà spingere da oggi in avanti. La polarizzazione dei redditi da lavoro sta facendo sì che le famiglie ad alto reddito - oltre il novantesimo o i novantacinquesimo percentile -, impiegando appena una piccola parte del loro reddito, possano sempre più impiegare come domestici una buona parte della popolazione a minor reddito. Si sta ricreando il lavoro servile ?
La crescita estrema della disuguaglianza, con l’attuale andamento, potrà raggiungere un livello tale da essere considerata intollerabile e dar luogo a lotte violente a cui si opporrebbero da una parte un più forte apparato repressivo dall’altra un’operazione di vitale legittimazione ideologica della posizione dei vincitori, operazione che naturalmente è già pienamente in atto. Quest’ultima si propone sia di giustificare la ricchezza e gli alti redditi con il merito sul lavoro (capacità e sacrificio) sia con la loro necessità sociale, nel senso che la eventuale riduzione degli alti redditi nuocerebbe al resto della popolazione.
L’autore è membro del Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni