Questa storia inizia qualche anno fa, a Piombino nella piazza davanti alla SOL, azienda di produzione e distribuzione di gas industriali, situata in uno dei crocevia strategici per la circolazione della città.
Da lì partono le prime iniziative a difesa dell'articolo 18 e poi, nel 2015, le proteste contro l'accordo che cede a Cevital e all'imprenditore algerino Issad Rebrab la ex Lucchini, ora Aferpi, in cambio di un taglio netto alle conquiste della contrattazione integrativa degli ultimi decenni.
Nella piazza della SOL, un nutrito gruppo di lavoratori con varie e diverse esperienze sindacali dà vita a un primo campeggio dei lavoratori in cassa integrazione, che, ripetuto l'anno successivo, nel tempo dà vita a un vero e proprio coordinamento, il camping CIG.
Sono passati due anni da allora, i nodi dell'accordo sono venuti prevedibilmente al pettine e i lavoratori del camping CIG sono di nuovo in presidio permanente, stavolta in piazza Cappelletti, incatenati alle grate del Rivellino, storica costruzione nel centro di Piombino.
A meno di due settimane dalla scadenza del periodo di tutela previsto dalla legge Marzana, i lavoratori protestano contro l'imminente rischio di licenziamento per centinaia di lavoratori. Colpevole anche un Governo immobilista e una amministrazione comunale irresponsabilmente accondiscendente nei confronti dell'imprenditore algerino, incredibilmente premiato uomo dell'anno nel 2016 dal presidente della Regione Toscana e dal sottosegretario del Ministero dell'Ambiente.
Delle tante promesse, Rebrab ha mantenuto solo quella più scontata: la riduzione dei salari, ottenuta da un accordo sindacale unitario che si è piegato al ricatto occupazionale, in attesa di un piano industriale e di riqualificazione degli impianti che ovviamente non è mai arrivato.
I lavoratori del camping CIG in questi anni non hanno mai mollato la presa e, seppure con l'acqua alla gola, non smettono di chiedere il rispetto degli accordi sottoscritti, la proroga degli ammortizzatori sociali, ma soprattutto la continuità produttiva dell'area, anche confrontandosi su un piano di più lungo respiro che coinvolga le altre acciaierie italiane nella costruzione di un tavolo nazionale per la difesa e il rilancio del settore siderurgico.
Da tempo, i lavoratori del camping CIG sono, infatti, promotori della necessità di mettere in piedi un coordinamento nazionale di lotta dei lavoratori siderurgici, a cui nel tempo si sono aggiunti altri lavoratori della AST di Terni e dell'Ilva di Taranto. L'obiettivo è quello di mettere in rete le diverse situazioni di crisi e, tutti insieme, sostenere la necessità di una vertenza nazionale che superi la competizione tra stabilimento e stabilimento e provi a contrastare la fallimentare illusione del si salvi chi può. Non si garantisce, infatti, l'occupazione di un sito a danno degli altri. Così come, se non si immagina un piano complessivo su quale acciaio si produce e come lo si produce, non si salva dalle enormi pressioni mondiali a cui è sottoposto il settore della siderurgia di base, fattore strategico e condizione stessa per lo sviluppo dell'intera industria manifatturiera del paese.
D'altra parte, questa vicenda, così come quella di Terni e di Taranto lasciano pochi dubbi. Lo smantellamento dell'industria siderurgica italiana ha origine con le privatizzazioni e la svendita sul mercato di stabilimenti comprati a costo di bancarella da imprenditori che invariabilmente hanno sfruttato al massimo gli impianti, con buona pace degli investimenti, delle condizioni e dei posti di lavoro, della salute, della sicurezza e dell'ambiente.
Soltanto un piano di nazionalizzazione può garantire le condizioni per il rilancio del settore e per i necessari interventi di bonifica. Ma si sa, i soldi che non sono mancati per salvare le banche, sono introvabili se servono a garantire posti di lavoro e tutela dell'ambiente. Meglio, molto meglio, per la classe dirigente nazionale e locale di questo paese svendere ai privati e ricattare i lavoratori affinché accettino di ridursi salario e diritti, in cambio di promesse che immancabilmente vengono disattese. Non importa a quanto salario si dovrà rinunciare prima di essere competitivi con i cinesi, né quanti posti di lavoro si dovranno tagliare, né quanto ancora si dovrà inquinare. È il capitalismo, bellezza!
Eppure quei lavoratori in piazza a Piombino, resistono e, incatenati per difendere il loro posto di lavoro, trovano il tempo per chiamare a raccolta i lavoratori delle altre fabbriche della zona e degli altri stabilimenti siderurgici, per discutere del futuro del territorio tanto quanto dell'industria dell'acciaio nel paese, mettendo a disposizione il loro indiscutibile sapere operaio, anche a difesa della salute, della sicurezza e dell'ambiente. Sono loro, quei lavoratori, gli uomini dell'anno di Piombino e meritano la solidarietà di tutte e tutti.
Non solo. Meriterebbero anche che il sindacato capisse la loro lotta, la appoggiasse e, a due settimane dalla scadenza degli ammortizzatori sociali, finalmente proclamasse lo sciopero generale di tutto il territorio.