“La via maestra, insieme per la Costituzione” slogan delle due manifestazioni lanciate dalla Cgil è stato un successo ben oltre qualsiasi aspettativa. Oltre centomila partecipanti hanno sfilato per le vie di Roma hanno dichiarato gli organizzatori, il dato è però sottostimato dato che Piazza San Giovanni era già piena quando il flusso di persone provenienti dal corteo ancora cercava di entrare. I manifestanti venuti da tutta Italia hanno invaso le vie della capitale con slogan contro il governo. Un fiume di persone con magliette rosse mette un punto alle politiche liberiste del governo e apre un nuovo capitolo, speriamo di lotte significative.
La Cgil ha dato la possibilità a tutti di poter manifestare mettendo a disposizione pullman e una consistente struttura organizzativa dando prova di grande responsabilità sociale anche se spesso si trova sola nel panorama politico italiano, senza nessun appoggio istituzionale rappresentativo. Anzi, i mass media dominanti hanno giustamente svolto la loro ridicola prova di forza, accostando la Schlein con la protesta. In mancanza di una organizzazione politica riconosciuta dal proletariato che sappia svolgere la lotta degli sfruttati, la borghesia attraverso i suoi potenti mezzi di comunicazione ha facile gioco nel deviare e distogliere le masse proletarie dai propri reali obiettivi.
Noi comunisti ancora non siamo stati in grado, per nostra mancanza, di costruire una realtà politica che sappia contrastare l’egemonia dominante. Inoltre la CGIL insieme alla Uil hanno indetto in diverse date di novembre e dicembre uno sciopero generale, purtroppo regionale, contro la manovra proposta dal governo. È compito di tutte le forze progressiste di questa nazione lavorare alla riuscita di questo sciopero generale e delle manifestazioni che si terranno al sud, al centro e al nord. La legge di bilancio proposta dal governo della Meloni è iniqua e va contrastata mettendo da parte tutte le tessere delle varie organizzazioni per mettere al primo posto l’opposizione di classe.
Il sindacato di massa come lo conosciamo nel modo di produzione capitalistico, essendo una primordiale forma organizzativa operaia che tenta di vendere al miglior prezzo la forza lavoro, non può porsi il superamento del capitalismo ma è in sé una forma organizzativa di tipo riformista della classe dei lavoratori, una casamatta, usando il dizionario gramsciano, dove pertanto vige la lotta per l’egemonia. Di tale lotta i comunisti dovrebbero essere coscienti e dovrebbero cercare di combatterla anzichè battere in ritirata, nella consapevolezza che essa richiede uno sforzo enorme di costanza e organizzazione proprio perchè dinanzi a sè in questa lotta non si ha semplicemente il burocrate di turno ma esso impersona proprio l’imperialismo in quanto è proprio quest’ultimo che distribuendo cospicue prebende, foraggia costantemente uno strato superiore di aristocrazia operaia sempre pronta alla più supina conciliazione con il padrone.
Astrarsi dalla battaglia sindacale contro le burocrazie, che dovrebbe essere condotta proponendo costantemente la costruzione meticolosa di raggruppamenti più avanzati e coscienti all’interno della base sindacale, è un dovere per un buon comunista che sappia interpretare il concetto di avanguardia nel sindacato in modo dialettico elaborando cioè una critica costruttiva e non distruttiva, volta alla ricerca del compromesso quando questo è utile per un avanzamento nelle condizioni determinate dalla lotta e al contempo intransigente nel mettere a nudo le tendenze necorporstive e filoimperialiste dei vertici come ad esempio sono state le posizioni prese da Landini sul conflitto israeliano-palestinese sonoramente fischiate in piazza San Giovanni.
L’intellettuale non organico alla classe che si arroga il diritto di critica distruttiva non partecipando attivamente alla battaglia ma astraendosi da essa favorisce per un verso la smobilitazione dei lavoratori dai sindacati, atto gravissimo, e per un altro la diffusione del pernicioso atteggiamento infantile tipico degli opportunisti di sinistra sempre pronti ad attaccare chi è al proprio fianco piuttosto che vedere il nemico nel campo avverso. Ancora peggio forse sono le burocrazie dei piccoli sindacati che pur di mantenere saldo il proprio posto di lavoro disprezzano politicamente l’unità sindacale e il raggiungimento di un unico e più grande sindacato contribuendo in questo modo a frammentare ulteriormente la classe lavoratrice lavorando cioè in favore del principale obiettivo del capitale: divide et impera. Oggi, dato che abbiamo un governo alquanto inquietante e una mancanza di opposizione politica credibile, dobbiamo riconoscere alla Cgil di porsi dalla parte degli oppressi al di là di qualsiasi appartenenza sindacale e aver realizzato l’unica manifestazione di massa contro il governo della Meloni ciò senza che questi infici la necessaria e intransigente critica costruttiva alle tendenze neocorporative che contraddistinguono tale sindacato.
Lo screditare l’unica opposizione di massa, per quanto essa possa essere ad oggi limitata e arretrata, senza una reale alternativa ci pone immediatamente sul piano del minoritarismo cioè esattamente in quel piano che oggi è quanto di più lontano dalle necessità storiche dei comunisti che dovrebbero invece fare perno attorno ad un complesso lavoro di massa. Dal punto di vista del “partito”, cioè dell’elemento cosciente dal quale pretendere una linea e un progetto rivoluzionario è evidente che difficilmente si può pensare di scalfire l’egemonia dominante senza un’organizzazione credibile per le masse: siamo ancora troppo divisi in parrocchie che si competono fra di loro cercando di strappare qualche militante. L’unità comunista diventa imprescindibile affinché si possano utilizzare le istituzioni democraticamente elette come cassa di risonanza della lotta di classe, infatti la mancanza di rappresentanza parlamentare rischia di farci apparire ininfluenti se non inesistenti in una fase di bassa partecipazione politica alla cosa pubblica. Ma tale unità non può nascere dalla “negazione” semplice che ogni gruppetto fa degli altri, ma da una negazione dialettica cioè prendendo ciò che di buono c’è in ognuno e rigettando ciò che c’è di caduco. In tal senso in luogo di intergruppi politici andrebbero coltivate le unità nell’azione su ciò che unisce, in luogo della creazione di nuove parrocchie andrebbero favorite le azioni comuni dal basso e dall’alto basate sul rispetto reciproco del lavoro di ognuno.
La mancanza del partito e in mancanza anche dell’unità d’azione tra i comunisti anche un sentimento progressista diffuso nella popolazione italiana come il rifiuto della guerra rischia di non poter essere intercettato e indirizzato contro le élite dominanti lasciandolo in tal modo in mano ai socialsciovinisti i quali non potranno che tradire queste istanze di buon senso. La mancanza di unità comunista e l’assenza momentanea di un fronte popolare per la pace aperto e plurale (anche se qualche timido tentativo si sta prospettando) non solo non riesce a fare tesoro di questa fondamentale battaglia, come il no all’invio delle armi, ma non riesce a mettere nel dibattito nazionale neanche il caro vita determinando di fatto la passività delle masse in una fase cruciale della politica nazionale.