“Non vi daremo tregua, finché non avremo imposto un nuovo modello di sviluppo per le donne e gli uomini, non per il profitto”. Ѐ la promessa scritta a suggellare il comunicato del Clu (coordinamento lotte unite). Una promessa che ha tutta l’aria di essere perentoria e determinata, dopo il presidio di centinaia di lavoratori (Sky, Almaviva, Alitalia, scuole, ospedali ecc.) sotto il Mise il 17 ottobre, in contemporanea al tavolo per Roma. Grandi assenti all’incontro il ministro Calenda e la sindaca Raggi, nonostante l’invito a partecipare, da parte degli interessati alle vertenze lavorative. Neanche una risposta, neanche un rifiuto, solo indifferenza di fronte ai problemi sollevati dai lavoratori, mentre ci si aspetta da tempo una precisa risposta sulle vertenze in atto.
Il Clu protesta contro i tagli ai servizi pubblici, i licenziamenti, l’abbattimento dei salari e contro l’inqualificabile alternanza scuola lavoro che dequalifica la scuola sfruttando persino gli studenti, ancor prima di essere lavoratori, semmai lo saranno, visto lo stato attuale nel mondo del lavoro. Chiare le indicazioni dei lavoratori al presidio per indicare un nuovo modello di sviluppo “posti di lavoro dignitosi con orari, normative e salari adeguati a permettere una vita degna di essere vissuta”. Mentre Roma e i suoi lavoratori “sono al servizio dei padroni, speculatori e banchieri e politici. Autentici parassiti della città”. Evidente quanto la febbre dell’insofferenza e dell’indignazione dei lavoratori sfruttati stia prendendo corpo, esprimendosi in proteste, finalmente congiunte, nella Capitale, a testimoniare anche lo scontento di un Paese alla deriva, deprivato di tutti i diritti del lavoro, dopo lo smantellamento dello Statuto con la complicità dei sindacati confederali, sempre più assenti al fianco dei lavoratori. Così come lo dimostra la intricata questione di Almaviva contact.
Almaviva story: per non dimenticare
A fare le prime amare spese degli effetti del Jobs act è stata l’azienda Almaviva con sede a Roma, di cui abbiamo seguito sul nostro giornale le ben note vicende, a partire dal referendum di Dicembre (590 Si e 473 No) che ha visto emergere i Sì al ricatto dei padroni, per il timore motivato di perdere definitivamente il posto di lavoro. In contemporanea sopraggiunge la beffa, d’altro canto annunciata. La sede di Casal Boccone chiude e licenzia 1666 dipendenti contrattualizzati. La sede di Napoli, posta sotto lo stesso ignobile ricatto “O licenziati o schiavi”, si salva almeno dal licenziamento in tronco, ma a quale prezzo? Gli ex lavoratori Almaviva di Roma tentano di ricompattarsi in un comitato per organizzare le proteste e chiedere al ministro Calenda la ricollocazione. Manca la compattezza, dove sono i 1666? Resta la grinta di alcuni dei licenziati per procedere all’attuazione delle lotte. Ci provano i più intraprendenti e si organizzano in commissioni: comunicazione, aspetti legali, marketing per l’autofinanziamento. Gli altri a casa speranzosi di un ripensamento del sior paron che ovviamente non arriverà. Sit-in e iniziative di protesta si susseguono ovunque, sotto la Regione e nelle piazze romane al grido di “Gente come noi non molla mai”.
Si attivano per la Naspi, sperando che il Governo e l’Inps potenzino almeno gli ammortizzatori sociali, o per la mobilità. Per sopravvivere almeno per due anni allo spettro dell’indigenza in cui gli Ad di Almaviva li hanno emarginati. Con la beffa che già gli stessi imprenditori da tempo delocalizzavano in Europa dell’est (Romania) e ottenuti fondi dalla Simest (6 milioni) aprono nuove sedi in Brasile, mentre a Roma licenziano in blocco. E a fine Gennaio la prima mega manifestazione per le strade della Capitale. Un’iniziativa congiunta ai tanti lavoratori delle aziende romane che il lavoro lo stanno perdendo e non vedono riconosciuti i diritti, mentre sono costantemente umiliati dalle nuove norme, compresa quella infame del controllo a distanza. Almaviva alla testa del corteo a inveire contro l’ad Marco Tripi che ha gettato sul lastrico intere famiglie. A seguire i lavoratori di Alitalia, Tim comunicazioni, Ama, a cui si accodano i migranti di Casal Boccone dei Bpm per il diritto alla casa. A Roma la lotta è continua, ma le risposte del governo continuano ad essere beffarde e nulle. Si era vissuta da poco la vittoria plebiscitaria del 4 dicembre e Renzi appena tornato a casa dimissionario e asfaltato dai rifiuti di un popolo esasperato. Ma dov’è la vittoria costituzionale? Quali gli effetti positivi sul lavoro e sui diritti costituzionali? Cosa vuol dire quella vittoria se il lavoro non c’è e lo Stato di diritto è smantellato?
A seguito giunge il contentino della Naspi. Lo avranno per due anni i licenziati Almaviva, del ricollocamento invece non se ne parla. Interviene Zingaretti in un incontro con i ministri Poletti, Calenda e il vice ministro Bellanova. “Nessuno sarà lasciato solo” dice il presidente della Regione Lazio, ma la sua voce è evidentemente troppo flebile. Tante le organizzazioni che si stringono intorno alla causa dei licenziati Almaviva. Sempre presenti e attivi i Clash city workers e anche il Partito della Rifondazione sposa la causa Almaviva, facendosi portavoce presso le varie rappresentanze istituzionali. Nel frattempo continua il massacro dei lavoratori delle aziende romane. Anche Sky (la tv satellitare) sferra un attacco sui dipendenti: “O trasferimento nella sede di Milano o licenziamento”. Così nasce il Clu, per unire le lotte contro le prepotenze e i ricatti dei poteri aziendali. I rappresentanti dei comitati dei lavoratori tentano la via del Campidoglio, chiedendo un audit alla giunta capitolina, ma la sindaca e il suo staff hanno altro a cui pensare. Non possono prestare attenzione ai guai di Roma, con la motivazione permanente che i danni della Capitale sono stati causati dalle giunte precedenti. Così girano lo sguardo e disertano la sala in cui si svolge l’assemblea dei lavoratori, che per l’ennesima volta vengono lasciati soli.
E oggi quali risvolti per Almaviva?
La lotta dei lavoratori continua, perché la questione dei licenziati Almaviva contact non ha trovato risposte, né soluzioni importanti. Sopraggiungono delle vicende a complicare la questione, fatti che si possono interpretare come atteggiamenti di parzialità strumentali. Ѐ accaduto giorni fa nella sede Almaviva di Milano. Anche qui, come a Roma e a Napoli si è tenuto un referendum per trovare un accordo con i sindacati sulle modalità di lavoro. Parte una lettera, datata 11 ottobre, che l’azienda ha inviato a 65 dipendenti, per la fine della commessa Eni. Nel contenuto della missiva si parla di trasferimento nella sede di Rende (Cosenza). I sindacati reagiscono prontamente affermando che si tratta di “licenziamenti mascherati” per una rivendicazione dell’azienda a seguito dello stop alle condizioni di lavoro inadeguate, ovvero il respingimento dell’articolo 4 (controllo a distanza) e dei Rol (riduzione orario lavoro a discrezione delle esigenze dell’azienda). Cambio di rotta. Incredibile. Interviene Calenda dal Mise e chiede ai responsabili di sospendere i trasferimenti con un annuncio trasmesso da fonti del Ministero “si augura che l’azienda non proceda con il trasferimento in Calabria, che si configurerebbe con un licenziamento, seppure mascherato”. Tradotto: datevi una calmata nell’infierire sui lavoratori che non è il momento. Rimandate a dopo elezioni.
Illazione o interpretazione vicina alla realtà dei fatti? Fatto sta che Calenda nella questione romana di Almaviva contact pare evidente che non si sia fatto carico alcuno di intercedere perentoriamente e temperstivamente a favore della sospensione dei 1666 licenziamenti. Mentre per Milano chiede la sospensione dei trasferimenti di 65 dipendenti. Cosa bolle in pentola, nell’agenda del Ministro, se non il calmare le proteste, specie in una fase ormai pre-elettorale? Da Almaviva contact rispondono con un comunicato al Ministro, capitolando verso la sospensione delle misure: “L’azienda consapevole della complessità della situazione, accoglie con responsabilità l'appello del governo a sospendere le misure finora adottate, in attesa dell'incontro in sede ministeriale, previsto nei prossimi giorni, per la necessaria definizione di un’intesa che garantisca l’indispensabile equilibrio del sito produttivo”. Perché il ministro, a suo tempo, non ha in egual modo chiesto all’ad Tripi di tentare di sospendere i 1666 licenziamenti, avvenuti nella sede di Roma?
Vertenze Almaviva Roma
“Siamo giunti alle prime sentenze sulla causa di impugnazione - riferisce Walter Ambrosecchio, licenziato Almaviva, Roma - ci sono una cinquantina di avvocati, alcuni collegati ai sindacati, alcuni privati. Hanno fatto causa circa 1.200 persone. Io sto facendo causa con i Cobas e la prima udienza ci sarà il 26 ottobre”. Le basi per le vertenze riguardano diversi aspetti fra cui le mancate opportunità che si sono date agli operatori di Roma di trasferirsi in altra sede su territorio nazionale, mentre a Milano questa opportunità, pur contestata e ormai sospesa, è stata proposta. “Il giudice - continua Walter- dovrà sentenziare sul fatto che il licenziamento in blocco è o non è stato legittimo. A quel punto si può pensare a un reintegro, anche perché la sede di Roma non è chiusa (ndr, come erroneamente comunicato dall’Azienda a Dicembre 2016), oppure il lavoratore accetta un’indennità”. La beffa che Almaviva perpetra indisturbata dal Mise, ed è la più insolente delle beffe a danno dei 1666 licenziati, è proprio il fatto che l’azienda continua a far lavorare in outbound collaboratori interinali, come ha sempre fatto anche durante la piena attività. Quindi il lavoro c’è e le committenti continuano a fornire lavoro all’azienda. “Mentre noi stavamo con una mano avanti e una di dietro, l’azienda lavorava sulle campagne Istat prendendo lavoro interinale. Per quanto riguarda le sentenze sembrerebbe che ci sia una volontà ad andare contro le cause di lavoro e i lavoratori. Ѐ una forma di ricatto che ci arriva da tutte le parti. O accetti tutto o sei licenziato. Se un giudice bocciasse i licenziamenti Almaviva, provocherebbe un terremoto su tutte le altre cause di lavoro”.
Ecco, a questo punto siamo. Siamo sotto ricatto. Come uscirne sembra impossibile in questo Paese dominato dalle politiche neoliberiste, dalla corruzione dilagante anche nelle aule dei Tribunali. C’è una via di fuga che probabilmente potrebbe liberare tutti i lavoratori dal ricatto dei padroni. Una forma unitaria di protesta a cui ancora molti lavoratori non aderiscono, per paura di perdere anche quella minima possibilità di sostentamento che il sior paron offre. Ѐ necessario, quindi, unirsi nelle lotte e non cedere ad alcuna forma di ricatto. Alcuni lavoratori ne hanno presa coscienza e si sono già uniti al Clu. “Cosa fare ora? -scrive Walter in un comunicato. Anzitutto cambiare il Jobs act, che genera tutto il pantame e farlo da subito e insieme a tutti i lavoratori. E per una volta testare se esistono numeri reali per gridare e vomitare un dissenso davanti ai Palazzi, dicendo ‘eccoci qui, anche senza più chiamarci ex Almaviva, eccoci qui, chiamiamoci persone, individui presi a calci in faccia prima e dopo il licenziamento. Voi siete responsabili di un’infamia indelebile, noi non siamo fantasmi, siamo qui ed esistiamo ancora. La mia speranza è che copierete e incollerete per le strade, nei vostri profili, nei gruppi, questa voce lontana nel deserto”. E prosegue "Ѐ arrivato il momento non più rimandabile che i sindacati di base trovino una piattaforma comune di lotta. Un’ulteriore proroga in tal senso sarebbe gravissima e inaccettabile”.