Venerdì 29 settembre c’è stato a Torino un importante momento di riflessione sulla Cina, sul ruolo che sta svolgendo negli attuali equilibri mondiali e sul socialismo con caratteristiche cinesi.
L’importanza di questa iniziativa non consiste solo nell’alto livello di analisi dei relatori, ma anche dal fatto che fosse organizzato da tre organizzazioni comuniste (l’associazione culturale Interstampa, la rivista “Cumpanis” e il Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”) che hanno lavorato in sinergia per la sua riuscita, dimostrando uno spirito unitario e che auspica un superamento della frammentazione del movimento comunista in Italia, proposito, fra l’altro, “fondativo” del neonato Centro Studi suddetto.
L’introduzione è stata fatta da Gianni Favaro, presidente di Interstampa e aderente al Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”, che ha coordinato i lavori. Favaro ha sottolineato in particolare che l’esperienza del socialismo cinese non va utilizzata come puro modello ma come un messaggio per i popoli che fa rinascere in loro la speranza di un cambiamento dimostrando col suo esempio che è possibile un modello sociale ed economico diverso dal capitalismo.
Il primo relatore è stato Massimiliano Calvo, responsabile esteri di Interstampa e membro del gruppo di lavoro “Questioni internazionali e relazioni internazionali” del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”.
L’intervento di Calvo è partito dalla constatazione che coloro che nel 1989 agitavano la bandiera dell'imperialismo e dichiaravano il nascere del pensiero unico, con i valori del neoliberismo considerati come universali e incontrastabili, sono stati smentiti, e dal sottolineare il ruolo della Cina in ciò. La relazione è proseguita ripercorrendo la storia del movimento comunista cinese, soffermandosi in particolare sulla fase che, dal 1989, ha visto il momento storico più difficile del movimento comunista internazionale, e forse del PCC, e sull’attualità che vede invece la Cina soggetto fondamentale per la costruzione di un nuovo ordine mondiale basato sul futuro condiviso, sulla cooperazione, sul concetto di sicurezza globale fondato su leggi e regole definite e universali, sul rapporto tra pari tra gli Stati e i popoli nell'ambito delle relazioni diplomatiche, commerciali e finanziarie. Calvo ha illustrato in modo approfondito il pensiero del presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping e le sue cinque direttrici principali: il benessere del popolo, la lotta alla corruzione, il socialismo con caratteristiche cinesi, la Nuova Via della Seta e la realizzazione di una società socialista compiuta. Nella consapevolezza che tutti questi progetti, a noi occidentali, possono sembrare la compilazione del libro dei desideri e non un percorso studiato da raggiungere collettivamente e globalmente, Calvo ha rilevato come invece la storia della Cina invece ci insegni altro: ad avere pazienza e imparare a incassare i colpi più duri del nemico, ma anche la perseveranza e la progettazione.
Oggi Cina e Russia formano l’architrave su cui poggia la costruzione del futuro nuovo ordine mondiale, sul quale i paesi del Sud del mondo e quelli in via di sviluppo prendono slancio per rivendicare la loro autonomia dai colonizzatori che li hanno depredati per centinaia di anni. L'America del Sud si sta sollevando, l'Africa si sta liberando, l'Asia segue la Cina nella Nuova Via della Seta. Calvo ha ribadito che anche per l'Europa è giunta l’ora dell’emancipazione dal controllo statunitense, e l'Italia deve riconquistare il ruolo strategico di collegamento tra Europa, Africa e Asia.
Il sistema su cui si basa la società italiana sta per crollare per autodistruzione e i soggetti più deboli saranno travolti. Nel promuovere un’azione ampia che tenga assieme un percorso progressivo e uno rivoluzionario, Calvo ha spiegato come questi due percorsi non siano in contraddizione, e ha inoltre criticato l’approccio elettoralistico che ci condannerebbe al marginalismo e all’irrilevanza.
Nell’ambizioso progetto di cambiamento verso un mondo multipolare, Calvo ha ribadito il ruolo determinante dei comunisti, che hanno la responsabilità di attivare il percorso rivoluzionario e senza i quali qualunque progetto di trasformazione sarebbe perdente. Calvo ha concluso affermando che la Cina sarà il riferimento ideologico del percorso, il pensiero di Xi sarà insieme a Marx e Lenin il punto di riferimento per l'elaborazione della Teoria, e tutti gli attori del Mondo Multipolare, Russia in testa, saranno alleati per il rovesciamento dell'imperialismo USA NATO e delle sovrastrutture finanziarie che li controllano.
La seconda relazione è stata a cura di Ascanio Bernardeschi, redattore de “La Città Futura” e studioso marxista di economia politica, impegnato anche nel Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”.
Bernardeschi ha strutturato il suo intervento come una demolizione, argomentata con dati fattuali, delle dichiarazioni che gli economisti borghesi hanno fatto sulla Cina, mostrando come esse dimostrino il carattere ideologico della scienza economica. Le affermazioni faziose di questi studiosi, rientrano in un quadro in cui il capitalismo è concepito come “naturale” e la scienza, che in realtà è indirizzata dal mercato, viene ritenuta neutra. Nella loro critica al modello cinese essi utilizzano pretestuosamente il concetto di libertà, che però si riduce alla libertà del mercato visto che una libertà vera non può che essere anche libertà dal bisogno, onde per cui non c’è sistema meno garante di libertà di quello occidentale capitalista.
Coloro che non avevano previsto la crisi del 2007, oggi pronosticano una nuova crisi che proverrebbe dalla Cina. Bernardeschi ha dunque preso in considerazione le varie motivazioni addotte per questa presunta crisi che starebbe per travolgere l’economia della Repubblica Popolare Cinese.
Il primo motivo addotto per il declino dell’economia cinese è il rallentamento della sua crescita nell’ultimo periodo: il relatore ha sottolineato come la crescita cinese sia molto più veloce rispetto a quella occidentale, e ha evidenziato il fatto che comunque le cause di questo rallentamento siano esterne e non imputabili a meccanismi interni di quell’economia.
Sono state smontate anche, con l'evidenza di dati, le previsioni fondate sulla diminuzione delle esportazioni e sul calo della quotazione della moneta cinese rispetto al dollaro.
Un’altra presunta causa dell’incipiente crisi cinese messa in ballo sarebbe la bolla immobiliare che è una conseguenza del rapido inurbamento di centinaia di milioni di persone. Il conseguente boom edilizio ha determinato ingenti profitti ma anche aspettative eccessive - e conseguenti speculazioni - di profitti futuri che non si sono realizzati essendo rimaste molte case invendute e determinando così problemi di solvibilità delle maggiori imprese del settore. Tuttavia le caratteristiche dell’economia cinese in fatto di conti con l’estero, di dimensioni relative del settore finanziario, di consistenza infima del mercato dei futures e di assenza di un mercato dei mutui subprime, testimoniano che, come è avvenuto in analoghe vicende del passato - il crollo dell’economia cinese è stato più volte previsto e mai realizzato -, la crisi è facilmente riassorbibile e basterebbe un intervento pari all'1% delle entrate fiscali per salvare le imprese in difficoltà. Ma il governo di quel paese, giustamente, ha deciso diversamente al fine di promuovere maggiore rigore e scoraggiare le speculazioni.
In generale, dalla relazione è emerso come l’elemento decisivo della forza dell’economia cinese sia il controllo pubblico sull’economia stessa, ossia il fatto che le decisioni in campo economico vengono prese per scelte politiche e non lasciate all’arbitrio dei mercati. Proprio questa “mancanza di libertà” – così intesa dai sacerdoti del libero mercato –, il fatto che la politica comanda l'economia, è stato il presupposto per la crescita e la redistribuzione della ricchezza, in un socialismo in fase di costruzione.
In sostanza, il pronostico del declino cinese e la demonizzazione faziosa del suo modello di società non sono altro che capii espiatori a cui si ricorre per giustificare altre crisi in arrivo e per non ammettere la profonda, strutturale malattia del capitalismo, dovuta alle sue contraddizioni insanabili.
Bernardeschi ha concluso con una considerazione sulle prospettive del socialismo cinese. Se è stato provvidenziale il ricorso a un compromesso con il capitale, a una sorta di NEP per far uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone, il partito comunista cinese dovrà essere vigile perché il crescente peso economico del capitalismo in Cina non si traduca in crescente peso politico e perché sia possibile, al momento opportuno, invertire questa tendenza e andare verso un’economia consapevolmente diretta. Tanto più che la “mano invisibile” del mercato sta dimostrando oggi i suoi gravi limiti.
Il terzo relatore è stato Gianbattista Cadoppi, direttore di “Cina: la crescita felice” e tra i più importanti studiosi italiani di questioni cinesi e del “socialismo con caratteristiche cinesi”, anche lui aderente al Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”. Proprio il pensiero di Losurdo è stato il filo conduttore delle argomentazioni esposte da Cadoppi, e in particolare la sua tesi della costruzione del socialismo come processo di apprendimento.
Le rivoluzioni guidate da partiti comunisti hanno dovuto, in genere, misurarsi con paesi con una presenza debole della classe operaia industriale e della stessa borghesia, con un’economia arretrata, con rapporti di produzione spesso feudali agendo in una situazione di isolamento e di accerchiamento e in uno stato d’eccezione. Il processo di apprendimento dei comunisti cinesi è stato significativamente più efficace di quello dei comunisti sovietici. Per questo Losurdo si è impegnato in prima persona per diffondere in Italia e in Occidente la conoscenza della realtà cinese contemporanea e del socialismo con caratteristiche cinesi; una pratica che ha fatto i conti con l’intera esperienza dell’edificazione del socialismo in Unione Sovietica e nelle democrazie popolari, che i cinesi hanno studiato approfonditamente.
Questo tipo di socialismo tiene conto delle caratteristiche specifiche, nazionali, della sua applicazione; l’elemento nazionale è infatti rilevante nel processo di apprendimento.
La lotta di liberazione nazionale è stata la vera cifra del movimento comunista e rivoluzionario internazionale del XX secolo e la questione nazionale è l’espressione dell’universale concreto internazionalismo. La stessa Rivoluzione d’Ottobre è diventata immediatamente una lotta di liberazione nazionale dopo l’invasione da parte di numerosi paesi (tra cui l’Italia) a sostegno dei controrivoluzionari “bianchi”.
Il cosiddetto “marxismo occidentale” nega la centralità della questione nazionale, ma i partiti comunisti che agiscono in Occidente diventano effettivamente partiti di massa nella lotta di liberazione nazionale.
Losurdo afferma che mentre nella sinistra radicale in Occidente è più popolare parlare di estinzione dello Stato, in Oriente ci si batte per rafforzare lo Stato, cosa che permette alla Cina di resistere alla pressione dell’imperialismo. Anche qui è presente il processo di apprendimento. Se in Occidente si tende a vedere nella futura società l’antitesi radicale, l’opposto della società capitalista, in Oriente, già in Mao e soprattutto in Deng Xiaoping, si tende a vedere la società socialista come il superamento del capitalismo che non può prescindere marxianamente dallo sviluppo delle forze produttive. In questo contesto il capitalismo non va annientato ma bensì marxianamente superato. Solo un sistema che superi il capitalismo nella creazione di ricchezza può essere appoggiato dalle masse popolari. Altrimenti, a ragione, lo rifiuteranno.
Lo sviluppo economico ha permesso, ricorda sempre Losurdo, di togliere dalla povertà assoluta quasi 900 milioni di individui facendo del governo cinese il più popolare del mondo presso il proprio popolo, non secondo l’opinione dei dirigenti cinesi, ma secondo la Pew Research americana che sonda periodicamente la governance nei vari paesi.
Il faticoso processo di apprendimento della Cina che oggi mette in discussione l’egemonia americana, ha fatto passare il paese attraverso tutte le fasi sperimentate negli altri paesi socialisti: dalla Nuova Democrazia ovvero Democrazia popolare a quella sorta di Comunismo di guerra che fu la Rivoluzione Culturale, alla gigantesca NEP chiamata da Deng Xiaoping “Politica di Riforma ed Apertura” fino al “socialismo di mercato” già sperimentato nei paesi dell’Est. L’attuale approdo dei comunisti cinesi che tiene le aziende strategiche sotto il controllo dello stato è più abbordabile del socialismo di tipo sovietico anche per quei comunisti che si trovano nell’Occidente capitalista. L’economia di mercato socialista evita l’instabilità macro-economica del capitalismo, mentre sfrutta l’efficienza micro-economica del mercato. Mercato che nella sinistra occidentale, anche per la commistione tra marxismo e controcultura anglosassone dopo il Sessantotto, suscita una condanna senza appello, per altro mai pronunciata dai classici del marxismo.
I cinesi nella revisione critica delle esperienze sulla costruzione del socialismo in URSS e nelle democrazie popolari, non hanno demonizzato né Stalin né Mao, bensì hanno rivisto in modo critico tali esperienze non per ricominciare da capo, ma per andare avanti.
Il marxismo, proprio perché vuole essere una teoria scientifica, deve evolversi e modificarsi a contatto con la realtà concreta.
I comunisti cinesi hanno praticato a più riprese la “liberazione del pensiero” il che implica l’emancipazione da tutti i tabù dogmatici che si sono incrostati nel marxismo. Questo è avvenuto in base alla massima di Mao secondo cui la prassi è il criterio della verità.
Il modo di pensare della sinistra occidentale ha impedito uno studio concreto di ciò che si stava verificando nei paesi capitalisti e delle sfide che ciò comporta per il socialismo, mentre nel “Manifesto” Marx e Engels sottolineavano come la borghesia non potesse vivere senza rivoluzionare di continuo i mezzi di produzione e con essi tutta la società. Il capitalismo ha dimostrato di potere superare le crisi ricorrenti ristrutturandosi e di sapere ancora creare ricchezza.
Brics, Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, la Via della seta (Belt & Road Initiative) stanno cambiando il mondo indirizzandolo verso la fine dell’unilateralismo americano, rafforzando i paesi che resistono all’imperialismo occidentale e che reggono ai vari embarghi proprio grazie al dinamismo economico e commerciale della Cina.
L’emersione della Cina dalla povertà, le politiche win-win nei confronti dei paesi africani e del terzo mondo hanno scatenato una gigantesca lotta di classe in cui le potenze dominanti e in particolare gli Stati Uniti cercano di ricacciare indietro i paesi emergenti. Oggi questo è l’aspetto principale che assume la lotta di classe a livello internazionale. lotta all’unipolarismo per un mondo multipolare.
Il marxismo cinese per Losurdo è marxismo vivente e non il marxismo morto e sepolto degli accademici, degli scolastici e dei dottrinari.
Rimane da costruire il socialismo con caratteristiche italiane, ma anche qui si tratta di creare un vasto fronte che rivendichi l’autonomia strategica dell’Italia nella lotta per il multipolarismo, con un ampliamento delle alleanze sociali costruendo così il partito della nazione, ossia il partito del 99% degli italiani come si riprometteva di fare il Partito Comunista Italiano all’indomani della fine della guerra.
Il convegno è terminato con la relazione conclusiva di Fosco Giannini, direttore della rivista “Cumpanis” e segretario del Centro Studi Nazionale “Domenico Losurdo”. Giannini ha sottolineato il contributo cinese al crearsi dell’odierno quadro internazionale, che è sfavorevole all’imperialismo, e l’orizzonte di nuovo equilibrio mondiale che apre. La relazione ha preso in considerazione le varie fasi storiche che hanno portato alla situazione attuale. La prima fase è stata l’autoscioglimento dell’URSS, in seguito alla quale si sono liberati gli spiriti animali del capitalismo e il politologo Fukuyama ha profetizzato la “fine della storia”: con la fine della Guerra Fredda e del bipolarismo la “democrazia” capitalista occidentale sarebbe stata l’ultimo sistema economico-sociale dell’umanità. La smentita di tale risibile profezia è avvenuta quasi subito, col crearsi di una fase di ripresa forte del fronte antimperialista, attraverso il processo che ha portato alla costituzione dei BRICS, alla creazione della Nuova Banca di Sviluppo e dunque al progressivo contrasto al signoraggio del dollaro. La terza fase, che stiamo vivendo, è la reazione rabbiosa dell’imperialismo in declino, che cerca di imporre con la violenza ciò che non è più in grado di imporre con l’economia. Qui si collocano le guerre di “esportazione della democrazia” a partire dagli anni Novanta, i colpi di Stato attraverso le varie rivoluzioni colorate, compreso quello cruciale del 2014 dell’Euromaidan, con crimini annessi, fino ad arrivare al vertice del G7 in Cornovaglia del 2021 e il quasi contemporaneo summit della NATO, nei quali è stata decisa la strategia di aggressione alla Cina e ai paesi non allineati, ossia è stata pianificata la guerra alla Cina attraverso la crisi ucraina e le provocazioni alla Russia. La Cina, ha affermato Giannini, è il cardine di questa mancata fine della storia; è stato il suo titanico sviluppo economico che ha rappresentato il perno su cui si è potuto innestare il movimento antimperialista mondiale.
Nell’analizzare le motivazioni storiche e politiche della crescita economica cinese, Giannini ha ricordato la concezione antipositivista di Lenin, rispetto a ciò che usciva dalla Seconda Internazionale, e il fatto che l’Ottobre dimostrò che la rivoluzione è possibile anche nell’anello debole, in paesi non sviluppati. La NEP aveva la funzione di supplire, in un paese appunto non sviluppato, alla mancanza di una ricchezza accumulata da cui partire, e in questo contesto va collocata anche la concezione dell’“uklad”, una struttura di produzione economica socialista in grado di svilupparsi proprio in virtù della competizione con le strutture neocapitalistiche interne al socialismo, e il controllo dalle “alture strategiche” del mercato attraverso il quale la lotta di classe era guidata dal partito. Questa impostazione di Lenin si è dimostrata preveggente rispetto alla stagnazione sovietica che ci sarebbe stata in epoca brezneviana. La Cina ha recuperato questo modello leninista, mettendo in campo la competizione Stato-mercato del socialismo con caratteristiche cinesi, con i proficui risultati che vediamo. La centralità della lotta di classe di cui il partito comunista cinese è avanguardia ha permesso una guida salda dell’economia nell’orizzonte della costruzione della società socialista.
Giannini ha denunciato gli effetti deleteri del cosiddetto Eurocomunismo, una struttura ideologica che ha determinato l’uscita dal leninismo e dal movimento comunista internazionale e la premessa per l’entrata nella socialdemocrazia.
A conclusione dell’intervento vi è stata la presa d’atto che il contesto internazionale è fortemente favorevole al processo di trasformazione sociale e anticapitalista, ma a questo contesto oggettivo favorevole non si affianca, in Italia, un soggetto comunista che abbia la forza di condurre una lotta rivoluzionaria, e di cui c’è invece bisogno. Il nostro impegno deve essere di ricostruzione di questa condizione soggettiva.