Potere al Popolo deve proseguire il suo percorso di costruzione di una soggettività politica che sia in grado di rappresentare adeguatamente gli interessi dei lavoratori salariati e in generale delle classi subalterne nell’attuale fase storica e di proporsi quale organizzazione del proletariato che lotta contro l’irrazionale sistema capitalistico la cui crisi si approfondisce sempre di più. Questo percorso va in controtendenza rispetto alla tendenza alle divisioni delle forze anticapitaliste e antimperialiste in questi ultimi anni e dobbiamo, dunque, fare di tutto per consentirgli di svilupparsi specie nell’attuale fase di stallo che ci vede coinvolti nel dibattito sulle regole statutarie.
Il Coordinamento nazionale provvisorio è l’organo che riunisce i nuclei dirigenti delle organizzazioni che hanno contribuito a dare vita a Potere al popolo e, dopo l’assemblea di Napoli del 27 maggio, i rappresentanti di alcune assemblee territoriali. Il Coordinamento, che sino a ora ha svolto la funzione di nucleo dirigente del movimento, era tenuto a licenziare una bozza di documento politico e una bozza di statuto sui quali chiamare a esprimersi la base militante. Visto che però stiamo facendo “tutto al contrario”, il Coordinamento si è spaccato ed ha partorito due documenti statutari che verranno posti a votazione senza aver licenziato alcun documento politico e senza aver definito regole certe per presentare documenti alternativi ed emendamenti.
Una critica
In considerazione del fatto che lo statuto regola il funzionamento di un’organizzazione ad esso si perviene, solitamente, dopo aver affrontato preliminarmente la discussione politica e aver definito l’orizzonte strategico e le relative necessità tattiche, a partire da un programma minimo, dell’organizzazione stessa. Visto che però stiamo facendo “tutto al contrario”, cioè stiamo anticipando la discussione sulle regole rispetto alla definizione del programma politico (il manifesto fondativo non basta), le differenze politiche emergono in maniera sfumata e distorta, portando la discussione sullo statuto a travalicare i limiti che gli sono propri senza alcun beneficio. Stando purtroppo così le cose, diviene dunque ancora più necessario inserire nello statuto dei riferimenti che inquadrino con precisione lo scopo politico che si prefigge l’organizzazione e i meccanismi del suo funzionamento.
In entrambi gli statuti proposti dal Coordinamento, infatti, non è indicata con la dovuta chiarezza la centralità, né dal punto di vista teorico né da quello organizzativo, della lotta di classe tra il capitale e la forza-lavoro e di conseguenza il soggetto rivoluzionario, ossia i lavoratori salariati, il proletariato moderno (chi materialmente ogni giorno presta la sua opera a fronte di una retribuzione appena sufficiente a mantenere in vita se stesso e i suoi cari), appare in posizione defilata (mentre è del tutto assente qualsiasi riferimento alla classe operaia), annegato in un’inconsapevole attitudine interclassista che finisce di fatto per precludere la possibilità di sfruttare le potenzialità stesse offerte dalla fase storica (l’enorme spazio apertosi a sinistra dopo la sostanziale eutanasia tanto della sinistra socialdemocratica, quanto della sinistra anticapitalista). Quel che ci serve, invece, è un soggetto politico unitario (che dunque abbia bisogno di uno statuto e di un programma politico) in modo da superare definitivamente l’attuale e antidemocratico assetto da intergruppi che abbia di mira lo sviluppo della coscienza di classe e l’organizzazione sul piano del conflitto sociale e politico del proletariato e, più in generale le classi subalterne, senza inutili eclettismi.
Nella discussione sugli statuti stanno purtroppo emergendo in questo momento i limiti del percorso di PaP , limiti legati essenzialmente alla sua subordinazione a un coordinamento intergruppi che tende a riprodurre costantemente una polarizzazione e una rivalità tra organizzazioni che non aiuta certo allo sviluppo di un soggetto politico unitario e che non consente alle assemblee di potersi esprimere se non attraverso la mera ratifica di quanto deciso dall’alto. Infatti l’intergruppi – in assenza di un collante superiore, come ad esempio quello elettoralistico, non essendo in grado di risolvere le proprie contraddizioni, finisce per scaricarle sulla base nel modo più sbagliato possibile, ossia costringendola alla conta, aprendo di fatti una ferita profonda nel corpo militante. Tale limite è una delle tante facce negative dell’intergruppi che noi da sempre denunciamo e, per questo, sosteniamo che Potere al Popolo deve essere un soggetto politico unitario e non un coordinamento di forze politiche in perpetua lotta fra loro per l’egemonia e per rafforzare il proprio “particolare”.
La discussione sullo statuto denuncia il pericolo dell’affermarsi di una visione elitaria\gruppettara che si fonda sulla nefasta pratica dell’assemblearismo secondo la quale una ristretta élite, per altro al momento selezionata con criteri tutt’altro che trasparenti, ritiene che sia possibile sintetizzare in sé tutto il dibattito interno chiamando il corpo militante ad esprimersi – secondo una visione inconsapevolmente plebiscitaria – su un’asfittica opzione con me o contro di me. Imbrigliando la discussione politica all’interno dell’élite si corre inconsapevolmente il rischio di assumere la posizione minoritaria tipica delle sette, le quali non sono in grado di dare sfogo a tutto il potenziale di lotta dei ceti popolari in quanto non sono capaci di inserire questi ultimi nel dibattito sulle loro problematiche e sulla loro organizzazione.
La pratica dell’assemblearismo non consente di aprirsi e di accogliere nuovi compagni portandoli a dibattere sul piano dei problemi dell’organizzazione e della lotta, al contrario finisce per essere nei fatti preda del minoritarismo. La ricchezza del contributo che può venire dai ceti popolari rischia di essere castrata da un dibattito sclerotizzato tra gruppi. In questo modo invece di puntare a coprire, su posizioni radicali, il vasto campo lasciato libero a sinistra dagli ex partiti socialdemocratici e della sinistra radicale si finirà per raggiungere al massimo l’obiettivo, nei fatti necessariamente minoritario, di ricomporre quanto resta di alcune delle principali organizzazioni anticapitaliste con alcune delle esperienze più avanzate dei centri sociali.
Che fare?
È necessario un soggetto politico che pur costruito in parte con la presenza di compagni iscritti a dei partiti, consenta di abbandonare definitivamente la logica minoritaria e tendenzialmente rissosa dell’intergruppi e che ambisca a divenire l’avanguardia, capace di mobilitare nel conflitto sociale il soggetto potenzialmente rivoluzionario dei nostri tempi, ossia il proletariato moderno. Tale soggetto politico dovrà mirare a far risorgere la coscienza di classe e la necessità di una organizzazione autonoma del blocco sociale della classe operaia e di tutti i ceti sociali subalterni, in grado di riportare all’ordine del giorno la questione della lotta all’imperialismo e della necessaria transizione al socialismo.
Essendo che ha di mira principalmente la ricomposizione e l’organizzazione del proletariato moderno in funzione del rilancio del conflitto sociale dal basso, l’organizzazione del nuovo soggetto politico che si mira a costituire non può che modellarsi sulla base di questo alto fine. Un’organizzazione radicata in primis nei luoghi in cui si svolge la lotta fra capitale e forza-lavoro e più in generale all’interno dei diversi settori impegnati ad alimentare e rilanciare il conflitto sociale dal basso. Solo in tal modo il nuovo soggetto politico potrà acquisire progressivamente credibilità come avanguardia degli sfruttati e dei subalterni. Perciò a canto delle case del popolo nei quartieri proletari, che dovrebbero operare per rilanciare il movimento dei consigli di zona, non possono certo mancare forme di organizzazione sui luoghi di lavoro e del conflitto sociale, da cui sarà possibile selezionare nel modo migliore il gruppo dirigente.
Il soggetto politico che dobbiamo mirare a costruire, non può certo fondarsi sul principio liberaldemocratico della delega a professionisti della politica, ma deve sperimentare la democrazia diretta e consiliare. A tale scopo è essenziale mettere ogni iscritto nelle condizioni di poter divenire parte attiva dell’intellettuale collettivo che s’intende costruire quale avanguardia riconosciuta del movimento di emancipazione degli oppressi, in primis dal lavoro salariato. Per assicurare la partecipazione, fondamento di una reale democrazia, è necessario prevedere che le necessarie funzioni esecutive siano ricoperte, per quanto possibile a rotazione e siano necessariamente in ogni momento revocabili. È inoltre indispensabile per evitare ogni forma di plebiscitarismo l’elezione sempre secondo il principio della revocabilità e, per quanto possibile della rotazione, funzioni intermedie in grado di implementare la corretta dialettica tra la base delle assemblee e i portavoce nazionali. A differenza dell’assemblearismo che, a dispetto delle apparenze, può garantire solo la partecipazione attiva di pochi militanti alla vita democratica, un corretto meccanismo di divisione del lavoro e di elezione a rotazione dei rappresentanti dei diversi ambiti del conflitto sociale assicura la più vasta ed estesa possibilità di partecipazione.
Conclusione
Riteniamo dunque che sia necessario un saggio passo indietro, per poterne fare due in avanti, da parte del Coordinamento nazionale provvisorio. I compagni che lo compongono dovrebbero affrettarsi a raccogliere velocemente le tante proposte di documenti alternativi ed emendamenti provenienti dai militanti e dalle assemblee territoriali per comporle in una bozza di programma politico che miri a sintetizzare per quanto possibile le diverse sensibilità presenti in Potere al popolo, e dove ciò non fosse possibile delle tesi contrapposte su singole questioni. Sulla cui base sarebbe poi possibile elaborare con lo stesso sistema un’unica bozza di statuto su cui aprire il dibattito nelle assemblee di potere al popolo, garantendo la possibilità di poter presentare emendamenti dal basso per poter così giungere a documenti di sintesi politici e organizzativi per quanto possibili unitari, sulla base del centralismo democratico, da non confondersi con la sua brutta copia: il centralismo burocratico.