È in mostra la Méhari di Siani

La Méhari del giornalista del Mattino di Napoli ucciso nel 1985 dalla Camorra è in mostra in Villa Bruno a San Giorgio a Cremano. La dichiarazione del Sindaco e la lettera aperta al Direttore del Mattino della Fondazione Giancarlo Siani.


È in mostra la Méhari di Siani Credits: Ciro Connola, il momento dell’inaugurazione della mostra

Era la sera di lunedì 23 settembre del 1985 quando Giancarlo Siani fu ucciso. Era un giornalista del giornale Il Mattino ed era nato a Napoli il 19 settembre del 1959. L’esecuzione avvenne verso le ore 21:40 e fu ordinata dal boss Angelo Nuvoletta per volontà del mafioso Totò Riina quasi sotto casa sua, in via Vincenzo Romaniello, a pochi passi da piazza Leonardo, nel noto quartiere dell'Arenella a Napoli. Morì quasi  subito mentre era ancora a bordo della sua Citroën Méhari verde mentre stava parcheggiando, gli assassini a volto scoperto gli spararono 10 colpi alla testa con due pistole Beretta calibro 7,65

Il motivo dell'assassinio fu quasi subito evidente: Siani aveva scritto un articolo, che aveva pubblicato sul giornale Il Mattino il 10 giugno 1985, in cui informava i lettori che l'arresto del boss Valentino Gionta era stato possibile grazie a una soffiata degli storici alleati Nuvoletta, che tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi. La notizia dell’omicidio il giorno dopo era in prima pagina, l’Unità la pubblicò il  mercoledì con gli articoli di tre giornalisti: Vito Faenza, Luigi Vicinanza e Antonio Zollo [1]. La città di Napoli, che aveva assistito anche ad altri omicidi, comprese quasi subito quali erano le motivazioni, ma la giustizia fece il suo corso nel tempo e negli anni Novanta si conclusero i processi. Sarebbero stati i pentiti, Salvatore Migliorino, affiliato ai Gionta, e Ferdinando Cataldo, coinvolto nell'omicidio, a fornire una serie di elementi che porteranno fino ai Nuvoletta [2]. 

Il 15 aprile 1997 la seconda sezione della corte d'assise di Napoli condannò all'ergastolo i mandanti dell'omicidio (i fratelli Lorenzo Nuovoletta, che scanserà la condanna perché morirà prima della sentenza, Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante) ed i suoi esecutori materiali (Ciro Cappuccio e Armando Del Core). In quella stessa condanna appare, come mandante, anche il boss Valentino Gionta. La sentenza è stata confermata dalla Corte di Cassazione, che però dispose per Valentino Gionta il rinvio ad altra Corte di assise di appello. Un secondo processo di appello, il 29 settembre 2003, l'ha di nuovo condannato all'ergastolo, mentre il giudizio definitivo della Cassazione lo ha scagionato per non aver commesso il fatto.  

Siani ha composto circa 651 tra articoli e inchieste con la sua macchina da scrivere, una Olivetti M80. Era molto impegnato nel seguire le notizie di cronaca della città di Napoli, nell’area della provincia e a Torre Annunziata, si era occupato principalmente di cronaca nera e, quindi, di camorra, studiando e analizzando i rapporti e le gerarchie delle famiglie camorristiche che controllavano il territorio. Fu in questo periodo che collaborò con l'Osservatorio sulla Camorra, un periodico diretto dal sociologo Amato Lamberti. Per il giornale Il Mattino faceva riferimento alla redazione distaccata di Castellammare di Stabia e pur lavorando come corrispondente frequentava la redazione. Il suo sogno era di strappare il contratto da praticante giornalista per poi poter sostenere l'esame e diventare giornalista professionista, un titolo che gli verrà riconosciuto ad honorem nel giorno del 35º anniversario dall'uccisione da parte dell'Ordine dei giornalisti, che ha consegnato il tesserino ai suoi familiari durante una cerimonia a Napoli.

Siani, lavorando per Il Mattino, aveva approfondito il mondo variegato della camorra, soprattutto dei boss locali e degli intrecci tra politica e criminalità organizzata. Aveva scoperto una serie di connivenze che si erano stabilmente create tra esponenti politici e i boss locali dopo il terremoto del 23 novembre del 1980, che era stato devastante soprattutto in Irpinia con una magnitudo di 6,9 (scala Mercalli) con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania, aveva causato circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti. Relativamente al terremoto, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che si era recato quasi subito sui luoghi del sisma, tuonò contro chi avrebbe dovuto occuparsi di quella immane tragedia con un famoso discorso quando si rese conto della lentezza inammissibile dei soccorsi, tanto che il dolore di tutta l’Italia che lui rappresentava si tramutò in rabbia.

A Napoli e in Campania gli anni successivi furono terribili, la malavita organizzata gestiva non solo diversi comparti dell’economia locale ma anche gli appalti della ricostruzione. In questo contesto Valentino Gionta che da pescivendolo ambulante aveva costruito un business illegale, era partito dal contrabbando di sigarette ma poi si era dedicato al traffico della droga, controllando l'intero mercato nell'area di Torre Annunziata e Castellammare di Stabia. Può sembrare ordinario seguire questi processi socio-malavitosi da giornalista ma in quella fase, e come era all’epoca più o meno in Italia per tanti giornalisti, Siani era praticamente solo. Successivamente venne trasferito dalla redazione di Castellammare di Stabia a quella centrale che allora stava in via Chiatamone, al centro di Napoli. I flussi delle notizie in tempo reale, a livello di cronaca nera, certo non gli mancavano ed aveva acquistato una grande capacità a comprendere e ad analizzare in tempo reale i contesti politici-malavitosi in corso legati alle attività dei vari boss. Certo faceva il suo lavoro sopratutto da cronista ma aveva ben compreso che in una città come Napoli non bastava soltanto analizzare i fenomeni in corso che si presentavano nelle notizie di cronaca. Così quando comprese bene come erano andate le cose per l'arresto del boss Valentino Gionta e cioè che era stato possibile grazie ad una soffiata degli storici alleati Nuvoletta, che tradirono Gionta in cambio di una tregua con i nemici casalesi, scrisse il famoso articolo che fu pubblicato dal giornale Il Mattino il 10 giugno del 1985

Tra ottobre e dicembre del 2013 la Méhari di Siani ha compiuto un tour da Napoli a Bruxelles con incontri a Roma per ricordare l’omicidio di questo giornalista e anche di tanti altri giornalisti uccisi dalle mafie. È stata un’iniziativa che ha fatto conoscere una storia triste; tuttavia l’attenzione, non solo mediatica, da allora continua ancora con eventi culturali. I giovani seguono le manifestazioni collegate e analizzano i risvolti dell’omicidio di Siani. Questo è stato un modo per lottare contro la camorra e le mafie. Oggi i risultati si vedono concretamente perché, oltre alla mostra della Méhari a San Giorgio a Cremano, per iniziativa del consigliere comunale Catello Maresca nella seduta del 10 ottobre 2024 del Consiglio comunale straordinario di Napoli è stata votata una delibera che ha istituito  la “Giornata contro l'influenza della camorra nella città di Napoli”. L’obiettivo della delibera è quello di sensibilizzare la cittadinanza e in particolare i giovani sui rischi e sulle conseguenze del coinvolgimento nelle attività legate alla criminalità organizzata e con ogni forma di violenza. Da quest’anno, e per i prossimi anni, l’11 ottobre, la città di Napoli ricorderà che c’è stato - e speriamo che declini verso zero - un problema enorme che si è chiamato, e si chiama ancora, camorra, che va combattuto ora e sempre. 

Il 23 settembre di quest’anno la Méhari di Siani è stata messa in mostra all’interno di Villa Bruno a San Giorgio a Cremano, un paese a soli 8 chilometri da Napoli, nella “Sala della Mehari di Giancarlo Siani” che è una Sala dedicata alla “Memoria”. La Méhari era l’auto di Giancarlo, Verde, scoperta e senza sportelli e tetto e purtroppo senza protezioni; oggi rappresenta un importante patrimonio collettivo ed è fortemente simbolica. Per questo è stata posizionata all'interno di Villa Bruno, che è un luogo molto frequentato dai giovani in quanto è un polo attrattivo per le attività culturali che si svolgono in paese. A Villa Bruno la presenza degli studenti è quotidiana. Essi con la loro presenza costituiscono un ambiente culturale di rottura e quindi di svolta rispetto alle fasi del passato. Ricordiamo inoltre che questo piccolo paese è anche noto per aver dato i natali a Massimo Troisi e ad Alighiero Noschese ed è stato il luogo di residenza di Luca Giordano; per questo ha sempre avuto il ruolo di attrazione culturale ma oggi questo ruolo è stato rilanciato e amplificato. Il Sindaco di San Giorgio a Cremano, Giorgio Zinno, ha dichiarato: “Con l’arrivo dell’auto su cui il giovane giornalista è stato brutalmente ucciso il 23 settembre 1985 si rafforza l’impegno della nostra comunità a favore dell'impegno civile, della libertà di stampa e della legalità”. 

Quest’auto ha portato Siani per le strade della città di Napoli e di Torre Annunziata per raccogliere notizie per i suoi articoli e proprio questa auto, ritrovata poco prima dell’inizio delle riprese del film a lui dedicato dal titolo “Fortapàsc” di Marco Risi, da quel tragico 23 settembre del 1985 ad oggi ha una sua storia. Oggi quest’auto è in mostra in Villa Bruno. La Méhari è stata costruita dalla Citroën nel 1968 ed è rimasta in produzione per quasi vent'anni, fino al 1987, di questo originale modello della Casa del “Double Chevron” sono stati costruiti nel complesso all'incirca 150.000 esemplari, oggi molto ambiti dai collezionisti d’auto d'epoca.

La “Fondazione Giancarlo Siani”, che è nata nell’agosto del 2019 grazie ai familiari, raccoglie l’eredità dell’Associazione Siani, fondata nel 1986, che era nata per tenere vivo il suo ricordo e anche per ricordare tutte le vittime innocenti della criminalità organizzata. La Fondazione è impegnata per la tutela della libertà di stampa dei giornalisti minacciati dalle mafie e realizza progetti dedicati all’infanzia soprattutto in contesti di disagio e marginalità; tra le tante attività e progetti ogni anno organizza il “Premio Siani”, che è molto seguito a Napoli. In una lettera aperta della Fondazione, pubblicata dal giornale Il Mattino, firmata da Gianmario, Ludovica e Paolo Siani è stato richiesto al Direttore del giornale Il Mattino, Roberto Napoletano, di ripubblicare gli articoli di Siani. Ecco un brano della lettera: “Sarebbe bello se il Mattino nell'approssimarsi dei 40 anni dalla sua morte proponesse ai suoi lettori gli articoli più significativi tra gli oltre 600 scritti da Giancarlo. Sarebbe una grande emozione rivedere la sua firma sul giornale "Il Mattino".

La lettera aperta al Mattino della Fondazione Siani è stata un’ottima iniziativa e se Il Mattino accoglierà questa richiesta sarà davvero una svolta culturale e anche politica non solo per la città di Napoli perché la memoria collettiva si caricherà di più con gli articoli di Siani. La ripubblicazione degli articoli, che Siani ha scritto prima della sua morte, potrebbero ritmare una sequela di eventi culturali per l’Italia e soprattutto interessare le giovani generazioni, in quanto la memoria per essere sempre attiva deve essere continuamente alimentata e soprattutto analizzata e rianalizzata con i nuovi strumenti di indagine storica, che sono molto raffinati, compresa la critica testuale degli articoli e la lettura filologica degli stessi grazie anche alle innovazioni tecnologiche oggi disponibili. Sia chiaro, le denunce di Siani, giovane giornalista, lo condussero a essere regolarizzato nella posizione di corrispondente dal Mattino nell'arco di un anno in quanto era molto impegnato nel suo lavoro e approfondiva continuamente i flussi delle notizie. Le sue inchieste scavavano sempre più in profondità nel contesto malavitoso di quella fase, tanto da arrivare a delineare come i boss mafiosi facevano affari. Vi è anche un’altra ragione che riguarda la storia di quegli anni post terremoto 1980; al riguardo si tenga conto che l’ambiente napoletano, dopo il sisma del 1980, ha visto i clan della Camorra gestire molti comparti dell’economia urbana. Quando Siani fu ucciso si era ancora nella fase post terremoto del 23 novembre del 1980 e la ricostruzione era in corso. I vari clan della Camorra cercavano in tutti i modi di accaparrarsi gli appalti minacciando chi era rappresentante delle istituzioni e organizzando manifestazioni violente strumentalizzando disoccupati e senzatetto.

Note:

[1] L'unità, 25 settembre 1985, prima pagina e pagina 22

[2] Bruno De Stefano, L'omicidio del giornalista, in “I boss che hanno cambiato la storia della malavita”, 1ª ed., Roma, Newton & Compton, 2018, p.363.

Per la foto della mostra della  Mehari, in Villa Bruno a San Giorgio a Cremano, si ringrazia il compagno Ciro Connola.

17/10/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: Ciro Connola, il momento dell’inaugurazione della mostra

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Felice di Maro

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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