Segni di Jazz

Un appuntamento che richiamerà appassionati dalla Svizzera e dal Nord Italia.


Segni di Jazz

CHIASSO (Svizzera). È la ventiduesima edizione di un evento che per tre giorni rende la città svizzera di confine con l’Italia una capitale della cultura e della musica jazz. Sotto il segno della scena musicale afroamericana il Cinema Teatro di Chiasso, a meno di 50 chilometri da Milano, programma il Festival che attrae un pubblico di appassionati da tutta la Svizzera – dove il jazz è tanto amato e numerosi sono gli appuntamenti che ogni anno raccolgono migliaia di persone – e dal Nord Italia. Mi dice Armando Calvia direttore del Cinema Teatro di Chiasso che il Festival “dentro il suo articolato e originale programma, sia gli appassionati sia i neofiti potranno trovare spunti per emozionarsi e vivere momenti musicali di assoluto valore”.

Il jazz è di casa nel cartellone del cinema teatro di Chiasso, la programmazione dell’edizione 2019 del festival si accorda con la programmazione musicale generale. Aggiunge Laila Meroni Petrantoni responsabile dell’ufficio stampa Svizzera e Insubria che viene offerta “a un vasto pubblico l’opportunità di partecipare a concerti storici come quelli svoltisi negli ultimi anni”. Festival di altissimo profilo questo “Segni di Jazz”. Mi ricorda Calvia che “Jazz is an art, not a subjective phenomenon” come definisce il genere Stanley Crouch, critico culturale e romanziere afroamericano tra i più eminenti e ascoltati.

Sì, è sufficiente anche una modesta passione musicale per considerare il jazz una vera e grande arte. Arrivato in America trecento anni prima in catene il jazz ha acquisito un’universalità e testimonia una libertà che mai prima il mondo intero aveva conosciuto. Ricordiamo Charlie Mingus, l’uomo che si riteneva mezzo nero e non abbastanza bianco per vivere un’esistenza libera in una società che lo acclamava e incitava come artista.

Armando, puoi dirmi su quali basi nasce la ventiduesima edizione del Festival che si terrà il 14, 15 e 16 marzo a Chiasso? “Grandi compositori ed interpreti che, con il loro talento e il ruolo di uomini coscienti di stare nel tempo nel quale vivono, sono riusciti a creare dalle macerie di una società settaria e crudele, un magnifico dono offerto a tutta l’umanità”. Segni di jazz testimonia anche come l’ammirazione per il genere musicale abbia toccato il cuore di numerosi esponenti della cultura internazionale. Il grande grafico svizzero Max Huber, ricordiamolo straordinario “improvvisatore” e visionario, è un “rapito” dalla passione per il jazz.

Quest’anno il festival, nel percorso delle passate edizioni, prosegue nel rinnovamento e, con orgoglio, presenta straordinari interpreti: tre serate imperdibili per il pubblico, per indimenticabili e uniche emozioni musicali. C’è in cartellone Fred Hersch, nato a Cincinnati (Ohio) nel 1955: tra i musicisti più significativi della generazione cresciuta tra la fine degli anni 70 e l’inizio dell’ 80, quando la musica jazz ebbe un forte rinnovamento mentre si apriva una riflessione e una sintesi sull’intera storia del jazz. Allievo del pianista Jaki Byard, Hersch nel 1977 si trasferì a New York e lì cominciò a esibirsi nei club e a registrare le prime sessions. Accompagna il trombettista Art Farmer e il sassofonista Billy Harper, oltre a Stan Getz, Joe Henderson, Eddie Daniels, Toots Thielemans. Incide il primo disco con Marc Johnson e Joey Baron in trio, poi sarà partner di Charlie Haden, Michael Formanek, Jeff Hirshfield, Drew Gress e Nasheet Waits. Fred si dedica dagli anni 90 al ‘piano solo’ e concentra la sua attenzione su autori come Thelonious Monk, Billy Strayhorn e Richard Rodgers. Stiamo scrivendo di musicisti i cui nomi resteranno nella storia del jazz, come Jim Hall, Gary Burton, Kenny Barron, Bill Frisell.

Nel 1993 rese pubblica la sua omosessualità e annunciò di essere in terapia per l’AIDS da quasi dieci anni. Da allora è energico sostenitore dei diritti dei gay e della ricerca contro la malattia che in diversi momenti influenzò pesantemente la sua carriera. Nel 2008 rimane in coma per due mesi e, poi, è incapace di alimentarsi e idratarsi autonomamente per un lungo periodo. Le cure mediche e la sua caparbia tenacia lo conducono a un lento, ma sicuro ristabilimento fisico. Dalla drammatica esperienza scaturisce nel 2011 la pièce teatral-musicale “My coma dreams”. Adesso Fred Hersch è considerato uno dei maggiori pianisti jazz in attività, un musicista che porta con sé l’influsso di Bill Evans a la conoscenza di Herbie Hancock e del mondo classico. Un artista completo, con numerose nomination ai Grammy Awards e riconoscimenti da riviste specializzate, istituzioni musicali e accademiche. È stato realizzato anche un film su di lui, “The ballad of Fred Hersch”, intimo e commovente ritratto dell’artista, curato da Carrie Lozano e Charlotte Lagarde nel 2016.

La conclusiva promessa: seguiremo da appassionati i tre giorni del Festival “Segni di jazz”.

09/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Guido Capizzi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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