Perché leggere ai bambini? La domanda risuona nelle case e, talvolta, anche nelle scuole. La lettura sembra essere un compito da svolgere “per forza” e, come tale, poco benvisto dai nostri bambini.
È vero che, secondo le statistiche, l’italiano medio è un pessimo lettore e, di conseguenza, è normale che non sappia proporre la lettura ai più giovani. La Playstation, il Nintendo ma anche la vecchia tv sembrano essere compagni graditi, facili da attivare e quindi preferibili. Alla luce della bella società che abbiamo preparato per i nostri bambini, però, forse qualche domanda è lecito porsela. Se i mezzi audiovisivi sono così esaustivi, perché la quotidianità delle famiglie è spesso negativa? Perché i nostri figli si rifugiano dietro uno schermo pur di non entrare in contatto con la realtà?
Sorge il sospetto, magari non fondato, che l’assenza della lettura nelle loro vite possa entrarci qualcosa. Leggere è un verbo attivo, che richiede attenzione e forse proprio questo aspetto lo rende poco apprezzato. Chi vive o lavora con i bambini, però, sa che quasi tutto lo si gioca all’inizio, nei primi anni di vita. Bambini che vedano libri nella propria casa e che si abituino a guardarli, sceglierli, magari stropicciarli o anche strapparli inaugurano con essi un rapporto che difficilmente si esaurirà. È possibile che serviranno anni perché, dopo la prima infanzia, essi tornino alla lettura ma quasi senza ombra di dubbio vi torneranno. E sarà un incontro tra vecchi amici che hanno molto da dirsi e non si stancheranno di farlo; un ritrovarsi per il piacere di farlo e di raccontarsi cose sempre nuove. Come tutti i vizi, infatti, anche quello del leggere non può essere considerato mai superato: prima o poi la tentazione torna e, questa volta, sarà davvero il caso di non resistere.
Anni fa Daniel Pennac, in un saggio ormai celebre, Come un romanzo [1], ha spiegato in modo esaustivo il valore della lettura, sia dal punto di vista culturale sia da quello sociale. Si consiglia questo bel testo, peraltro piacevole e non specialistico, sia a chi abbia un momento di lontananza dai libri sia a chi è investito dal compito, famigliare o lavorativo, di educare e seguire nella crescita bambini e ragazzi. Come diceva Italo Calvino, dobbiamo porci sulle spalle dei giganti per comprendere meglio la realtà. Il barone rampante [2] sale sugli alberi, perché “chi vuole guardare bene la terra deve tenersi alla distanza necessaria” e la distanza può essere rappresentata da quel meraviglioso strumento che è il libro.
Il libro è un oggetto magico, del tutto particolare, che non ha avuto uguali nella storia dell’umanità, sia per la perfezione del design che per la diffusione. Nostro dovere, in quanto educatori, genitori, nonni, amici e comunque frequentatori di bambini, è quello di mediare il rapporto tra essi e di facilitare una conoscenza che ben presto diventerà complicità.
Poiché le liste, che vanno tanto di moda, sembrano essere un buono strumento per sviluppare tesi e regionamenti, ecco un elenco ragionato (come dicono quelli che se ne intendono) di buoni motivi per cui dovremmo iniziare i nostri bambini alla lettura – perché leggere (e non guardare la tv, giocare sulle consolle, scrollare il telefono etc. o, almeno, non solo):
1. Il libro è un fedele testimone da passare ai nostri bambini, in grado di riportare storie e Storia e, così, costruire la cosmogonia privata del piccolo lettore. Cappuccetto rosso e Napoleone, Harry Potter e la Shoah vanno insieme a costituire l’universo di conoscenze di cui, una volta adulto, si avvarrà per interpretare e affrontare le sfide quotidiane. Per far ciò sono necessarie fiabe e miti; saggi storici e biografie. Non esiste, crediamo, un genere che non sia utile alla crescita e all’edificazione del proprio mondo valoriale.
2. Spesso noi adulti siamo stanchi, ammettiamolo. La sera può essere difficile, dopo giornate sfibranti, dare un contributo significativo al vissuto dei figli (perché, non dimentichiamo che per loro ogni giorno è una pietra fondante e quindi deve aggiungere un mattoncino all’edificio). Leggere un libro insieme può rappresentare un momento di condivisione e affetto che potrà chiudere in bellezza la giornata trascorsa, arricchendo entrambi e lasciando l’idea di una esclusività di rapporto gratificante e rassicurante; e se ci addormenteremo insieme a letto o sul divano, e il libro cadrà dalle nostre mani, non preoccupiamocene. La sera successiva potremo riaprirlo e insieme, ricercare il punto a cui eravamo rimasti.
3. “Ogni parola che non impari oggi è un calcio nel culo domani” affermava don Lorenzo Milani [3] già nei lontani anni ’60. Il priore aveva capito, durante la sua esperienza educativa tra i più dimenticati, che per difendersi, affermarsi e farsi valere è necessario conoscere più parole possibile e saperle contestualizzare. Ne aveva già fatto le spese il buon Lorenzo Tramaglino, quindi niente di nuovo sotto il sole...
Dobbiamo dare parole ai più piccoli, affinché sappiano notare, qualificare e interpretare la realtà quotidiana, dando un nome a cose e persone, costruendo percorsi logici e sapendo reagire a quelli, non sempre positivi, altrui.
4. Netflix, così come tutte quelle che entrano nelle nostre case, è una piattaforma ricca di offerte, con contenuti continuamente aggiornati e catalogati in base al pubblico. Una biblioteca, però, è un’altra cosa. Esistono milioni, se non miliardi, di storie provenienti da ogni angolo del pianeta, scritte da ogni tipo di autore. Offrire ai più piccoli una raccolta di racconti nordamericani, slavi, scandinavi, africani, arabi etc. significa offrire loro la possibilità di vedere il mondo con gli occhi dei loro coetanei che non incontreranno mai e che spesso sono difficili da comprendere. La convivenza pacifica e l’integrazione richiedono conoscenza reciproca. Per voler bene, un bambino ha sempre bisogno di capire, di essere accolto e di accogliere. Pensiamo un attimo a che gesto rivoluzionario sarebbe iniziare ogni mattina a scuola con una breve lettura tratta da testi appartenenti alle tradizioni degli alunni: oggi un mito albanese, domani una fiaba romena o siriana, dopo un racconto italiano o francese. Ciò darebbe una struttura resistente all’edifcio della multicultura, di cui tanto si parla e in cui così pochi credono.
5. La curiosità accende l’intelligenza,e infatti le grandi dittature (ma anche quelle ridicole degli ultimi anni, come quella del disgraziato ventennio berlusconiano) hanno sempre fatto tutto il possibile per spegnere il nostro cervello. Il passato ha visto falò di libri sulle pubbliche piazze e roghi di autori pericolosi; oggi è più comodo creare canali televisivi dai criteri cognitivi più bassi possibile. Cambiano e si affinano i metodi ma la volontà del potere di non farci ragionare è immutata. Non importa processare Galileo, né bruciare vivo Giordano Bruno: l’azione veramente proficua è quella di impedire alle più belle intelligenze di nascere e svilupparsi. Se la memoria non ci inganna, il somaro principe, come Carlo Emilio Gadda [4] chiama Mussolini, quando intuì la forza della mente di Antonio Gramsci, diede ordine di “impedire a quel cervello di funzionare”. Spegnere il cervello, quindi. Stesso copione, seppure diversa la trama, ha seguito il potere politico contro quel cervello sovversivo che era Pier Paolo Pasolini. Il potere, però, si evolve, si perfeziona, si affina e quindi i nipotini del truce e della Democrazia Cristiana, sono andati oltre. Spegnere un cervello, infatti, può essere più difficile che non accenderlo. Ecco, quindi, i fantastici canali Mediaset, le veline, il Bagaglino: armi di distrazione di massa.
In questo contesto, quindi, fornire le nostre case di libri e metterli a disposizione dei più giovani significa escludere almeno in parte dal martellamento cui sono quotidianamente sottoposti. Accendere i loro occhi e le loro menti spegnendo contestualmente schermi e dispositivi.
6. Dobbiamo essere consapevoli di non poter essere sempre presenti nella vita di figli, nipoti e alunni. Ecco allora che sarà rassicurante saperli in buone mani. Così come vogliamo essere sicuri della baby sitter o del servizio cui li affidiamo, o così come tutte quelle che entrano nelle nostre case, del supplente che proseguirà il nostro lavoro, impariamo a scegliere con cura i libri da lasciare loro, per evitare momenti di noia. Guardiani delle loro ore vuote ne vengono in mente sin troppi: non saranno mai soli.
7. Acquistare libri insieme è un momento di straordinaria condivisione per una famiglia. Le librerie sono luoghi generalmente accoglienti, in cui il profumo della carta stampata già da solo stimola la curiosità. Giriamo tra scaffali, sediamoci con i nostri bimbi in braccio o con i nostri riottosi adolescenti accanto e lasciamoci conquistare da copertine colorate, nomi accattivanti, autori famosi o sconosciuti. Dobbiamo imparare a non imporci, a non voler prevalere. Se anche un libro ci sembra povero, banale o scontato, non neghiamolo a priori; acquistiamolo e leggiamolo insieme al bambino che l’ha scelto, senza far trapelare il nostro dissenso. Con questo metodo infallibile, io stessa mi sono liberata dei quattro volumi di Geronimo Stilton [5] (che è poverino e banale davvero) che i figli mi avevano estorto. È bastato alternarne la lettura con Pinocchio [6], La fabbrica di cioccolato [7], Il giardino segreto [8] e tanti altri. Si chiama selezione naturale, no?
8. Facciamo fare ad altri il lavoro sporco. Introdurre il tema della sessualità [9], per esempio, è spesso vissuto con disagio sia da genitori che da figli: lasciamo allora, come per caso, un bel volume colorato in giro per casa... e aspettiamo che se la cavi lui da solo. Ciò vale anche per temi pesanti come la morte o il disagio, che ci toccano sul vivo e quindi possono essere difficili da spiegare. Lasciamoci aiutare da chi sa farlo meglio di noi. Andiamo insieme in libreria e compriamo, come per caso, Mio nonno era un ciliegio [10] o Il pentolino di Antonino [11]. E buon lavoro a loro.
9. Un libro non si spegne mai: che siamo nel deserto, in cima all'Himalaia o in camera durante un blackout, basterà aprirlo e la magia ricomincerà. C’era una volta...
Fermiamoci qui, a nove comandamenti. Il decimo no, non lo si può scrivere; si trova già altrove, scritto da altro autore e stampato in altra pubblicazione e... ubi major...
Amen.
Note:
[1] Daniel Pennac, Come un romanzo, Milano, Feltrinelli, 1992.
[2] Italo Calvino, Il barone rampante, Torino, Einaudi, 1957.
[3] Lorenzo Comparetti Milani, Lettera ad una professoressa, Firenze, Editrice fiorentina, 1967.
[4] Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Milano, Grazanti, 1957.
[5] Elisabetta Dami, Geronimo Stilton (con all’attivo più di 120 titoli) edito prima da Dami, dal 1997 e poi Piemme.
[6] Carlo Collodi, Pinocchio, Firenze, Giunti e varie altre edizioni italiane, 1883.
[7] Roal Dahl, La fabbrica di cioccolato, Milano, Salani, 1967.
[8] Frances Hodgson Burnett, Il giardino segreto, varie edizioni italiane, 1911.
[9] AA VV, Amore, sesso & co. Per vivere al meglio la tua adolescenza, San Dorligo della Valle (Trieste), Einaudi ragazzi, 2009.
[10] Angela Nanetti, Mio nonno era un ciliegio, San Dorligo della Valle (Trieste), Einaudi ragazzi, 1998.
[11] Isabelle Carrier, Il pentolino di Antonino, Piazzola sul Brent, ed. Kite, 2015.
I testi sono indicati con l'editore italiano e l'anno di pubblicazione dell'edizione originale