Come mostra György Lukács l’atteggiamento di Moses Hess verso il presente è di stampo moralistico: egli muove dalla miseria del proletariato e dall’egoismo dei capitalisti per pronunciare sulla realtà sociale una condanna morale. Il “vero socialismo” si rivela essere un progetto ispirato eticamente, costruito al di sopra dei conflitti e degli interessi di classe e portato avanti dal ceto intellettuale privo di una reale base sociale. Essendo state tralasciate le mediazioni reali tra presente e futuro, nella teoria socialista di Hess si determina la separazione tra principi logici-ideali e la realtà, tra necessità e libertà, tra teoria e prassi.
Il tratto moralistico di Hess è, per Lukács, anche la conseguenza dell’influsso determinante esercitato su di lui da Feuerbach. Hess, infatti, accoglie di Feuerbach proprio il lato deteriore, il lato idealistico – secondo la denuncia marx-engelsiana –, ossia l’etica dell’amore. Quest’ultima è costitutiva dell’antropologia feuerbachiana, della concezione dell’uomo come ente generico, astorico e asociale. L’assenza della dimensione storica dell’uomo – cui si lega il concetto di alienazione religiosa come dato originario, non determinato storicamente – discende, secondo Lukács, dal fatto che il rovesciamento materialistico del pensiero di Hegel viene compiuto da Feuerbach sul fondamento dell’immediatezza sensibile e dell’attività immediata del pensiero. Feuerbach critica aspramente la mediazione dialettica di Hegel, cioè la mediazione del pensiero con se stesso, e ne restringe il concetto all’attività comunicativa del linguaggio, attraverso il quale il mio pensiero si media con quello dell’altro.
Lukács accetta la polemica di Feuerbach contro l’idealismo di Hegel – per il quale il rapporto essere-pensiero si risolve nella pura attività pensante, nel rapporto del pensiero con se stesso – col risultato che “le categorie mediatrici si sono ipostatizzate a «entità reali», sciogliendosi dal processo storico effettivo, dal terreno della loro effettuale intelligibilità, ed irrigidendosi così in una nuova immediatezza” [1]. Tuttavia la critica feuerbachiana si basa su un’errata interpretazione della nozione hegeliana di mediazione: attestandosi sulla certezza e sulla verità immediata, va perduto il nucleo valido della metodologia hegeliana, ossia la possibilità di “riconoscere e comprendere la realtà sociale del presente nella sua effettualità, e non di meno di comportarsi nei suoi riguardi criticamente (ma non in senso critico-moralistico, bensì nel senso di un’attività critico-pratica). In Hegel, certo, esisteva solo la semplice possibilità di tutto ciò. Ma per lo sviluppo della teoria socialista si è rivelato determinante il fatto che Marx, in questo punto, si riallacci sul piano metodologico direttamente a Hegel, liberandone il metodo da inconseguenze e storture idealistiche e “ponendolo sulla testa”; e per quanto sia debitore verso Feuerbach dalla spinta da lui ricevuta, egli respinge il preteso “miglioramento” feuerbachiano di Hegel [2].
Feuerbach, fermandosi all’evidenza immediata, finisce con lo spacciare per realtà la superficie fenomenica e con l’identificare acriticamente apparenza ed essenza. Ciò si rivela nella sua concezione astorica dell’uomo, simile in questo alle robinsonate degli economisti borghesi, i quali trasformano la condizione storica e transeunte dei rapporti sociali in un dato eterno e atemporale; non solo, ma il presente, la realtà oggettiva data immediatamente, può essere indifferentemente accettata o respinta a seconda del posto che gli uomini occupano in essa, senza che il materialismo di Feuerbach riesca a spiegare il perché e la genesi di essa realtà e dei comportamenti corrispondenti. Ispirandosi a esso, l’utopismo di Moses Hess oppone alla realtà del presente l’idea di una realtà “mutata”, sulla base di una “valutazione” morale che, lasciando intatta la struttura della società attuale, conferma l’atteggiamento contemplativo: “la realtà «mutata» viene in tal caso trattata come situazione, quindi in maniera contemplativa, e messa dunque in antitesi con la realtà oggettiva immediatamente data senza che la via che porta dall’una all’altra sia stata in qualche modo rischiarata” [3].
La sterilità pratica e i limiti dell’impostazione contemplativa si rivelano pienamente nel tema centrale del pensiero feuerbachiano: l’alienazione religiosa. Nel concepire il fenomeno religioso come essenza umana alienata, Feuerbach lo considera nella sua immediatezza senza, peraltro, spiegarne l’origine reale e riferisce l’essenza umana all’individuo singolo, così come appare nella società borghese. Sfera religiosa e sfera mondana si irrigidiscono nella loro separazione e il modo dell’appropriazione dell’essenza alienata da parte dell’uomo si presenta altrettanto vano e astratto che il dover essere kantiano: “il suo [di Feuerbach] «amore» lascia immutata la realtà «alienata» dell’uomo allo stesso modo come il dover essere di Kant non era in grado di mutare nulla nella struttura del suo mondo dell’essere” [4].
Lukács vuole mostrare la profonda differenza della trattazione hegeliana di questo fenomeno fondamentale della società borghese, che è l’alienazione. Se è vero, infatti, che esiste un’accezione speculativa del problema – soprattutto a livello di sistema, nel passaggio dalla Scienza della logica alla Filosofia della Natura, dove la Natura è vista da Hegel come il momento dell’alienazione e dell’esteriorizzazione dell’Idea – non è men vero che nella Fenomenologia dello spirito il tema dell’alienazione è parte integrante e costitutiva del movimento storico-sociale; sebbene il pensiero di Hegel contempli i gradi della coscienza come fasi aprioristiche che lo “Spirito” deve percorrere per raggiungere la piena autotrasparenza, tuttavia non viene meno la stretta correlazione tra le figure della coscienza e le corrispondenti epoche storiche. In questo modo, secondo Lukács, le figure della coscienza, che sono altresì il fondamento fenomenologico delle categorie logiche, si arricchiscono di contenuto storico-sociale, del quale sono rispecchiamento ed espressioni filosofiche.
Il carattere aprioristico e speculativo di questa complessa costruzione – che ambiguamente sussiste in virtù dell’aderenza di Hegel alla realtà effettuale della storia – deriva principalmente dall’arretratezza della situazione politico-sociale della Germania: gli intellettuali tedeschi, infatti, hanno vissuto nel pensiero ciò che in Francia e in Inghilterra è stato realizzato concretamente nella storia [5]. Ciò non impedisce, però, a Hegel di cogliere le forme oggettive della società borghese e di presentarle dialetticamente nella loro contraddittorietà e nel loro antagonismo: “cioè come momenti di un processo in cui l’uomo (in Hegel, sotto il profilo mitologico, lo Spirito) nell’alienazione torna a sé, al punto in cui le contraddizioni della sua esistenza sono acuite al massimo e arrivano a produrre la possibilità oggettiva del rovesciamento, del superamento delle contraddizioni stesse” [6].
Ciò significa che il dominio delle “forme astratte”, l’alienazione e l’estraneazione, non sono né immagini speculative costruite da Hegel, né una realtà da accettare oppure da rifiutare moralisticamente, “bensì forme d’esistenza del presente date immediatamente come forme transitorie per il superamento di se stesse nel processo storico” [7]. Arrestarsi all’immediatezza, non procedere a fondo e oltre quest’apparenza, porta alla sua eternizzazione; a ciò si approda allorquando si trascura il fatto che l’immediatezza è il risultato di un profondo processo di mediazione, essa è l’apparenza necessaria di ciò che è stato, del Wesen, dell’essenza. Lukács individua nel tema fondamentale dell’alienazione all’interno della Fenomenologia l’origine delle categorie logiche della riflessione, che troveranno sistemazione nella seconda parte della Scienza della logica, nella logica dell’essenza. L’apparenza è, dunque, un momento necessario del movimento dell’essenza, attraverso cui l’essenza si determina come negatività, ossia come processo in cui l’immediatezza è destinata a essere superata. In Hegel il movimento dialettico finisce per sopprimersi come processo e irrigidirsi nella forma dello spirito assoluto; tuttavia egli ha posto il principio metodologico che consente l’esercizio critico nei confronti del presente e di considerarlo come momento transeunte del processo storico: “una presa di posizione nella quale viene superato il dualismo di teoria e prassi, dal momento che, da un lato, il presente, concepito come concreto e immediato, è però, compreso come risultato del processo storico, quindi geneticamente, mediante l’indicazione di tutte le mediazioni che stanno alla base della sua immediatezza; mentre, dall’altro, questo stesso processo di mediazione mostra in pari tempo il presente come semplice momento del processo che lo oltrepassa. Infatti, è proprio questa presa di posizione critica nei confronti dell’immediatezza del presente che pone questo presente in relazione con l’attività umana: nei momenti del presente che urgono oltre se stessi stanno le direttive e il margine reale dell’attività critico-pratica, della prassi rivoluzionaria” [8].
A Lukács non sfugge l’aspetto problematico della dialettica hegeliana; da un lato, il suo carattere propulsivo ed estremamente produttivo per il superamento marxiano, dall’altro, lo sbocco contemplativo e l’immobilismo dello Spirito assoluto. L’impressione che si riceve da questo scritto è di una ambivalenza del giudizio lukacciano, oscillante costantemente tra la denuncia della chiusura del sistema hegeliano e l’esaltazione delle conquiste conseguite grazie al metodo dialettico.
Note:
[1] Lukács, György, Moses Hess und die Probleme der idealistischen Dialektik [1926], tr. It., Id., Moses Hess e i problemi della dialettica idealistica, in Id., Scritti politici giovanili; traduz. di P. Manganaro e N. Merker, introduz. di P. Manganaro, Bari, Laterza 1972, pp. 246-310, p. 285.
[2] Cfr. ivi, p. 279. Il ruolo preminente attribuito a Hegel, piuttosto che a Feuerbach, nella genesi del materialismo storico, nonché costituire un ulteriore segno distintivo dell’interpretazione lukácciana rispetto alla vulgata marxista, prefigura il tema dei contenuti pre-marxisti della filosofia hegeliana, che sarà sviluppata ne Il giovane Hegel.
[3] Ivi, p. 287.
[4] Ivi, p. 288.
[5] L’attribuzione degli aspetti conservatori e del carattere idealista della dialettica hegeliana all’arretratezza tedesca rimarrà un punto fermo nell’interpretazione lukacciana di Hegel.
[6] Ivi, p. 295. Un Hegel, dunque, nella cui dialettica è immanente la soluzione materialistica di Marx: basta liberare dall’involucro idealistico e mistificatorio del sistema il movimento dialettico, per superare il vicolo cieco in cui l’ha cacciato Hegel.
[7] Ivi, p. 296.
[8] Ivi, p. 298.