Lenin e le contraddizioni reali nel processo di transizione al socialismo

L’esigenza di estendere la disciplina del lavoro all’intera società quale tappa necessaria per ripulire radicalmente la società dalle brutture e dalle ignominie dello sfruttamento capitalistico.


Lenin e le contraddizioni reali nel processo di transizione al socialismo Credits: https://www.history.com/topics/russia/vladimir-lenin

A parere di Lenin una tappa necessaria al superamento del capitalismo, nella processo di transizione al socialismo in un paese isolato e arretrato, è l’essenziale estensione della disciplina del lavoro all’insieme della società. Ciò si rende inevitabile in quanto la rivoluzione è avvenuta necessariamente prima e non dopo – come pretenderebbero gli utopisti o gli opportunisti di sinistra anarchici – rispetto alla formazione dell’uomo nuovo. In altri termini, si tratta inevitabilmente di iniziare la costruzione del socialismo con un materiale umano in larga parte privo dei requisiti di cultura e civiltà necessari, per cui bisognerà in primo luogo sviluppare una forma di controllo e coercizione per far lavorare in modo regolare e disciplinato una parte significativa delle masse. In quanto, come osserva Lenin, in un paese abitato per lo più da piccoli contadini, che da non troppo tempo si è liberato dell’autocrazia zarista e di rapporti di produzione sostanzialmente feudali, incentrati sul rapporto fra servo e padrone, una parte maggioritaria della popolazione rischia altrimenti di rimanere preda di un anarchismo spontaneo.

Dunque, sottolinea Lenin, solo attraverso la progressiva educazione della maggioranza della popolazione a un “lavoro regolare, continuo e disciplinato” sarà possibile “completare la vittoria sulla borghesia e in particolare sulla borghesia contadina, che è la più ostinata e la più numerosa” [1]. Anzi, in un primo momento, Lenin considera necessaria l’estensione della “disciplina di fabbrica” all’intera società. Certo, aggiunge Lenin, ciò non può essere assolutamente considerato come “il nostro ideale né la nostra meta finale”, in quanto si tratta soltanto di una “tappa necessaria per ripulire radicalmente la società dalle brutture e dalle ignominie dello sfruttamento capitalistico e assicurare l’ulteriore marcia in avanti” [2].

D’altra parte, sarebbe assurdo pretendere di formare prima l’uomo nuovo, che è un prodotto e non certo un presupposto della transizione al socialismo, altrimenti per la pretesa utopistica di un passaggio diretto alla società socialista, si attenderebbe invano che se ne fossero già realizzati i presupposti soggettivi. Osserva a tal proposito Lenin: “noi non siamo degli utopisti. Non ‘sogniamo’ di fare a meno dall’oggi al domani, di ogni amministrazione, di ogni subordinazione; questi sono sogni anarchici, fondati sull’incomprensione dei compiti della dittatura del proletariato, sogni che nulla hanno di comune con il marxismo e che di fatto servono unicamente a rinviare la rivoluzione socialista fino al giorno in cui gli uomini saranno cambiati. No, noi vogliamo la rivoluzione socialista con gli uomini quali sono oggi, e che non potranno fare a meno né di subordinazione, né di controllo, né di ‘sorveglianti, né di contabili’” [3].

Per comprendere tale tragica esigenza è sufficiente, come mostra Lenin, considerare con attenzione quale era lo stato della società prima della rottura rivoluzionaria. Si trattava, in effetti, di una “società in cui il bisogno e la miseria gettavano migliaia e migliaia di uomini sulla via del teppismo, della corruzione, della truffa, dell’oblio della dignità umana”; di una “società che inculcava necessariamente nei lavoratori il desiderio di sfuggire, sia pure con l’inganno, allo sfruttamento, di liberarsi, almeno per un istante, da un lavoro ripugnante, di strappare un pezzo di pane con qualsivoglia mezzo, a qualsiasi prezzo, per non soffrire la fame, per non sentire se stesso e i propri congiunti affamati” [4].

In questa prospettiva assume una funzione decisiva, secondo Lenin, l’emulazione, al punto che scrive: “il nostro compito, ora che un governo socialista è al potere, è di organizzare l’emulazione. I reggicoda e i tirapiedi della borghesia hanno descritto il socialismo come una caserma grigia, monotona, abbrutente, uniforme. I lacchè del sacco di denari, i servi degli sfruttatori – i signori intellettuali borghesi – hanno fatto del socialismo uno ‘spauracchio’ per il popolo, che proprio in regime capitalista è condannato ai lavori forzati e alla caserma, a un lavoro estenuante e monotono, a una vita di fame, a una profonda miseria” [5].

D’altra parte, fa notare Lenin, per disciplinare e aumentare la produttività del lavoro sarà necessario partire dal nucleo razionale presente nei sistemi precedenti, ovvero da quanto di progressivo è presente nel sistema fordista e taylorista, al di là del loro essere strumento di oppressione della classe operaia sotto il dominio della borghesia. Ecco che allora, a parere di Lenin, “si pongono in particolare all’ordine del giorno le misure intese a rafforzare la disciplina del lavoro e ad aumentare la produttività del lavoro. (…) Tra queste misure vanno annoverate, ad esempio, l’introduzione del salario a cottimo, l’impiego del sistema Taylor, per quel tanto che in esso vi è di scientifico e di progressivo, la decisione di proporzionare i salari al bilancio generale del lavoro di questa o quella fabbrica, o ai risultati dell’esercizio delle ferrovie, dei trasporti per via d’acqua, ecc.” [6].

Si tratta, dunque, di rilanciare la produttività utilizzando i più efficaci metodi di organizzazione del lavoro ideati dal precedente modo di produzione, ma mantenendo ben saldo il potere politico nelle mani del proletariato, in modo da poter utilizzare per i propri fini il personale già formato nel periodo precedente alla conquista del potere. Tale personale d’origine e formazione borghese dovrà essere posto al servizio della transizione al socialismo. Afferma a questo proposito Lenin: “organizziamo la grande industria partendo da ciò che il capitalismo ha già creato; organizziamola noi stessi, noi operai, forti della nostra esperienza operaia, imponendo una rigorosa disciplina, una disciplina di ferro, mantenuta per mezzo del potere statale dei lavoratori armati; riduciamo i funzionari dello Stato alla funzione di semplici esecutori dei nostri incarichi, alla funzione di ‘sorveglianti e di contabili’, modestamente retribuiti, responsabili e revocabili (conservando naturalmente i tecnici di ogni specie e di ogni grado)” [7].

Da tale punto di vista, quindi, la questione decisiva a parere di Lenin non è tanto l’espropriazione degli espropriatori, ma il controllo del proletariato, divenuto nuova classe dirigente, nei confronti della precedente classe dominante. Per dirla con Lenin: “il ‘nocciolo’ del problema non è già nella confisca dei beni dei capitalisti, ma nel controllo operaio generale e minuzioso sui capitalisti e sui loro eventuali sostenitori. Con la sola confisca non si fa nulla, perché in essa non v’è nessun elemento di organizzazione, di calcolo della giusta ripartizione. Potremo sostituire facilmente la confisca con la riscossa di un’imposta equa” [8]. Da qui l’importanza decisiva riconosciuta da Lenin del controllo proletario sulle classi nemiche della rivoluzione, aspetto decisivo della dittatura del proletariato: “l’inventario e il controllo necessari per il passaggio al socialismo, possono essere soltanto opera delle masse. Soltanto la collaborazione volontaria e cosciente delle masse degli operai e dei contadini, compiuta con entusiasmo rivoluzionario, nell’inventario e nel controllo dei ricchi, dei furfanti, dei parassiti, dei teppisti può vincere queste sopravvivenze della maledetta società capitalistica, questi rifiuti dell’umanità, queste membra incancrenite e putrescenti della società, questo contagio, questa peste, questa piaga che il capitalismo ha lasciato in eredità al socialismo” [9].

A questo proposito la disciplina del lavoro diviene uno strumento efficace per rendere più solida la direzione del proletariato sulla società. Al punto che Lenin sottolinea che: “la dittatura presuppone un potere rivoluzionario realmente fermo e implacabile nella repressione degli sfruttatori e dei fautori di disordini; invece il nostro potere è troppo clemente” [10].

Più complesso e al contempo più importante e urgente per procedere nella direzione della transizione al socialismo è, a parere di Lenin, vincere il disordine piccolo-borghese, compito più complesso che mettere in condizione di non nuocere i grandi sfruttatori della passata società. Inoltre tale obiettivo è decisamente più indispensabile quale base per una società socialista. In effetti, “questa nuova organizzazione dello Stato [socialista] nasce con grande fatica perché vincere la nostra indisciplina, il nostro disordine piccolo-borghese, è la cosa più difficile, è un milione di volte più difficile che schiacciare un grande proprietario fondiario dispotico o un capitalista dispotico, ma è anche un milione di volte più fecondo per creare una nuova organizzazione, libera dallo sfruttamento” [11]. A questo scopo è necessario che tutti i membri dell’avanguardia del proletariato, organizzata nel partito rivoluzionario, siano completamente affidabili e ciò rende necessario un lavoro costante volto a individuare e a epurare possibile avventurieri e opportunisti che, in seguito alla conquista del potere da parte dei bolscevichi, tentino di infiltrarsi fra i comunisti.

Osserva a questo proposito Lenin: “la mobilitazione dei comunisti per la guerra ci ha aiutati: i vili e i furfanti hanno voltato le spalle al partito. Buon viaggio! Tale diminuzione del numero dei membri del partito significa un immenso aumento della sua forza e del suo peso. Bisogna continuare l’epurazione, servendosi dell’iniziativa dei ‘sabati comunisti’, ammettere nel partito soltanto dopo un ‘periodo di prova’ o di ‘candidatura’, mettiamo di sei mesi, che consista nel compiere il ‘lavoro alla maniera rivoluzionaria’. Nel medesimo modo dovrebbero essere messi alla prova tutti i membri del partito iscrittisi dopo il 25 ottobre 1917 e che non hanno ancora dimostrato con lavori o meriti speciali la loro incondizionata fermezza, fedeltà e capacità di essere comunisti” [12]. Anche perché gli sfruttatori e gli avventurieri arrivisti, i capitalisti come gli esponenti disonesti del sottoproletariato sono da considerarsi, a parere di Lenin, due facce della stessa medaglia e, perciò, vanno posti entrambi in condizione di non nuocere: “i ricchi e i furfanti sono le due facce di una stessa medaglia, sono le due categorie principali di parassiti nutriti dal capitalismo, sono i principali nemici del socialismo; questi nemici vanno sottoposti a una speciale sorveglianza dalla intera popolazione” [13].


Note

[1] V. I. Lenin, I compiti immediati del potere sovietico [aprile 1918], in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 320.

[2] Id., Stato e rivoluzione [settembre 1917], in Sulla rivoluzione… cit., pp. 189-90.

[3] Ivi, p. 163.

[4] Id., Come organizzare l’emulazione [dicembre-gennaio 1917-18], in Sulla rivoluzione… cit., pp. 289-90.

[5] Ivi, p. 285.

[6] Id., I compiti… cit., in Sulla rivoluzione… cit., p. 323.

[7] Id., Stato e… cit., in Sulla rivoluzione… cit., p. 164.

[8] Id., I bolscevichi conserveranno il potere statale? [settembre-ottobre 1917], in Sulla rivoluzione… cit., pp. 237-38.

[9] Id., Come organizzare… cit., in Sulla rivoluzione… cit., p. 289.

[10] Id., I compiti… cit., in Sulla rivoluzione… cit., p. 324.

[11] Id., Come si inganna il popolo con le parole d’ordine di libertà e di eguaglianza [maggio 1919], in Sulla rivoluzione… cit., p. 412.

[12] Id., La grande iniziativa [giugno 1919], in Sulla rivoluzione… cit., p. 429.

[13] Id., Come organizzare… cit., in Sulla rivoluzione… cit., p. 290.

02/02/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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