A parere di Lenin la conquista del potere da parte dei comunisti non può significare un semplice “impadronirsi” degli apparati dello Stato borghese, ma implica una netta rottura, una decisa discontinuità con quella tipologia di Stato. Dunque, come ha osservato Lenin, ”il proletariato, si dice, non è in grado di ‘impadronirsi’ dell’‘apparato statale’, né di metterlo ‘in movimento’. Ma esso può spezzare tutto ciò che vi è di oppressivo, di consuetudinario, di irrimediabilmente borghese nel vecchio apparato statale e sostituirlo con un proprio nuovo apparato: i Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini” [1].
Anzi a parere di Lenin, la stessa questione della dittatura del proletariato, quale forma propria dello Stato socialista, “è la questione dell’atteggiamento dello Stato proletario verso lo Stato borghese, della democrazia proletaria verso la democrazia borghese” [2]. Tale atteggiamento si comincia a delineare con lo scioglimento dell’Assemblea costituente che aveva inaugurato i suoi lavori il 5 (18) gennaio 1918 a Pietrogrado. Dal momento che la maggioranza controrivoluzionaria dell’Assemblea si era rifiutata di confermare i decreti del II Congresso dei Soviet sulla pace, sulla terra, sul passaggio del potere ai Soviet, l’Assemblea costituente fu sciolta il 6 (19) gennaio 1918.
In tal modo l’Assemblea costituente, ponendosi come un ostacolo insormontabile per realizzare la transizione al socialismo, motivo per il quale si era realizzata la Rivoluzione d’ottobre, a meno di non voler rinunciare al proprio obiettivo, il governo rivoluzionario non poteva che decretarne la chiusura. Del resto, come osserva a questo proposito Lenin, “per il passaggio dal regime borghese a quello socialista, per la dittatura del proletariato, la Repubblica dei Soviet dei deputati degli operai, dei soldati e dei contadini non soltanto è una forma di istituzione democratica di tipo più elevato (in confronto a una comune repubblica borghese che abbia un’Assemblea costituente come coronamento), ma è anche l’unica forma capace di assicurare il passaggio al socialismo nel modo meno doloroso” [3].
In questa prospettiva, secondo Lenin non è arduo dal punto di vista teorico evidenziare la netta superiorità dello Stato socialista rispetto allo Stato borghese. A tale proposito egli osserva: “i Soviet costituiscono un nuovo apparato statale il quale, in primo luogo, crea la forza armata degli operai e dei contadini, non staccata dal popolo come il vecchio esercito permanente, ma strettamente legata al popolo, incomparabilmente più potente del vecchio esercito dal punto di vista militare e insostituibile dal punto di vista rivoluzionario. In secondo luogo, questo apparato stabilisce con le masse, con la maggioranza del popolo, un legame così stretto, così indissolubile, così facilmente controllabile e rinnovabile che si cercherebbe invano qualcosa di simile nel vecchio apparato statale. In terzo luogo, questo apparato, grazie al fatto che i suoi funzionari sono elettivi e revocabili, secondo la volontà popolare e senza formalità burocratiche, è infinitamente più democratico di tutti i precedenti. In quarto luogo, esso garantisce un solido legame con le professioni più diverse, facilitando così l’applicazione delle riforme più varie e più profonde senza alcuna burocrazia. In quinto luogo, esso è la forma d’organizzazione dell’avanguardia dei contadini e degli operai – cioè della parte più cosciente, più energica, più progressiva delle classi oppresse, gli operai e i contadini – e permette perciò a tale avanguardia di elevare, di educare e di trascinare nella propria scia tutta la massa gigantesca di queste classi, che fino ad oggi sono rimaste completamente fuori della vita politica e della storia. In sesto luogo, esso permette di unire i vantaggi del parlamentarismo con quelli della democrazia diretta e immediata, cioè di riunire nella persona dei rappresentanti eletti dal popolo il potere legislativo e il potere esecutivo” [4].
D’altra parte, però, Lenin sottolinea come le condizioni arretrate del paese, le devastazioni prodotte dalle guerre, il permanente stato d’assedio, il continuo sabotaggio operato dalla borghesia hanno reso arduo dimostrare nei fatti la superiorità della democrazia proletaria su quella borghese. Come ricorda Lenin, l’aggressione imperialista, volta a favorire l’affermazione delle forze controrivoluzionarie, pur non riuscendo a distruggere la Repubblica dei Soviet le ha impedito “di fare subito un passo in avanti tale da giustificare le previsioni dei socialisti e da permettergli di sviluppare con grandissima rapidità le forze produttive, di sviluppare tutte quelle possibilità, che messe assieme, avrebbero dato il socialismo, di dimostrare a tutti in modo evidente, lampante, che il socialismo racchiude in sé forze gigantesche e che l’umanità è ora passata ad una nuova fase di sviluppo, che racchiude in sé possibilità magnifiche” [5].
A complicare un quadro oggettivamente complesso occorre ricordare le difficoltà soggettive dovute al fatto che i dirigenti comunisti, prima di affrontare le difficoltà reali della transizione in un paese arretrato e isolato, si erano illusi – o avevano illuso per fini propagandistici – sulla possibilità di un passaggio immediato dalla democrazia formale borghese all’instaurazione della democrazia reale sovietica, dimenticando che essa non può sorgere “d’un sol colpo come Minerva dalla testa di Giove” [6]. Tanto più Lenin polemizza con chi, seguendo suggestioni anarcoidi, si illudeva che fosse possibile, una volta conquistato il potere, puntare da subito alla realizzazione di una società comunista, operando nella direzione di una rapida estinzione dello stesso Stato socialista.
Perciò Lenin ci tiene a sottolineare: “io sostengo invece, con una chiarezza che esclude qualsiasi possibilità di malinteso, la necessità dello Stato in questo periodo, però, d’accordo con Marx e con l’esperienza della Comune di Parigi, non di uno Stato parlamentare borghese ordinario, ma di uno Stato senza esercito permanente, senza una polizia opposta al popolo, senza una burocrazia posta al di sopra del popolo” [7]. D’altra parte, per quanto fosse certamente più realista della grande maggioranza dei rivoluzionari del tempo, sottolineando la necessità dello Stato socialista nel periodo della transizione alla società comunista, anche in Lenin vi erano evidentemente aspettative che dovevano rivelarsi utopiste, nel momento in cui l’auspicata rivoluzione in occidente sarebbe fallita. A quel punto, rimasta isolato e, quindi, aggredito da tutte le potenze dell’imperialismo lo Stato socialista non poteva certo pensare di sopravvivere rinunciando a un “esercito permanente”. La mancata estensione della Rivoluzione nei paesi a capitalismo avanzato, che era il fine stesso della Rivoluzione d’ottobre, non poteva, dunque, che rendere utopistiche le stesse dichiarazioni di Lenin sulla forma che avrebbe assunto lo Stato socialista.
Ecco, ad esempio, come si esprimeva Lenin a proposito del carattere politico dello Stato socialista: “qual è il suo carattere politico? La dittatura rivoluzionaria, cioè un potere che poggia direttamente sull’azione rivoluzionaria, sull’iniziativa immediata, dal basso, delle masse popolari, e non sulla legge emanata dal potere statale centralizzato” [8].
Per farci un’idea di come avrebbe dovuto essere lo Stato socialista, nel caso la Rivoluzione si fosse affermata anche nei paesi occidentali a capitalismo avanzato, e di quanto più avanzata sarebbe indubbiamente stata la democrazia sovietica nei riguardi della democrazia borghese, ridiamo la parola a Lenin, che delineava a pochi mesi dall’ottobre quelli che avrebbero dovuto essere le caratteristiche del potere sovietico: “questo potere è dello stesso tipo di quello della Comune di Parigi del 1871. Eccone i caratteri fondamentali: 1) la fonte del potere non è la legge, preventivamente discussa e votata dal parlamento, ma l’iniziativa diretta, locale, dal basso, delle masse popolari, la ‘conquista’ diretta del potere, per usare un’espressione corrente; 2) la polizia e l’esercito permanente, in quanto istituti separati dal popolo e ad esso opposti, vengono sostituiti dall’armamento diretto di tutto il popolo; sotto questo potere, l’ordine pubblico è tutelato dagli stessi operai e contadini armati, dallo stesso popolo in armi; 3) i funzionari, la burocrazia o vengono sostituiti anch’essi dal potere diretto del popolo o, per lo meno, vengono posti sotto uno speciale controllo, e non soltanto vengono eletti, ma sono persino revocati alla prima richiesta del popolo e messi nella condizione di semplici delegati; da strato privilegiato, con ‘sinecure’ e alte prebende borghesi, diventano operai di una particolare ‘specialità’ e sono retribuiti in misura non superiore al salario abituale di un buon operaio” [9].
Queste osservazioni di Lenin sono essenziali per comprendere quale scenario imprevisto ed estremamente complicato si doveva produrre con la tragica necessità di costruire il socialismo in un solo paese, per altro in gran parte estremamente arretrato. In tale inedito scenario non possono che apparire utopistiche le prospettive delineate da Lenin alla vigilia della Rivoluzione: “la Comune sostituisce questo parlamentarismo venale e corrotto della società borghese con istituzioni in cui la libertà di opinione e di discussione non degenera in inganno; poiché i parlamentari debbono essi stessi lavorare, applicare essi stessi le loro leggi, verificarne essi stessi i risultati, risponderne essi stessi davanti ai loro elettori” [10].
Tanto più che la lotta alle vecchie forme statuali della società civile borghese non sempre è proceduta di pari passo con il reale funzionamento delle istituzioni sovietiche, impedito dallo stato d’eccezione reso necessario dallo stato d’assedio imposto dalle potenze imperialiste. Tali difficoltà sono accentuate dalla necessità di rispondere, forzando in modo soggettivo il corso storico, alle critiche rivolte tanto dagli opportunisti di destra, quanto dagli estremisti di sinistra di tradire gli obiettivi del socialismo. Così la giusta esigenza democratica di superare dialetticamente la volontà di tutti, difesa pretestuosamente dal liberalismo, nella volontà generale non sempre ha condotto ad una negazione determinata e non assoluta della democrazia formale. Allo stesso modo la necessità di rendere reale la libertà degli individui e l’eguaglianza giuridica mediante l’eguaglianza delle opportunità ha finito per sacrificare troppo la prima a vantaggio della seconda. Altre misure democratiche assunte dallo Stato sovietico hanno avuto la funzione essenziale di liberare gli apparati statuali dal dominio della burocrazia borghese, senza riuscire a risolvere la questione d’un nuovo ceto burocratico che rischiava di rendere formale il potere delle masse esercitata mediante i soviet.
Note
[1] V.I. Lenin, I bolscevichi conserveranno il potere statale? (ottobre 1917), in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 232.
[2] Id., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (ottobre-novembre 1918), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 358.
[3] Id., Tesi sull’assemblea costituente (dicembre 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 278
[4] Id., I bolscevichi…, in Sulla rivoluzione… op. cit., pp. 233-34.
[5] Id., Meglio meno, ma meglio (marzo 1923), in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 33, p. 455.
[6] Id., Lettera agli operai americani (agosto 1918), in Opere…, cit., vol. 28, p. 74.
[7] Id., Lettere sulla tattica (aprile 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 122.
[8] Id., Sul Dualismo di potere (aprile 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 128.
[9] Ivi: p. 129.
[10] Id., Stato e rivoluzione (agosto-settembre 1917), in Sulla rivoluzione… op. cit., p. 162.