Secondo Lenin non ci si può limitare a reprimere gli avversari della transizione al socialismo, ma occorre adoperarsi affinché essi si vedano necessitati a operare nel quadro della nuova struttura socio-economica e della corrispondente sovrastruttura giuridico-statuale. A tal proposito, anche con il fine di superare dialetticamente i limiti del terrore giacobino, “non abbiamo soltanto bisogno di ‘terrorizzare’ i capitalisti, di far cioè in modo che essi sentano l’onnipotenza dello Stato proletario e non possono pensare alla resistenza attiva contro di esso, ma anche di spezzare la loro resistenza passiva incontestabilmente più pericolosa e più dannosa dell’altra. Non dobbiamo soltanto spezzare qualunque resistenza, ma dobbiamo anche obbligare i nostri nemici a lavorare nel quadro della nuova organizzazione statale. Non basta ‘cacciare’ i capitalisti, bisogna metterli al servizio del nuovo Stato (dopo aver cacciato gli inutili, gli ‘irriducibili’). E questo vale sia per i capitalisti che per un certo strato superiore di intellettuali borghesi, di impiegati, ecc. E noi abbiamo i mezzi per farlo. Abbiamo i mezzi e le armi dello stesso Stato capitalista belligerante. Queste armi sono il monopolio del grano, la tessera del pane, l’obbligo generale del lavoro” [1].
Ciò vale anzitutto per intellettuali e tecnici borghesi che, una volta conquistati alla causa della costruzione della nuova società, costituiscono insieme alla classe operaia la principale risorsa nel processo di transizione. Del resto l’avvento del socialismo è impossibile senza che vi siano “i presupposti materiali, tecnici del lavoro realizzato su scala gigantesca e fondato sui dati della scienza, e perciò sulla preparazione di un numero vastissimo di specialisti con una formazione scientifica” [2], presupposti che nei paesi occidentali è il capitalismo stesso a porre.
Quali sono, dunque, si domanda Lenin, gli unici fondamenti stabili nella costruzione della transizione al socialismo? “Di quali elementi disponiamo per costruire un tale apparato? Di due soltanto. In primo luogo, degli operai, impegnati nella lotta per il socialismo. Questi elementi non sono abbastanza istruiti. Essi vorrebbero darci un apparato migliore, ma non sanno come farlo, non possono farlo; non hanno potuto finora acquisire la cultura che è indispensabile per farlo. (…) In secondo luogo, gli uomini che sanno, che sono istruiti, e che sanno insegnare, sono da noi, in confronto a tutti gli altri Stati, in numero esiguo sino al ridicolo” [3].
Inoltre, per quanto riguarda in generale il ruolo che svolgono gli intellettuali tradizionali nella fase post rivoluzionaria, Lenin sottolinea che anche tale “questione viene decisa dalla lotta delle classi, e la maggioranza degli intellettuali propende verso la borghesia. Non con l’aiuto degli intellettuali, ma nonostante la loro resistenza (almeno nella maggior parte dei casi) il proletariato vincerà, scarterà dal suo cammino gl’intellettuali borghesi incorreggibili, riforgerà, rieducherà, sottometterà gl’intellettuali esitanti e li attrarrà gradatamente in sempre maggior numero dalla sua parte” [4]. È, dunque, indispensabile in un paese arretrato come la Russia mettere al lavoro gli specialisti formatisi nella precedente società anche concedendogli, in deroga ai princîpi del socialismo, salari più elevati di quelli del proletariato. Scrive, a tal proposito, Lenin: “daremo a tutti questi lavoratori un lavoro appropriato alle loro forze e alle loro abitudini; molto probabilmente non istituiremo che gradualmente l’eguaglianza completa nella retribuzione del lavoro, conservando durante il periodo di transizione una ricompensa più alta per tali specialisti. Ma li sottometteremo al controllo operaio più completo e otterremo l’applicazione completa e incondizionata della regola: ‘chi non lavora non mangia’” [5].
Quindi, dal momento che tali “esperti” saranno inevitabilmente condizionati dai costumi della società precedente sarà, dunque, indispensabile porli sotto il controllo dell’avanguardia operaia. Da questo punto di vista diviene indispensabile, per preservare la forma socialista del nuovo Stato, il controllo del proletariato sulla struttura burocratica mediante l’Ispezione operaia e contadina. Proprio per questo Lenin dedicherà le ultime energie della propria vita alla riorganizzazione di tale istituto, che deve esser diretto dai “migliori elementi esistenti nel nostro regime sociale – cioè, innanzitutto, gli operai d’avanguardia, e, in secondo luogo, gli elementi veramente istruiti, per i quali si può essere certi che non prenderanno nessuna parola per oro colato e non ne pronunceranno nessuna contraria alla loro coscienza”[6]. Si tratta d’una mansione da svolgersi con grande cautela, evitando ogni imposizione sulla base del principio d’autorità. Perciò l’Ispezione operaia e contadina dovrà, per svolgere adeguatamente il proprio delicatissimo compito, imparare “ad apprezzare la scienza, a ripudiare la boria ‘comunista’ dei dilettanti e dei burocrati” [7]. Al punto che Lenin arriva a sostenere che occorre sempre rammentare che uno “specialista”, ad esempio un ingegnere, “giungerà al comunismo diversamente da come vi è giunto un propagandista clandestino, un pubblicista, cioè attraverso i dati della sua scienza. (…) Il comunista che non ha dimostrato la sua capacità di coordinare e dirigere modestamente il lavoro degli specialisti approfondendo la questione, studiandola particolareggiatamente, è spesso dannoso. Abbiamo molti comunisti di questo tipo, e io ne darei delle dozzine per un solo specialista borghese competente, che studi coscienziosamente il suo lavoro” [8]. Si dovrà, dunque, essere disponibili ad apprendere dagli esperti le cognizioni tecnico-scientifiche incitandoli, al contempo, ad allargare i propri orizzonti al di là delle loro competenze specifiche.
Perciò, come è noto, alla questione di quale fosse il compito fondamentale, in primo luogo per la gioventù comunista – ma più in generale per ogni organizzazione funzionale allo Stato socialista – Lenin rispondeva: “i compiti della gioventù in generale e i compiti dell’unione della gioventù comunista e d’ogni altra organizzazione in particolare potrebbero essere espressi con un termine solo: studiare” [9]. Più nello specifico Lenin sottolinea che, innanzitutto “l’Unione della gioventù e tutti i giovani in genere, se vogliono passare al comunismo, devono studiare il comunismo” [10]. Tale studio non deve essere né superficiale né condotto in modo dogmatico in quanto, come osserva Lenin, “sarebbe sbagliato pensare che basti far proprie le parole d’ordine comuniste, le conclusioni della scienza comunista, senza essersi impadroniti del complesso di conoscenze di cui lo stesso comunismo è il risultato” [11]. Ciò spiega il rilievo dato da Lenin all’educazione delle nuove generazioni volta all’acquisizione del marxismo non in forma dogmatica, ma come coronamento dell’intero sviluppo scientifico-filosofico precedente. In effetti, fa notare a tal proposito Lenin, “se domandaste perché la dottrina di Marx sia riuscita a conquistare i cuori di milioni e di decine di milioni di rappresentanti della classe più rivoluzionaria, potreste avere una sola risposta: ciò è accaduto perché Marx ha fatto leva sul solido fondamento delle conoscenze umane acquisite sotto il capitalismo. (…) Marx ha rielaborato criticamente, senza tralasciare un sol punto, tutto quello che la società umana aveva creato. (…) Senza aver capito chiaramente che solo se conosciamo esattamente la cultura creata dall’umanità nel corso di tutto il suo sviluppo, solo se rielaboriamo questa cultura, possiamo costruire la cultura proletaria, senza aver capito chiaramente questo fatto non si può assolvere un tale compito” [12].
D’altra parte, Lenin passa a sottolineare l’indispensabile legame fra teoria e prassi: “senza il lavoro, senza la lotta, la conoscenza libresca del comunismo, acquisita attraverso la lettura degli opuscoli e degli scritti comunisti, non vale un bel niente, perché non farebbe che perpetuare il vecchio distacco tra la teoria e la pratica, quel vecchio distacco che costituiva il tratto più ripugnante della vecchia società borghese” [13]. A tale proposito, Lenin insiste sulla necessità di fornire alle giovani generazioni un sapere pratico, concreto e morale in quanto capace di mettersi costantemente alla prova mediante le difficoltà specifiche che affronta di volta in volta la costruzione del socialismo.
Si tratta, più in generale, di un compito determinante la funzione stessa dell’avanguardia che dovrà costantemente approfondire teoricamente le questioni pratiche di volta in volta incontrate, vagliandole costantemente nel lavoro concreto. Come osserva a questo proposito: “se un comunista pensasse di menar vanto del suo comunismo in base alle conclusioni bell’e fatte di cui si è impadronito, senza aver compiuto un lavoro importante, molto serio e difficile, senza aver compreso i fatti verso cui deve assumere un atteggiamento critico, un tale comunista sarebbe ben triste. E questa superficialità sarebbe assolutamente rovinosa” [14].
Al contrario, coloro che si sono assunti il grandioso compito della transizione a una società socialista, coloro che hanno, in particolare, la grande ambizione di svolgere un ruolo di avanguardia in questo processo potranno assolverlo, sottolinea Lenin, solo se sapranno “trasformare il comunismo da formule, consigli, ricette, prescrizioni, programmi già pronti e imparati a memoria in qualcosa di vivo, che dia organicità” al proprio “lavoro immediato”, solo se sapranno “fare del comunismo una guida” per il loro “lavoro pratico” [15].
In conclusione, il modo in cui si potrà davvero apprendere, per chi intenda avvicinarvisi e per le nuove generazioni, il comunismo, costituirà, sottolinea Lenin, nel connette “ogni passo del suo studio, della sua educazione e istruzione, con la lotta ininterrotta dei proletari e dei lavoratori contro la vecchia società sfruttatrice”. Tanto più che, per poter costruire una società realmente socialista, ci sarà bisogno, osserva Lenin, “della nuova generazione, dei giovani che hanno cominciato a trasformarsi in uomini coscienti in una situazione di lotta accanita e disciplinata contro la borghesia. In questa lotta i giovani educheranno dei veri comunisti, a questa lotta essi devono subordinare e collegare ogni loro passo nello studio, nell’istruzione e nell’educazione” [16]. Tanto più che, come fa notare a ragione Lenin, non si può aver “fiducia nello studio, nell’educazione e nella formazione” sino a quando restano “confinati esclusivamente nella scuola e avulsi dalla vita tempestosa”. Tanto più che, “fino a quando gli operai e i contadini continuano a essere oppressi dai grandi proprietari fondiari e dai capitalisti, fino a quando le scuole rimangono nelle mani dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti, la giovane generazione” non potrà che restare “cieca e ignorante” [17].
Note
[1] V. I. Lenin, I bolscevichi conserveranno il potere statale? [settembre-ottobre 1917], in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 239.
[2] Id., Discorso al I Congresso dei Consigli dell’economia nazionale [maggio 1918], in Sulla rivoluzione… cit., pp. 328-29.
[3] Id., Meglio meno, ma meglio [marzo 1923], in Sulla rivoluzione… cit., p. 597.
[4] Id., La grande iniziativa [giugno 1919], in Sulla rivoluzione… cit., p. 421.
[5] Id., I bolscevichi … cit, in Sulla rivoluzione… cit., p. 240.
[6] Id., Meglio… cit., in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 33, p. 447.
[7] Id., Il piano economico unico [febbraio 1921], in Sulla rivoluzione… cit., p. 559.
[8] Ivi, pp. 561-62.
[9] Id., I compiti delle associazioni giovanili [ottobre 1920], in Sulla rivoluzione… cit., p. 521.
[10] Ivi, p. 522.
[11] Ivi, p. 524.
[12] Ivi, p. 525.
[13] Ivi, p. 523.
[14] Ivi, p. 526.
[15] Ivi, p. 529.
[16] Ivi, p. 533.
[17] Ivi, p. 534.