In primo luogo, è figlia delle costituzioni sorte dalla spinta propulsiva della Rivoluzione d’ottobre l’idea che oltre alla democrazia formale, all’eguaglianza dei diritti giuridico-politici rivendicati dalla tradizione democratica, si debba sviluppare una democrazia reale, fondata sui diritti sociali ed economici. Tale concezione è stata riconosciuta tanto dalla Costituzione italiana, quanto dallo Statuto delle Nazioni unite, tanto che può apparire oggi un qualcosa di scontato, di definitivamente acquisito. Tuttavia, non solo tale concezione è estranea storicamente alla cultura liberale, ma chi si richiama ai “puri ideali” di quest’ultima, come i neoliberisti, non ha potuto che accusare – come ha fatto esemplarmente Friedrich von Hayek – lo statuto dell’Onu di essere ispirato alla tradizione marxista affermatasi con la Rivoluzione d’ottobre. Del resto, critiche analoghe sono state del rivolte, primo fra tutti da Silvio Berlusconi, alla stessa Costituzione italiana.
Si potrebbe, quindi, sostenere con Losurdo che come il cristianesimo, attraverso il quinto comandamento – "non uccidere" –, ha dato un indispensabile contributo all’affermazione, sul piano planetario, del tabù dell'omicidio, alla Rivoluzione d'Ottobre va riconosciuto l’imprescindibile contributo dato al superamento delle tre grandi discriminazioni, ascrivibili alla tradizione liberale, che ostacolavano lo sviluppo della stessa democrazia formale, ovvero dei diritti politici e dello stesso diritto di voto: le discriminazioni censitaria, di genere e razziale.
In effetti, per limitarci a un solo emblematico esempio, l’Italia governata sin dalle proprie origini da liberali, soltanto con Giovanni Giolitti nel 1912 ha esteso i diritti di cittadinanza a quasi tutta la popolazione maschile adulta. D’altra parte all’autocelebrazione liberale che fa vanto di tale “concessione”, faceva già allora eco il controcanto di Lenin, il quale osservava a ragione come l’estensione del suffragio da parte dei liberali italiani mirasse ad allargare la base sociale di consenso per l’aggressione imperialistica della Libia, ovvero di una “tipica guerra coloniale di uno stato ‘civile’ del secolo XX”. Tale “impresa” liberale era così descritta da Lenin in “La fine della guerra dell’Italia contro la Turchia” del 28 settembre 1912: “una nazione civile e costituzionale” procede nella sua opera di “civilizzazione” “mediante le baionette, le pallottole, la corda, il fuoco, gli stupri”, persino con la “carneficina”; è “un macello di uomini, civile, perfezionato, un massacro di arabi con armi ‘modernissime’”.
Dunque, le conquiste rivoluzionarie, in quanto tendono a modificare leggi, costumi e istituzioni, divenendo così componenti dell’eticità condivisa da una civiltà storica, corrono sempre il rischio – soprattutto per le generazioni nate in seguito, generalmente ignare delle lotte e delle enormi sofferenze che sono costate – di essere “naturalizzate”, dimenticando che tali conquiste possono essere mantenute e consolidate soltanto portando avanti la lotta rivoluzionaria che le ha prodotte. Altrimenti esse saranno inevitabilmente rimesse in discussione al fine di cancellarle, dalle ingenti forze che per difendere i propri irrazionali privilegi si battono per la dis-emancipazione del genere umano e ciò vale tanto per l’Italia, a partire dai valori della Costituzione sino a quanto resta dello “Stato sociale”, quanto per paesi socialisti come la Repubblica popolare cinese o Cuba.
In ogni caso, come ai tempi dei ragazzi sovietici nati dopo la rivoluzione e la sua eroica difesa durante la Seconda guerra mondiale, non è certo facile far comprendere alle giovani generazioni che le conquiste socialiste non sono state un regalo del cielo, ma il prodotto di una grande epopea iniziata oltre un secolo e mezzo fa, costata fiumi di lacrime e sangue. La questione è, dunque, come riuscire a trasmettere alle nuove generazioni l’impegno, il coraggio, la volontà e la fiducia nella possibilità di trasformare radicalmente il mondo, ovvero quegli ideali che avevano guidato il proletariato dotato di coscienza di classe sovietico e poi cinese, vietnamita e cubano, ma anche italiano ai tempi della resistenza, in un poderoso assalto al cielo.
Per quanto riguarda i diritti socio-economici decisivi, come la garanzia degli standard di vita, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la fornitura di alloggi, il lavoro e la riduzione delle piaghe sociali, molti paesi occidentali nei tempi attuali non possono ancora paragonarsi all’ex Unione Sovietica.
Grazie alla Rivoluzione la Russia e ancora di più le altre repubbliche sovietiche si sono trasformate, nel giro di pochi decenni, da paesi agricoli spaventosamente arretrati, nella prima potenza industriale europea e la seconda a livello mondiale. La faccia del paese è stata, dunque, radicalmente trasformata e il livello e la qualità di vita della popolazione sono completamente mutate rispetto a un passato per lo più oscurantista. I proletari con le loro lotte riuscirono a ottenere una sicurezza sociale che nessuno Stato borghese a quel tempo poteva garantire. Al posto di quello che era stato definito il “bastione della reazione” sorgeva ora una comunità di nazioni socialiste: l’URSS. Per recuperare il distacco economico e sociale rispetto ai Paesi più avanzati, la nuova economia pianificata ha accelerato l’industrializzazione e rivoluzionato l’agricoltura, sulla base di diversi livelli di proprietà collettiva. L’edificazione del socialismo ha prodotto, dunque, uno sviluppo spettacolare della vita sociale.
In pochi anni dalla Rivoluzione scomparve la disoccupazione. I lavoratori non sperimentavano più l'insicurezza e l'ansietà cui sono costretti ancora oggi i lavoratori nei paesi capitalistici a causa della precarizzazione del lavoro e dell’occupazione. Dal 1956 fu introdotta la giornata lavorativa di 7 e poi di 6 ore, così come la settimana di cinque giorni lavorativi. Fu assicurato tempo libero a tutti i lavoratori e il potere sovietico realizzò le infrastrutture per goderne appieno, dalle case per la villeggiatura ai campeggi. La previdenza è sempre stata un interesse primario per lo Stato sovietico. Così il diritto alla pensione era universale, dall'età di 55 anni per le donne e 60 per gli uomini. I fondi per la previdenza erano coperti dal bilancio dello Stato e dai contributi delle imprese socializzate. L’espansione della costruzione di abitazioni e i prezzi mantenuti stabili, la salute fisica ed etica della società e un alto livello culturale erano valori fondamentali che assicuravano la crescita demografica e la sicurezza sociale garantita a ogni cittadino.
Perciò la Rivoluzione d’Ottobre fa indubbiamente ancora tanta paura alla borghesia – che non a caso, quindi, fa di tutto per demonizzarla – in quanto: 1) solo grazie a essa milioni di individui delle classi popolari hanno potuto finalmente svolgere un ruolo da protagoniste nel palcoscenico della storia universale, grazie alla ferma determinazione a cancellare con ogni mezzo secoli di soprusi e sfruttamento; 2) in quanto ha avuto il merito di far comprendere all'umanità che i rapporti di produzione capitalistici non sono "naturali" e dunque eterni, immutabili. Ha fatto comprendere che nemmeno i padroni, i proprietari monopolistici dei mezzi di produzione e riproduzione e gli sfruttatori lo sono. In tal modo ha gettato nel panico la borghesia, come precedentemente la Rivoluzione francese aveva fatto impazzire l'aristocrazia, dimostrando che i suoi secolari privilegi non si fondavano sulla volontà divina. 3) La Rivoluzione d’Ottobre è stato un evento di enormi proporzioni storiche, il più grande del XX secolo, che ha fortemente influenzato per circa un secolo, con la sua eccezionale spinta propulsiva, il processo di emancipazione dell'umanità, favorendo le forze che si battevano per essa di contro a quelle che tentavano di impedirla. 4) Con la Rivoluzione del 1917 la società non più fondata sullo sfruttamento, sul monopolio privato dei mezzi di produzione, sulla dittatura della borghesia, auspicata dal marxismo e considerata utopista dall’ideologia dominante è divenuta realtà. Il comunismo, sino ad allora, generalmente ancora considerato un fantasma che s’aggirava per l’Europa, assunse forma concreta nel potere proletario, dimostrando che è possibile una società governata dai produttori, senza sfruttatori, fondata sull’idea di uno sviluppo economico razionale ed equilibrato secondo un piano basato sui bisogni e non su un mercato irrazionale fondato sulla sete individuale di profitto. 5) La dittatura del proletariato è indubbiamente quantomeno in sé più democratica della dittatura della borghesia. In effetti, mentre nel capitalismo gli sfruttatori esercitano la propria dittatura sul proletariato trasformando i governi democratici in comitati d’affari della borghesia, distruggendo il vecchio ordinamento di sfruttamento capitalista la Rivoluzione di ottobre ha permesso al proletariato di diventare classe dominante, instaurando la propria dittatura che potenzialmente costituisce la massima forma di democrazia possibile in una società divisa in classi, in quanto rappresenta il dominio di tutte le classi sociali medio-basse sfruttate dalla grande borghesia, ossia la dittatura della grande maggioranza, delle masse popolari su una esigua minoranza di sfruttatori.
La Rivoluzione ha dato impulso, sin da subito, a un poderoso e mai statico dibattito sulla questione dell’emancipazione della donna, che doveva condurre a una radicale riforma del diritto di famiglia, dibattito che ha poco da invidiare anche rispetto a quello attuale. Il potere sovietico ha così gettato le basi per abolire la discriminazione e l'oppressione delle donne, a partire dalla tutela della maternità come essenziale questione sociale e non come fatto privato o dovere familiare. Alleviò le donne di molte responsabilità nella cura della famiglia, attivando un sistema statale gratuito che ha contribuito realmente a emanciparle dalla schiavitù domestica impostale dalla società patriarcali. Per la prima volta in assoluto ha fatto il possibile per sradicare pregiudizi secolari, scontrandosi senza timore con enormi difficoltà oggettive. Anche se tutto questo non ha comportato il completo superamento di ogni disuguaglianza tra donne ed uomini, è certo che il potere sovietico ha offerto un poderoso contributo alla lotta delle donne per sollevarsi dallo stato di subalternità cui le precedenti società classiste le avevano condannate.
Inoltre, l’assistenza sanitaria e l’istruzione sino ai più alti livelli per i meritevoli sono divenute, nello Stato dei soviet, completamente gratuite. Del resto, lo sforzo per innalzare il livello di istruzione pubblica a tutti i livelli, è stata una caratteristica costante della politica sovietica. Lo stato sorto dalla Rivoluzione ha garantito, nonostante lo stato di assedio e di guerra da subito impostogli da tutte le potenze capitaliste internazionali, risorse per l'educazione artistica fin dalla più tenera età, finalizzate allo sviluppo della creatività.