Dal 23 gennaio in Cina è in corso una quarantena estrema e forzata. Si è fermata l’economia, il turismo, i viaggi, gli uffici e le scuole, con l’ordine di restare a casa sino a nuove disposizioni del governo e il campionato di calcio è stato immediatamente interrotto, senza alcuna lamentela. Il risultato è che da due giorni non si verificano nuovi casi in Cina al di fuori di Wuhan (epicentro della diffusione del Virus, dove si contano 36 nuovi casi) [1]. 11 dei 14 centri speciali creati apposta per l’emergenza sono stati chiusi. Il Paese è stato fermato, con la promessa che lo Stato avrebbe sostenuto i corsi della ripresa post-virus. Nel Paese più popoloso al mondo, grazie anche a servizi come gli ordini della spesa online e decreti come le chiusure dei supermercati, il virus sta facendo i suoi primi passi indietro.
In Italia, ad oggi primo Paese per contagio in Europa e secondo nel mondo [2], il sistema sanitario sta rispondendo con tutte le sue forze all’emergenza e il fatto di avere uno dei sistemi sanitari migliore d’Europa aiuta la salute dei cittadini. La Francia raggiunge la seconda posizione in Europa per contagi (seppur in minor misura rispetto all’Italia) e in Germania si sono verificati i primi due decessi.
Alla luce dei fatti la priorità rimane senza dubbio quella della salute collettiva; seguire i consigli dei virologi e dei medici e sostenere ospedali e infermieri italiani per allentare la morsa del contagio è di fondamentale importanza.
Tuttavia, il post-virus che verrà ci sottopone una serie di considerazioni e di analisi da dover affrontare per fare i conti con il nostro sistema culturale ed economico.
Paragonare le due situazioni vuol dire studiare le risposte di due modelli diversi alla stessa problematica. E ciò si scontra con quella mentalità da “cortina di ferro” che non vede la possibilità di uno scambio tra i due modelli. Se il modello cinese non va preso come esempio, senza dubbio la sua risposta al Virus può farci riflettere sui problemi dell’Italia e dell’occidente. Il caso cinese ci mostra che bloccare l’economia è possibile e talvolta è anche necessario.
Gli infermieri degli ospedali italiani, insieme a tutte le difficoltà del caso, imprevedibili fino a qualche settimana fa, devono affrontare anche altri problemi che in Cina sono stati eliminati ben prima dell’emergenza Corona Virus. Una buona parte della popolazione disobbedisce alle norme della quarantena in nome di una libertà individuale che fino a qualche mese fa non sembrava nemmeno esistere. Il fatto è che non si vuole fermare la macchina del denaro e gli ingranaggi del mercato vanno unti quotidianamente, a costo di un pericoloso contagio.
Inoltre vengono a galla le conseguenze di anni di politiche di privatizzazione della sanità: da destra a sinistra sembrava necessario agevolare le cliniche private e ora la sanità pubblica sente l’impoverimento dovuto a queste decisioni, mentre si cercano accordi per recuperare i lettini dagli ospedali privati. Dal 1997 al 2015 è stato effettuato un taglio alla sanità pubblica del 51%, da 575 lettini ogni 100 mila abitanti a 275 posti. Tra il 2009 e il 2017 gli ospedali pubblici hanno perso più di 46 mila dipendenti [3].
A conti fatti, ci sono mostrate le falle di un sistema intero. Prima le crepe della nostra economia che ha per anni privatizzato e tagliato nel pubblico senza freni agevolando privati che, in queste emergenze, fanno comodo solo a chi può permettersi certe cure. In seguito si apre una crepa profondissima in una cultura nata e costruita su un individualismo embrionale, incapace di rispondere a conflitti che vanno affrontati collettivamente. È in nome di queste libertà individuali che diventa difficile per un governo imporre certi ordini e scandaloso per i cittadini accettarli. Ciò che in Cina viene imposto con la forza qui dovrebbe nascere da un senso comune di collettività che non appartiene alla nostra civiltà. Il credo occidentale sul primato della libertà dell’individuo, pregio e difetto della storia della nostra civiltà, entra in crisi in questi momenti storici, quando bisogna rinunciare a una parte della propria libertà per la collettività.
Il modello cinese ci mostra come il primato della politica sull’economia debba esser ripreso proprio per fronteggiare questi momenti critici, per ricordare ai popoli di tutto il mondo che la salute di tutti è la priorità e i costi delle perdite economiche vanno calcolati in separata sede.
Se davvero l’Unione Europea vuole avere il suo ruolo nella risoluzione di questo problema, dovrà arrivare proprio da lì l’aiuto per la ripresa economica. Al momento, sembra andare in direzione contraria la BCE che non taglia i tassi di interesse sul debito, lasciando al palo l’Italia [4]. Se la Cina può contare su un’economia forte, l’Italia e i Paesi europei devono poter contare su un’Unione che, se ha mostrato profondo disinteresse per la questione migranti, non potrà fare lo stesso nel caso di un contagio continentale o nel caso del collasso dell’economia italiana che si riverserebbe sui Paesi più potenti del continente. Se è necessario bloccare il Paese e la sua economia, come l’Italia si accinge a fare in questi giorni, devono essere prese tutte le misure adatte: sospendere immediatamente le rate dei mutui, degli affitti e delle bollette per le categorie di lavoratori più colpite dalle restrizioni. Questo è possibile solo nel caso in cui venga assicurata una manovra economica futura per andare a ‘tappare i buchi’ lasciati dal virus.
Ed è con le future perdite che lo Stato deve fare i conti prima di queste catastrofi, evitando la privatizzazione di settori come la sanità, durante, con delle regole ferree a costo di bloccare l’economia del Paese, e dopo, assicurando di sostenere i costi della ripresa economica per tutti.
Note:
[1] Così ha funzionato il modello cinese: a Wuhan solo 36 nuovi casi
[3] Emergenza coronavirus, i tagli alla sanità che non bisognava fare