PARIGI. Il premio Pritzker, il premio architettonico più prestigioso al mondo, è stato assegnato a Balkrishna Doshi, discepolo di Le Corbusier. A 90 anni, il vincitore del 2018 è il più vecchio, ma è anche il primo indiano a vincere.
Balkrishna Doshi è noto internazionalmente per la sua architettura modernista che in parte contrasta con l’India ancora tradizionalista. Ha integrato gli aspetti salienti della cultura del Paese e delle sue tradizioni con le sue opere. Doshi è conosciuto anche per il suo impegno a favore di un’architettura sostenibile e per l'edilizia a basso costo.
Tra le sue opere va ricordata l'ensemble Aranya di Indore, nello regione indiana del Madhya Pradesh, un progetto gigantesco costituito da un insieme di edifici di un piano costruito negli anni '80 per cercare di affrontare e risolvere una gravosa crisi abitativa nella regione.
Oggi sono circa 80.000 persone che vivono in una delle 6.500 case costruite nella realizzazione del progetto.
Un fautore dell’architettura sostenibile, così Balkrishna Doshi riteneva l'architettura un'estensione del corpo umano, desiderando l’armonia con il suo ambiente, intendendo clima, paesaggio e urbanistica in questo armonico divenire.
I risultati ottenuti da Balkrishna Doshi rispettano la cultura orientale e migliorano la qualità della vita in India, ha sottolineato la giuria del premio Pritzker.
"Devo questo premio al mio guru, Le Corbusier", ha commentato Doshi ricevendo il premio che è considerato l'equivalente del Premio Nobel per l'architettura.
Nel corso degli anni, Balkrishna Doshi ha sempre creato un'architettura seria, mai appariscente o di tendenza, dicono i suoi estimatori. Egli è estremamente consapevole del contesto in cui si trovano i risultati concreti dei suoi progetti. Le sue soluzioni tengono conto delle dimensioni sociale, ambientale ed economica e, come tale, la sua architettura è completamente in contatto con la nozione di sostenibilità. Decano dell’architettura indiana, Doshi si è impegnato per decenni nella costruzione di alloggi a basso costo a servizio delle grandi masse degli inurbati nelle campagne indiane e lo si può ritenere un “ponte” tra Occidente e Oriente.
Nato a Pune nel 1927, la sua famiglia era borghese, industriali e commercianti nel settore del legno. Si laureò nell’anno dell’indipendenza del suo Paese (1947) a Mumbai e poi partì subito per Londra. Qui nel 1951 seguì una conferenza di Le Corbusier che decise di assumerlo immediatamente anche avendo appena ricevuto da Nehru l’incarico per la progettazione di Chandigarh, la nuova capitale del Punjab. Doshi lavorò per sei anni nello studio del maestro svizzero-francese è divenne presto il suo “luogotenente” sul campo, anche per altri progetti che si svilupperanno ad Ahmedabad. Tra il 1951 e il 1957 Le Corbusier progettò quattro edifici: Villa Shodhan, Villa Sarabhai, il Palazzo dei filatori, il Museo Sanskar Kendra. Ad Ahmedabad, mentre sovrintendeva alla loro costruzione, Doshi si stabilì definitivamente.
Collaborò con un altro grande maestro dell’architettura del secolo scorso, l’americano Louis Kahn. Nel 1962 Doshi partecipa alla costruzione dell’Indian Institute of Management di Ahmedabad. La collaborazione decennale porterà Kahn a diventare docente nella locale scuola di architettura fondata da Doshi nel 1966. Le Corbusier e Kahn, con le loro grandi opere in Oriente fra gli anni ’50 e ’60, hanno favorito il “tramonto dell’Occidente” nell’architettura contemporanea, perché da allora in poi la disciplina e i suoi protagonisti si sono globalizzati in modo crescente anche grazie alle culture locali.
Le opere di Doshi sono oggi giudicate più vicine alle tradizioni costruttive indigene, per i materiali e per la spazialità, favorendo ampi ambienti coperti serviti da una ventilazione naturale come lo studio Sangath del 1981. Esse sono comunque impregnate di Occidente, grazie agli intensi anni di scambi culturali favoriti dai Ciam e dal Team 10. Vanno qui ricordate le fascinazioni indiane che sperimentò Le Corbusier nel lussuoso quartiere di Neully-sur-Seine. Si capisce perché Doshi abbia dedicato proprio al suo antico maestro il Pritzker ricevuto qualche giorno fa. Grazie a Le Corbusier, infatti, è riuscito a portare l’architettura indiana dagli anni della modernizzazione frutto dei grandi progetti in serie e delle new town fino alla riscoperta identità nazionale, come eseguito anche da altri ottimi grandi architetti come Charles Correa e Raj Rewal. Sulla rivista Spazio e società, Doshi nel 1987 scrisse: “Le forme e i metodi tradizionali non sono più visti come fatti ‘esotici’, privi di senso in una società industrializzata, ma come soluzioni ancora valide purché correttamente reinterpretate nel contesto contemporaneo”.