Erich Fromm, riflessioni sulla libertà

I filosofi politici moderni hanno elaborato molteplici interpretazioni del concetto di libertà; tuttavia, secondo Fromm, non è sufficiente che siano garantite le condizioni materiali emancipatorie perché l’uomo possa davvero essere detto “libero”. È piuttosto indispensabile che egli sappia esprimere appieno la propria natura, facendosi partecipe di una rivoluzione psicologica, in parallelo a quella materiale.


Erich Fromm, riflessioni sulla libertà

Uno dei valori che maggiormente gli uomini hanno cercato di perseguire nella modernità, attraverso molteplici rivoluzioni, è quello della libertà, concetto che è in effetti di conio recente, e nell’antichità non era contemplato con caratteri affini a quello odierno. Le dottrine politiche sviluppatesi negli ultimi secoli possono essere interpretate come delle diverse modalità di attualizzazione del valore della libertà, secondo Petrucciani: il liberalismo ha come proprio fine quello della promozione della libertà economica, la democrazia della libertà politica ed il socialismo della libertà generata dalle pari condizioni fornite a ciascun individuo. Ciascuna di queste dottrine richiede che siano garantite ad ogni cittadino le medesime prerogative, e che la società abbandoni la strutturazione castale e gerarchica tipica dei sistemi antichi e schiavistici, motivo per cui il valore di libertà moderno è strettamente connesso con quello di uguaglianza (tanto che Balibar si appella a questa sintesi fra concetti con il termine di egaliberté). [1] [2] 

Il fatto che queste dottrine politiche sviluppino molteplici modalità di declinare le strategie di attualizzazione della libertà testimonia che anche a livello filosofico le interpretazioni di questo fondante valore non siano affatto omogenee fra i pensatori. Di fatto, i moderni guardano alla libertà attraverso due lenti, quella della negatività (libertà come assenza di vincoli, come per Hobbes) e quella della positività (libertà come possibilità d’azione, come per Rousseau), come sostenuto da Isaiah Berlin, sulle orme di Kant. [3]

Per quanto ad ogni modo la libertà sia divenuta il principio fondamentale innanzi al quale le più celebri battaglie sono state combattute e tutt’ora vengono ingaggiate, essa costituisce un fardello di non poco conto. L'uomo si è trovato negli ultimi cinquecento anni a dover accomodare la propria visione del mondo a degli stravolgimenti prospettici sempre nuovi, a degli spostamenti che lo hanno portato a mettere in discussione la visione eurocentrica con la scoperta dell’America, quella geocentrica, dunque quella antropocentrica a fronte della teoria evoluzionistica, ed anche la convinzione che ogni azione sia frutto di razionalità e coscienza (con la scoperta di inconscio e psicanalisi). Questo progresso teorico è parallelo ad uno sviluppo materiale e sociale, con la nascita del modo di produzione capitalistico, ma anche ad uno psicologico. Per questa ragione è necessario pensare al concetto di libertà non solo in termini di emancipazione illuministica da uno stato di oscurantismo (in relazione alla teoria) o dalla schiavitù (in termini pratici).

L’analisi di Erich Fromm esposta in Fuga dalla libertà [4] si ripropone precisamente questo intento, e non solo in chiave osservativa, ma anche propositiva; il celebre appartenente alla Scuola di Francoforte fu sì un accademico, in particolare uno psicologo psicanalista, ma fu sempre particolarmente sensibile alla necessità di trasporre la teoria nella prassi, abbracciando le concezioni del primo Marx in una strenua opposizione al maccartismo del suo tempo. 

Fromm non negava, fedele a Marx, il progresso materiale e psicologico che il capitalismo avrebbe permesso di ottenere alla società Occidentale [5]; il superamento di organizzazioni sociali di tipo gerarchico e l’acquisizione di un sapere tecnico e scientifico che non rendeva più gli uomini passivamente servi dei ritmi naturali costituiscono delle conquiste significative. Esse, ad ogni modo, rendono gli uomini più consapevoli e disincantati innanzi alla complessità e vastità della natura (davanti alla quale essi diventano degli infimi individui caduchi e limitati) ed impongono una ricerca di senso che non può più servirsi delle metafisiche e delle religioni. 

L'accento posto sulla prospettiva esistenziale da Fromm implica che il discorso si sposta sul delineamento di un progresso interiore, a fronte di quello materiale e teorico. La tesi di Fromm è quella per cui gli individui non sono sin da subito in grado di reggere la vastità abissale delle rivoluzioni dei quali essi sono protagonisti, e questo perché tali rivoluzioni permettono loro di conquistare un tale grado di libertà che li costringe ad essere pienamente padroni del proprio pensare, agire ed esprimersi. Ma tanta libertà spaventa l’uomo che ancora si percepisce come un insignificante frammento di infinito. [6]

Le reazioni al terrore di essere liberi si manifestano in due maniere: attraverso l’autoritarismo ed il conformismo da automi. L’autoritarismo [7] comprende i due fenomeni di sadismo [8] e masochismo, due facce della stessa medaglia: rispettivamente, il primo prevede che il soggetto prenda pieno possesso dell’oggetto, arrivando anche ad infliggergli dolore, per avere la prova della propria potenza (ancorché il sadico, proprio per questa ragione, è a sua volta dipendente dall’oggetto che domina), mentre il secondo implica che il soggetto provi piacere nel sentirsi costretto ed obbligato. In entrambi i casi, il carattere autoritario dimostra come gli uomini non siano affatto in grado di tollerare la solitudine e l’indipendenza che comporta il fatto di essere pienamente liberi. Il conformismo da automi [9]  prevede invece che gli uomini agiscano aderendo a schemi pratici impliciti prestabiliti, soddisfacendo le aspettative che essi ritengono che la società, la famiglia ripongano su di loro. Questo li esime dal dover prendere delle scelte.

Sebbene esistano le condizioni materiali ed oggettive perché un uomo possa esercitare la propria libertà, qualsiasi accezione vogliamo attribuire a questa nozione, non può essere tralasciata insomma la capacità del soggetto di valorizzarla. Come sostiene Fromm, non conta solamente l’aspetto quantitativo, ma anche quello qualitativo, nell’analisi di come viene esercitata la libertà. 

Tornando alla distinzione iniziale operata dai moderni fra libertà negativa e positiva, potremmo interpretare la prima come la condizione emancipatoria oggettiva che storicamente l’uomo è riuscito a ricavare, mentre la seconda consiste proprio nella capacità degli individui di autodeterminarsi. Entrambe queste componenti sono indispensabili al fine di ottenere una piena indipendenza degli uomini da qualsiasi fattore obbligante. Tuttavia, la libertà intesa come sola assenza di costrizione non è sufficiente perché si pervenga ad una vera e propria emancipazione dell’uomo, ed anzi spalanca le porte ad una nuova forma di schiavitù. [10]

Proprio a riprova del fatto l’intento di Fromm non si limita ad essere analitico ed astratto, egli termina il saggio con uno spunto propositivo, un’intuizione che lo rivela anche come fedele alla concezione marxiana (nella misura in cui per Marx attraverso il lavoro l’uomo si emancipa). Egli definisce la libertà positiva come “attività spontanea della personalità totale”, ponendo l’accento, con il termine “attività”, sul carattere pratico del valore in questione (da qui la sua sferzata agli idealisti, che esaltano invece la necessità di una presa di coscienza contemplativa sulla propria condizione). E nonostante ciò, è evidente che non ogni tipo di lavoro sortisce un effetto di liberazione: 

“Non il lavoro come rapporto con la natura che in parte è il dominio su di essa, e in parte adorazione e sottomissione agli stessi prodotti delle mani dell’uomo, ma il lavoro come creazione, in cui l’uomo diventa uno con la natura nell’atto della creazione. Ciò che è vero dell’amore e del lavoro è vero di tutta l’azione spontanea, si tratti della realizzazione del piacere dei sensi o della partecipazione alla vita politica della collettività.” (pag. 224)

Non è nel possesso di qualsiasi oggetto che l’uomo rafforza sé stesso, ma con la propria attività, giacché l’atto stesso di vivere costituisce il significato della vita che i credenti cercavano nella religione e gli individui faustiani moderni cercavano di colmare con il possesso del mondo. La nuova libertà dinamica cui Fromm fa riferimento non necessita più di alcuna essenza metafisica né aspirazioni sadiche, giacché ha espunto alla radice la necessità che esse insorgano. 

L’uomo autenticamente libero è assolutamente unico e peculiare (in questo senso è un individuo), ma ciò non è affatto in contrasto con il valore dell’uguaglianza. Quest'ultimo non si esplica come nell’ambito della sfera economica in senso astratto, ma è un diritto di ogni uomo, unico ed irripetibile, ad una piena espressione creativa, intellettuale, sensuale  per il raggiungimento della felicità. 

Da un punto di vista materiale, la società odierna deve ripensare la propria organizzazione sociale (mentre il capitalismo avrebbe posto le condizioni per l’approvvigionamento di beni sufficiente per il mondo intero). Fromm delinea i tratti fondamentali di un socialismo democratico, dove, attraverso la pianificazione dell’economia, si dia la possibilità ad ogni uomo di contribuire alla prosperità generale attraverso “un’attività genuina”, perché fini individuali ed universali si identifichino. È fondamentale sostituire la manipolazione dei cittadini con una loro collaborazione intelligente al governo, un governo “del popolo, da parte del popolo, per il popolo”. [11] La partecipazione attiva alla vita politica da parte di ciascuno sarà possibile attraverso un largo decentramento delle funzioni politiche, perché se non provengono dal basso gli stimoli per l’organizzazione sociale, un’economia pianificata programmata dall’alto continuerà a plagiare i cittadini attraverso la manipolazione. 

L'enorme contributo di Fromm sta nell’aver enfatizzato la necessità di cogliere non solo le condizioni oggettive per un profondo rivoluzionamento del sistema economico e sociale, ma anche quelle interiori e psicologiche. Come egli ha messo in luce, seguendo in questo il pensiero della psicanalisi, non è sufficiente che l’uomo goda dei presupposti solo teorici e materiali perché eserciti la propria libertà; qualora egli non sia effettivamente in grado di adempiere a questo compito, affronterà il mondo sviluppando delle nevrosi [12] , vale a dire delle forme di compensazione psicologica che gli permettono di non impazzire in un dato contesto per lui poco confortevole, ma patendo enormi sofferenze. Oltre a ciò, la grandezza di Fromm sta anche nel non aver ridotto la rivoluzione dal sistema capitalistico ad uno slancio interiore, puramente contemplativo e mistico: è necessario un adeguamento dello spirito umano all’ambiente e alle dinamiche storiche, e queste ultime devono ancora significativamente essere modificate. 

 

Note:

[1] Petrucciani Stefano, Modelli di filosofia politica, Einaudi, 2003, pp. 167-203.

[2] Balibar Etienne, Spinoza e la politica, Manifestolibri, Roma, 1996.

[3] “L'essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c'è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l'illusione di averla.”  (Isaiah Berlin, Quattro saggi sulla libertà, Feltrinelli, Milano, 1989).

[4] Fromm Erich, Fuga dalla libertà, trad. di Cesare Mannucci, Edizioni di Comunità, Milano, 1976.

[5] Fromm, op. cit., pp. 98-99.

[6] “La libertà dai legami tradizionali della società medievale, pur dando all’individuo un nuovo sentimento di indipendenza, lo portava al tempo stesso a sentirsi solo e isolato, pieno di dubbi e ansietà, e lo spingeva verso una nuova sottomissione e un’attività ossessiva e irrazionale.” (Ibidem, pag. 96)

[7] Ibidem, pp. 127-158.

[8] Per un approfondimento sul tema del sadismo si veda Fromm Erich, Anatomia della distruttività umana, a cura di S. Stefano, Mondadori, 1983.

[9] Fromm, Fuga dalla libertà, pp. 163-180.

[10] “Non ci rendiamo sufficientemente conto del fatto che l’uomo, pur essendosi sbarazzato dei vecchi nemici della libertà, si trova davanti a nuovi nemici di diversa natura; nemici che non sono fondamentalmente costrizioni esterne, ma fattori interni, che bloccano la piena realizzazione della libertà. [...] Dimentichiamo che, quantunque la libertà di parola costituisca un’importante vittoria nella battaglia contro le vecchie costrizioni, l’uomo moderno si trova in una situazione in cui gran parte di ciò che “egli” pensa e dice consiste in cose che tutti gli altri pensano e dicono.” (Ibidem, pag. 97)

[11] Ibidem, pag. 234.

26/01/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Agnese Tonetto

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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