Un pregevole documentario che rappresenta, seppur in modo naturalista, senza andare veramente alla radice della problematica affrontata, la questione della completa negazione in nome della guerra al terrorismo delle più elementari libertà formali, un tempo a torto o ragione motivo vanto dei paesi anglosassoni. Tale denuncia rischia però di rimanere in fin dei conti impotente se non si lega alla necessità di un mondo diverso da quello capitalistico in crisi e alle forze sociali in grado di realizzarlo
di Renato Caputo e Rosa
voto 6,5
La storia (e il film) ha inizio quando la regista Laura Poitras viene contattata tramite posta elettronica da Edward Snowden. La regista statunitense, dopo il film del 2006 sulla guerra in Iraq My country my country e The Oath del 2010, filmato nella prigione di Guantanamo, stava lavorando al terzo film documentario della trilogia post 11 Settembre sui programmi di sorveglianza segreti del governo USA, che, tra l’altro, avevano colpito anche lei direttamente per la sua attività di giornalista, alla faccia della libertà di stampa costantemente rivendicata dagli Usa.
Snowden, nome in codice Citizenfour, le manda mail criptate, ben consapevole che la libertà di parola e di stampa sia una pia illusione nei paesi imperialisti, dove le rivela di essere in possesso di documenti esplosivi che le vuole affidare. La regista, coinvolta in prima persona nella vicenda e narratrice della storia, non si vede mai fisicamente nel film, secondo il vezzo neo- positivista e anti brechtiano di un documentario che riproduca la vita stessa, come se quest’ultima sia qualcosa di astraibile dalla soggettività umana che la interpreta. L’opera tende, dunque, più al naturalismo che al realismo, confondendo la rappresentazione dell’esistente con quella del reale- razionale. A questa pretesa impossibile di rappresentare la cosa in sé, la regista sacrifica non solo una comprensione radicale della questione, ossia in grado di andare alla radice della problematica significativa presa in esame, ma lo stesso godimento estetico, rendendo così il film a tratti piuttosto noioso e ridondante nella sua immediatezza.
Il cuore del documentario si svolge nella stanza d’albergo del Mira hotel di Honk Kong dove Snowden incontra la regista insieme al giornalista del Guardian Glenn Greenwald, che da lì a breve inizia a scrivere gli articoli basati sui documenti “esplosivi” forniti da Snowden. Significativo il fatto che per poter esercitare la libertà di stampa, parola e opinione, finalizzata per altro a denunciare dei gravissimi crimini contro il diritto alla privacy dell’individuo, Snowden e i giornalisti debbano trovare rifugio nella totalitaria Repubblica popolare cinese. Ovviamente si tratta di aspetti che il documentario, la cui logica è del tutto interna al sistema perverso che intende denunciare sotto un aspetto particolare per quanto rilevante, non è in grado minimante di cogliere. La critica di Citizenfour, come del resto la critica del suo per quanto ammirevole protagonista, non va al di là della superficie, si limita a criticare la violazione dei diritti individuali, considerando tale violazione scandalosa per una società liberaldemocratica, finendo così per confondere la regola con l’eccezione e non comprendendo come tali violazioni siano rese “necessarie” dalla volontà di mantenere in vita un modo di produzione in profonda crisi, in cui i rapporti di produzione ostacolano ormai lo sviluppo delle forze produttive, e in cui il profitto di pochi è il frutto dello sfruttamento della grande maggioranza della popolazione.
Snowden seduto sul letto della camera d’albergo, inquadratura noiosissima ed estremamente banale dominante per una buona parte del film, dichiara di voler venire allo scoperto rendendo pubbliche le scottanti informazioni di cui è in possesso, ma questo suo farsi avanti con nome e cognome, aggiunge subito, non va inteso come volontà di protagonismo: ciò che gli preme fare emergere è la cosa stessa, ovvero denunciare e rendere pubblica la policy totalitaria della NSA. Questo iniziale assunto anti- individualista del film viene tradito immediatamente: la regista si concentrerà più sull’individuo particolare Snowden che sul concetto, in se di scarso interesse, che non è evidentemente in grado di cogliere e tantomeno esprimere nella sua reale portata. L’inquadratura quasi fissa su Snodwen pronta a rivelare qualsiasi emozione del giovane informatico, viene intervallata dalle dichiarazione di William Binney, che già nel 2006 aveva denunciato la policy “spiona” dell’agency nonché da un rappresentante di Occupy Wall Street che denuncia i pericoli sottesi ai controlli dei dati incrociati registrati. Ma si tratta di una pura comparsata, considerato che i movimenti sociali di denuncia della società imperialista sono totalmente esclusi dalla vicenda narrata, che vuole restare l’eroica denuncia individuale di un cittadino tradito dal sistema che intendeva servire, supportato da esponenti della società civile, giornalisti britannici e avvocati cinesi. In tal modo la denuncia resta in larga misura impotente e inefficace, patrimonio della ristretta élite del ceto medio riflessivo che fruisce di opere di questo genere. Occorre anche considerare che il pompatissimo movimento Occupy Wall Street, è stato purtroppo un fuoco di paglia, e principalmente un fenomeno mediatico.
D’altra parte la visione di Citizenfour favorisce la riflessione sulla questione arendtiana delle banalità del male, ossia sui danni spaventosi che può provocare il lavorare al servizio di una potenza imperialista che opprime il mondo intero, senza interrogarsi criticamente sul ruolo che si svolge e sulla complicità che tale mancanza di riflessione critica necessariamente comporta. In effetti il discorso sulle responsabilità degli impiegati che con il loro meticoloso lavoro hanno contribuito attivamente alle nefandezze dell’imperialismo tedesco nazionalsocialista dovrebbe far riflettere sulle gravi responsabilità di chi con il proprio lavoro collabora attivamente alle nefandezze delle attuali potenze imperialiste. Si tratta in entrambi i casi di individui tutt’altro che anormali, ma che proprio per questo sono, sotto certi aspetti, ancora più temibili di mostri palesemente disumani. Di persone del genere, in un modo o l’altro complici della costruzione e del funzionamento del più grande apparato militare della storia, e dei crimini che continuamente opera, ce ne sono moltissime. Si tratta di individui banalmente “normali”, privi della capacità di comprendere criticamente il loro operare, completamente assorbiti dall’esistente, interessati unicamente a svolgere nel modo più efficace il proprio impiego, senza curarsi delle sue conseguenze. Ciò non vale ovviamente solo per chi pilota con un joystick a migliaia di kilometri di distanze un drone che spia o uccide, ma per chiunque collabori fattivamente e acriticamente con l’apparato militar-industriale che rende possibile tali spaventose azioni. «Questa lontananza dalla vera realtà e la mancanza di idee sono il presupposto fondamentale della tentazione totalitaria, che tende ad allontanare l’uomo dalla responsabilità del reale, rendendolo meno di un ingranaggio in una macchina. Come non si possano usare questi concetti lo si vede ancora meglio esaminando le giustificazioni addotte dai nazisti al processo di Norimberga: “azioni compiute per ordine superiore”; queste furono respinte perché, come disse la corte, “alle azioni manifestamente criminali non si deve obbedire”, principio che esiste nel diritto di ogni paese. Ma come si può distinguere il crimine quando si vive nel crimine? Quando ci si trovi di fronte a un massacro organizzato da uno Stato?» [1]. Allo stesso modo, però, è importante considerare come questo spaventoso Moloch, questo enorme apparato industrial- militare possa essere messo in difficoltà anche dalla presa di coscienza di un suo singolo impiegato, che un giorno, a partire dalla riflessione sul proprio lavoro, decide di non essere più un complice e di rivelare le nefandezze di quella spaventosa macchina oppressiva di cui è stato precedentemente un semplice e passivo ingranaggio.
Tuttavia, a parte il fatto che siamo tutti spiati, cosa che già sapevamo, il film non ci rivela nient’altro di sostanziale. Ci spiega solo come “tecnicamente” tutto ciò avviene, e ciò che effettivamente sconvolge è come l’NSA con il beneplacito degli altri governi occidentali possa spiare i cittadini esteri molto più facilmente e senza ostacoli di sorta rispetto ai cittadini americani (che vengono spiati comunque, ma con qualche formalismo in più). A dimostrazione ulteriore del fatto che la “democrazia” statunitense è una Herrenvolk democracy, una “democrazia” per il popolo dei signori, che forte del sostegno divino, tende a istaurare con gli altri popoli un rapporto di signoria-servitù.
Uno dei punti di forza del film è il fatto che favorisce la presa di coscienza che la presunta libertà di informazione delle liberal-democrazie e più in generale le libertà individuali a partire dalla libertà di parola, pensiero, arte e stampa sono essenzialmente una costruzione ideologica [2]. In tal modo Citizenfour contribuisce oggettivamente allo smascheramento della profonda ipocrisia che caratterizza la puritana società statunitense (ma come evidenzia il film l’europeo Regno Unito di Gran Bretagna non è certo da meno) che pretende di imporre anche con la violenza in tutto il mondo i presunti valori occidentali, ossia la libertà, la democrazia, la libera concorrenza, la meritocrazia, l’orrore per la menzogna, e poi li viola sistematicamente spiando i cittadini di tutto il mondo, compresi i suoi più fedeli e supini alleati. Fra le menzogne più clamorose sistematicamente ripetute dal pensiero unico dominante al livello di questa che ritiene le grandi liberal-democrazie anglosassoni paladine in tutto il mondo nella difesa delle libertà individuali vi è forse solo quella che considera il Vaticano, da sempre uno dei principali centri di riciclaggio del denaro sporco, una voce autorevole nelle questioni etiche.
Particolarmente significativa è la scena del film in cui, dopo aver evidenziato come gli Stati Uniti avessero sistematicamente spiato i cittadini di tutto il mondo, viene mandato in onda un filmato in cui il presidente di tale paese, Barack Obama pretende di giustificare tale condotta per poterla impunemente proseguire anche in futuro. Alla luce di ciò, quale abominio celino le parole rassicuranti e minimizzanti di Obama appare nel modo più evidente dal contrasto fra l’immagine accattivante del presidente, icona della a-sinistra internazionale, in Italia esemplarmente rappresentata da alcuni dirigenti di Sel [3], e la reale portata criminale delle sue azioni politiche, spaventosamente repressive persino delle più elementari libertà formali sedicenti borghesi.
Detto questo uno dei compiti decisivi per una autentica sinistra non può che essere quello di smascherare i luoghi comuni dell’ideologia dominante e in particolare il vero e proprio assioma di essa, ossia la guerra al terrorismo e al totalitarismo in nome della democrazia e delle libertà, che permetterebbe di giustificare le più spaventose atrocità perpetrate dalle potenze imperialiste [4].
Tanto più che le libertà dell’individuo appaiono nel film, anche se tale aspetto non è affatto evidenziato, perseguitate dalle liberaldemocrazie e paradossalmente difese proprio dai paesi generalmente accusati dall’ideologia dominante di essere totalitari: Cina, Russia, Venezuela, Ecuador (nel film compare anche il fondatore di wikileaks, Julian Assange, “ospitato” nell’ambasciata dell’Ecuador che aiuta Snodwen a fuggire da Honk Kong, perché ormai individuato, verso la Russia). Ciò non può che accrescere la consapevolezza che anche per salvaguardare un minimo di diritti individuali è necessario oggi contro- bilanciare lo strapotere degli Usa e dei paesi imperialisti alleati nella Nato con altri paesi che non saranno certo il migliore dei mondi possibili, ma che svolgono oggettivamente una funzione essenziale, vista anche l’attuale debolezza dei movimenti di contestazione all’interno delle nazioni a capitalismo avanzato. Tali paesi, pur molto diversi fra loro, costituiscono un oggettivo ostacolo alla volontà di dominio globale delle potenze imperialiste e, in diversi casi, degli oggettivi potenziali alleati di quelle forze sociali e politiche che come oggi in Grecia tentano di sviluppare politiche antagoniste al modello neoliberista imposto con metodi più o meno violenti dal cosiddetto Occidente. Proprio perciò ogni sincero progressista dovrebbe generalmente difendere tali paesi quando sono sotto attacco delle potenze imperialiste, soprattutto denunciando l’ipocrisia di potenze sempre pronte a enfatizzare mediaticamente le pagliuzze negli occhi dei propri antagonisti per meglio nascondere la trave che le acceca. Pretendere di uscire dal meccanismo infernale del debito, o porre la questione di fuoriuscire dal blocco dei paesi imperialisti senza tener presente questa esigenza rischia di rimanere una delle tante buone intenzioni di cui è lastricata la strada dell’inferno.
Note:
[1] http://it.wikipedia.org/wiki/La_banalità_del_male
[2] Su tali questioni rinviamo al prezioso volume del nostro maestro Domenico Losurdo, Controstoria del liberalismo, Laterza, Roma-Bari 2005.
[3] Ci limitiamo a un solo emblematico esempio, ossia a quanto scritto dal Responsabile organizzazione di Sinistra Ecologia Libertà: «la sinistra dovrà assumere il presidente Obama come punto di riferimento evocativo, culturale e politico. Dovremmo fare dell’Obama pensiero e dell’Obama logo il nostro tratto distintivo. (…) Insomma in Italia la Sinistra dovrà essere quella che tifa Obama e che prova a far girare un intero programma politico intorno ad un brand chiaro e netto» M. Smeriglio, Sinistra, chiamiamola Obama, «L'Altro» del 19 giugno 2009, pag. 1, http://old.radicali.it/view.php?id=143918. Si tratta dello stesso Obama (premio Nobel della pace al pari di Kissinger, Begin, De Klerk e Peres) che «ogni martedì discute con la CIA la “kill-list”, la lista delle persone che possono essere uccise dai droni in quanto sospettati di terrorismo. In questa lista compaiono anche cittadini statunitensi. Anche per i cittadini statunitensi, questa democrazia del popolo dei signori può ritorcersi contro di loro». Domenico Losurdo, La democrazia? Solo per il “popolo dei signori”, intervista a «Le Grand soir», 2 maggio 2013, trad. it. http://www.ossin.org/analisi-e-interventi/democrazia-solo-per-il-popolo-dei-signori.html.
[4] Tra i contributi più significativi alla critica dell’ideologia attualmente dominante ci limiamo qui a ricordare: V. Giacché, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, DeriveApprodi, Roma 2011 e D. Losurdo, Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana, Laterza Roma-Bari 2007.