Considerazioni Inattuali N.64. Washington: qualche impegno verbale ma nessuna proibizione scritta nei passati accordi con Mosca. L’allarme di Gorbachev che denunzia “l’arroganza dell’Occidente” ma quegli accordi li aveva firmati lui una trentina di anni fa.
di Lucio Manisco
Secondo l’amministrazione Obama e tutti, o quasi tutti, i mass media occidentali è stato Vladimir Putin a violare i trattati, a provocare la crisi ucraina, a modificare con l’annessione della Crimea le frontiere garantite dal diritto internazionale ed ora a far traballare tramite gli insorti russofoni la tregua sul cessate il fuoco da lui sottoscritta con Angela Merkel e con il presidente ucraino lo scorso 17 febbraio. Sempre secondo l’amministrazione Obama e prima ancora secondo l’amministrazione Bush non c’è nulla di scritto negli accordi dell’ultimo trentennio che impedisca agli Stati Uniti e ai loro alleati di completare l’accerchiamento della Federazione Russa con i dispositivi militari della NATO.
Questo è il Verbo, la Verità rivelata e i fatti, i documenti, le testimonianze di chi ha seguito gli sviluppi che hanno preceduto, accompagnato e fatto seguito all’implosione dell’Unione Sovietica non contano un bel nulla.
Non contano un bel nulla le rivelazioni del 12 febbraio scorso della BBC, del suo inviato speciale a Kiev Gabriel Gatehouse, secondo cui la strage di Maidan Square non fu provocata dalla polizia del presidente Yanukovich, ma da uno o più agenti provocatori provenienti dai ranghi dei dimostranti nella piazza di Kiev. Non contano nulla le dichiarazioni in un’intercettata telefonata del plenipotenziario del dipartimento di Stato, signora Victoria Nuland, in cui venivano impartite istruzioni all’ambasciatore USA a Kiev sulla formazione di un nuovo governo dopo la defenestrazione del presidente democraticamente eletto, e tanto meno le attività terroristiche del nuovo regime neo-nazista in Crimea (più di 50 sindacalisti uccisi in uno solo dei molti attentati) e le minacce alla più importante base navale russa che portarono al plebiscito sul ritorno della regione russofona nella federazione.
E poi l’inspiegabile ritardo di cinque mesi nella pubblicazione dei risultati dell’inchiesta olandese sull’abbattimento dell’aviogetto civile MH370 della Malaysia Airlines, abbattimento attribuito, senza alcun ricorso ai rilievi satellitari USA, ad un missile di fabbricazione russa.
Il tutto accompagnato dalle missioni a Kiev del vicepresidente Biden, del senatore ed ex candidato repubblicano alla presidenza McCain, del segretario di stato agli Esteri Kerry e di molti altri vecchi arnesi della guerra fredda riesumati per l’occasione dopo un semi-oblio di decenni.
Il risultato nel breve giro di 13 mesi è sotto gli occhi di tutti coloro che si ostinano a tenerli aperti: sanzioni su sanzioni economiche contro la Federazione Russa, attacco alle sue fonti energetiche e alle sue esportazioni con il dimezzamento del prezzo del petrolio ed una nuova guerra fredda che minaccia di diventare calda con una guerra regionale, “by proxy”, in Ucraina.
Non è necessario nutrire simpatie o antipatie per Vladimir Putin che non è riuscito ancora a far dimenticare con i successi diplomatici di ieri il suo ruolo di “macellaio della Cecenia”, per riconoscere la sua estraneità ai fatti attribuitigli nel breve corso di un anno, fatti che minacciano la pace nel cuore dell’Europa. Né può essere accusato di avere finora reagito con azioni irresponsabili alle politiche espansive e “strangolatorie” del Grande Impero d’Occidente.
Se ne è reso conto un allarmatissimo Mikhail Gorbachev in un’intervista concessa il 12 febbraio scorso alla stampa tedesca: “L’espansionismo verso est della NATO – ha dichiarato – è una minaccia per la sicurezza in Europa. Tutte le proposte russe per unire le forze e operare su una nuova architettura della sicurezza sono state ignorate dall’Occidente”. E sulle possibilità di una vera e propria guerra regionale si è così espresso: “Non bisognerebbe nemmeno pensarci. Tale guerra sarebbe inevitabilmente nucleare. Non sopravvivremo nei prossimi anni se qualcuno non sarà lucido in questo contesto”.
Nella nostra lunga esperienza giornalistica abbiamo seguito gli incontri al vertice di Gorbachev con due presidenti USA, Ronald W. Reagan, e George Herbert Bush a Washington, Mosca, Malta e poi ancora con Fidel Castro a Cuba: ci è sempre sembrato un brav’uomo, amabile, pieno di buone intenzioni ma del tutto inadeguato a gestire la transizione dell’URSS a Federazione Russa e tanto meno i rapporti con i dirigenti della grande potenza avversaria diventati improvvisamente – chissà perché – suoi estimatori ed amici.
Prendiamo atto che si sia oggi ricreduto e che si fidi molto meno dell’ultimo dei presidenti, il Premio Nobel per la Pace Barack Obama. Ci piacerebbe anche sapere se le intese, gli accordi, i trattati da lui firmati contenessero riferimenti precisi all’impegno degli Stati Uniti a non inglobare sotto l’egida NATO i paesi che facevano parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e quelli che rientravano nella sua sfera di influenza. I presenti dirigenti della sostengono che questi impegni erano stati assunti e che sono stati violati.
Washington lo nega e dalla lettura dei trattati, quelli resi di pubblica ragione, non emergono riferimenti precisi ad impegni formali. È vero che sono i vincitori a riscrivere la storia, ma se in questo caso si tratta di storia vera la credulità e l’arrendevolezza del signor Gorbachev nei confronti dei suoi interlocutori dal 1985 al 1991 presenterebbero gli estremi di un tradimento degli interessi primari del suo paese.
Esiste un documento ufficiale che pur nella sua ambiguità dà adito ad un’interpretazione così disdicevole dei comportamenti dell’ideatore della glasnost e della perestroika. È la lettera-notiziario “NATO Review” della primavera 2015. Ne trascriviamo il brano attinente la presidenza Gorbachev dell’URSS: “Il dibattito sull’estensione della NATO si sviluppò unicamente nel contesto della riunificazione della Germania. In questi negoziati Bonn e Washington riuscirono ad alleviare le apprensioni sovietiche su una Germania unificata inglobata nella NATO. Tale risultato venne ottenuto con la concessione di generosi aiuti finanziari e con il “Trattato 2+4” che assicurò l’esclusione di forze straniere della NATO sul territorio della Germania Orientale.
Lo stesso risultato venne peraltro raggiunto con conversazioni private in cui a Gorbachev e ad altri dirigenti sovietici venne assicurato che l’Occidente non avrebbe tratto vantaggio dalla debolezza e dall’intenzione dell’Unione Sovietica di ritirare le sue forze dall’Europa centrale ed orientale. Furono queste conversazioni a dare l’impressione ad alcuni uomini politici sovietici che l’allargamento della NATO, iniziato con la Repubblica Ceca, con l’Ungheria e con la Polonia nel 1999, costituisse una violazione degli impegni assunti dall’Occidente”.
Bene, se si trattò di conversazioni private e di impressioni e non di clausole scandite a chiare lettere in un trattato, forse non si dovrebbe parlare di tradimento bensì dedurre che un Totò del Dipartimento di Stato sia riuscito a vendere al signor Mikhail Gorbachev la Fontana di Trevi.