Il processo che si è cercato di delineare e che segnerebbe il passaggio dalla modernità alla postmodernità è così descritto da uno che a suo tempo fu entusiasta di queste trasformazioni: “Caduta l’idea di una razionalità centrale della storia, il mondo della comunicazione generalizzata esplode come una molteplicità di razionalità ‘locali’ – minoranze etniche, sessuali, religiose, culturali o estetiche – che prendono la parola, finalmente non più tacitate o represse dall’idea che ci sia una sola forma di umanità vera da realizzare, a scapito di tutte le peculiarità, di tutte le individualità limitate, effimere, contingenti” (G. Vattimo, La società trasparente, Milano 1989: 17).
L’idea delle ‘razionalità locali’ e l’accento sulle incommensurabili molteplicità individuali mette inevitabilmente in soffitta la sola nozione che può svolgere oggi nel nostro mondo complesso e contraddittorio una funzione agglutinante. Si tratta – non è certo poco – della nozione di classe, che mette da parte le molteplici differenze individuali per fondarsi esclusivamente sulla collocazione sociale dei singoli, cui corrispondono una o più ideologie. Non è pertanto un caso che proprio questa nozione ha subito attacchi virulenti, perché costituisce il cuore della teoria rivoluzionaria della società capitalista, essendo la forza-lavoro umana lo strumento-chiave dell'accumulazione capitalistica. Da questi attacchi sono venute fuori le varie forme di populismo e di sovranismo, i cui campioni possono essere rappresentati dai postmarxisti E. Laclau e Ch. Mouffe.
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