Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su questo argomento
Segue da: “Il secondo Schelling e la genesi della distruzione della ragione”
La filosofia della restaurazione
Schelling sviluppa il proprio pensiero in corsi e conferenze a Erlangen (1820-1827), pubblicate solo postume. A partire da esse, rielabora le sue concezioni giovanili del mito – Filosofia della mitologia (1842-1854) – e della religionenella prospettiva di un sistema iniziato nel 1842 a cui lavora fino al 1853, rimasto incompiuto: la Filosofia della rivelazione. In essa la divinità è posta quale unico garante della possibilità di superare il dualismo fra soggetto e oggetto, dunque dell’accordo fra natura e spirito, dell’identità di fede e di sapere.
La filosofia della rivelazione
La ricerca di una filosofia positiva si sviluppa, nei corsi universitari tenuti a Monaco e poi a Berlino, nella filosofia della rivelazione, che ha per oggetto la manifestazione diretta del divino nei testi della tradizione religiosa biblica. Nei corsi dedicati alla filosofia della rivelazione (1842-1852), compare in una nuova veste l’idea dell’identità assoluta di universale e particolare. Ora è la divinità a porsi quale garante dell’accordo, a mediare tra natura e spirito: in primo luogo lasciando emergere la verità del divino attraverso le forme immaginifiche della mitologia dei popoli; in secondo luogo fornendo agli interpreti della rivelazione divina la possibilità di porre il problema del senso della storia.
La critica alla filosofia razionalista moderna
L’idea di supremazia del divino è strettamente connessa all’involuzione in senso reazionario del pensiero politico di Schelling, ora impegnato a salvaguardare il positivo della tradizione storica e degli assetti sociali dalla critica della ragione e a sostenere i capisaldi della Restaurazione. La critica di Schelling si estende, così, all’intera filosofia razionalista moderna: da Cartesio a Hegel essa avrebbe negato il rapporto storico fra divinità e mondo (la rivelazione e la tradizione positiva), a tutto vantaggio di un rapporto logico di comprensione filosofica della morale religiosa, che avrebbe avuto un esito essenzialmente nichilistico, ovvero la messa in questione del sacro e dei fondamenti dell’ordine costituito. A parere di Schelling, Hegel in particolare avrebbe posto il concetto logico al quale, con una finzione e ipostatizzazione, avrebbe attribuito la capacità di un movimento chiamato dialettico, altrettanto arbitrariamente, poi, avrebbe attribuito al concetto logico puro la capacità di rovesciarsi, quasi precipitarsi nel suo opposto per tornare in sé. L’unico risultato di tale tentativo di iniziare la metafisica con un concetto puramente razionale sarebbe piuttosto l’opposto, ossia la prova che non è possibile accedere alla realtà effettiva con il puro concetto razionale. A tale concezione Schelling contrappone la propria che considera la verità come frutto di una mera rivelazione, dunque si tratterebbe di una verità non storica, non propria di questo mondo, ma a esso esterna. In tal modo, non essendoci un razionale che si fa reale storicizzandosi e una realtà che, così, rompe con l’esistente e si razionalizza, nella riflessione del tardo Schelling la realtà storico-empirica, positiva viene assolutizzata, in funzione della difesa della tradizione. In particolare si tratta per Schelling di evitare ogni critica di tipo razionale agli assetti sociali e ideali prodotti dal Congresso di Vienna volti a restaurare l’ancien régime, che era stato sconvolto dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Dunque, la riflessione del tardo Schelling è volta a contrastare concezioni del mondo quale l’illuminismo o il razionalismo hegeliano colpevoli di rimettere in discussione l’empiria, l’esistente e dunque i valori consolidati del mondo religioso e politico.
Mentre il razionalismo intende inglobare in sé il mondo religioso, la filosofia della religione del tardo Schelling vi vede un limite invalicabile. Allo stesso modo al concetto hegeliano è opposta la natura, intesa come incommensurabile prodotto della trascendenza divina. Schelling accusa il concetto hegeliano di aver preso il posto del vivente reale, il solo capace di divenire e automovimento. Per Schelling la posizione empirista contrapposta al razionalismo hegeliano è intesa come avente a suo oggetto l’atto positivo e storico della creazione divina e, dunque, come necessariamente volta a superarsi nel trascendente. Così Schelling assume una posizione critica verso l’intera filosofia razionalista moderna a partire da Cartesio fino alle sue ultime conseguenze nel sistema hegeliano, la quale negando il “rapporto storico” fra Dio e mondo a favore del rapporto logico poneva in discussione la fede. Il tal modo, denuncia Schelling, filosofia e scienza sarebbero ridotte al puro formalismo logico artefice di quel processo di secolarizzazione colpevole d’aver obliato la dimensione oltremondana della trascendenza religiosa.
La svolta dal punto di vista della riflessione storica e politica
Egualmente notevole è anche la svolta nella sua riflessione storico-politica: Schelling, ai tempi della collaborazione a Jena con Hegel era ancora sostenitore della Rivoluzione francese [1], mentre durante i moti rivoluzionari del 1830-31 polemizza contro le “pretese” dei costituzionalisti di limitare con leggi scritte, artificiose e, dunque, morte la vivente personalità interiore del sovrano, ovvero di limitare il potere assoluto del monarca sottomettendolo a una costituzione. La critica si allarga ben presto alle pretese del pensiero astratto, del primato del politico e delle sue istituzioni che pretende di limitare l’interiorità del re [2]. A parere di Schelling, come la divinità è superiore all’ente e a ogni universale, così il sovrano, ossia il monarca deve esser posto al di sopra del potere astratto della legge.
Gli ultimi anni berlinesi e la polemica con la filosofia hegeliana, condannata quale ideologia delle forze sovversive
Schelling è, quindi, chiamato a insegnare all’università di Berlino (1841-1843) per contrastare la perdurante influenza del razionalismo di Hegel (morto nel 1831) [3] e i suoi risvolti politici radicali nella sinistra hegeliana. Schelling estende la sua polemica a quelle che ormai denuncia come le “pretese” del “pensiero astratto”: di limitare la libertà del monarca mediante il primato delle istituzioni politiche sulla religione e delle istituzioni pubbliche sulla famiglia. In altri termini Schelling intende denunciare il pericolo per l’ordine costituito dell’assolutizzazione dello Stato e delle istituzioni politiche, cui ora contrappone il quietismo dell’interiorità religiosa. Dura è la polemica contro l’hegelismo e più in generale il razionalismo colpevoli di fomentare la rivoluzione sostenendo la superiorità del pensiero sull’essere. Così, sempre di più gli avvenimenti politici appaiono a Schelling frutto di impostura e di arbitrio e risultato delle assurde pretese della realizzazione dell’ideale, a dimostrazione del fatto che per lui acquista sempre maggiore forza l’idea cristiana di un mondo terreno condannato all’apocalisse.
Per quanto concerne le riflessioni sugli eventi legati alle rivoluzioni del 1848: Schelling approva in modo entusiasta la controrivoluzione in Germania che reprimendo duramente le forze rivoluzionarie pone fine al dominio di forme politiche straniere, dunque estranee allo spirito germanico, come il costituzionalismo. Se da una parte restano nette le critiche ai costituzionalisti e più in generale alle posizioni liberal-democratiche, Schelling sostiene invece gli aspetti nazionalisti che mirano a superare il frazionamento dell’impero tedesco. Anche in questo caso, però, la posizione di Schelling è per lo meno conservatrice dato che considera impensabile tale unità se non sotto la supervisione dell’Impero asburgico, tutore della restaurazione, e vede in essa un antidoto alla debolezza dei piccoli principati di fronte a quelle che continua a denunciare come “pretese” dei liberali, mantenendo una netta opposizione al costituzionalismo e allo stesso stato di diritto.
Così Schelling arriva a esaltare il colpo di stato di Luigi Bonaparte in Francia nel 1851, additandolo ad esempio a tutti i sostenitori dell’ordine costituito quale misura necessaria per bloccare sul nascere ogni fermento rivoluzionario. Del resto Schelling vorrebbe che il colpo di Stato fosse un mero mezzo necessario per la restaurazione completa della monarchia dinastica. In queste considerazioni si inserisce la polemica sempre più accesa contro il socialismo, di fronte al quale persino l’altrimenti disprezzata classe borghese è considerata da Schelling un alleato essenziale del partito dell’ordine costituito.
Note:
[1] Schelling – come del resto Kant, Fichte, e Hölderlin – aveva valutato positivamente persino l’annessione alla Francia rivoluzionaria dei territori tedeschi sulla riva sinistra del Reno, in quanto ciò avrebbe favorito in tali luoghi l’affermazione della legislazione ben più moderna dei francesi. Schelling, dunque, anche a Jena si mantiene fedele all’ideale rivoluzionario giovanile. Degni di nota sono alcuni passi di una lettera di Schelling che scrive in questo periodo al caro amico e collaboratore Hegel: “sarei deciso a stabilirmi da qualche parte, all’estero, per mio conto, e – se è possibile – a servire la buona causa con attività pubbliche” (Hegel, Epistolario I, Guida editori, Napoli 1983, p. 130). Schelling sembra riferirsi all’attività intellettuale svolta da ex compagni di studi nei territori tedeschi occupati o liberati, secondo il punto di vista, dai francesi. Del resto, a suo parere: “ciò che importa è che dei giovani, decisi a tutto osare e intraprendere, si uniscano per realizzare la stessa opera da diversi aspetti, giungendo al fine non per una, ma per distinte vie, ma soprattutto accordandosi ad agire in comune” (Ivi; p. 131).
[2] Le uniche prese di posizione di Schelling a favore del re “liberale” Luigi Filippo, che si era sottomesso alla Costituzione, sono destinate a difendere il suo moderatismo di contro agli attacchi che gli rivolgevano, per questo motivo, gli ambienti radicali.
[3] L’accusa rivolta dal tardo Schelling a Hegel, la cui filosofia non avrebbe fatto altro che applicare al materiale storico l’idea speculativa precedentemente elaborata da Schelling, deriva dalla tipica confusione tra l’in sé e l’in sé e per sé, tipica di chi, come Schelling, resta a un punto di vista metafisico e antistorico, quindi anticoncettuale. In questa prospettiva si potrebbe egualmente sostenere che lo stesso Schelling non avrebbe fatto altro che applicare il concetto desunto dall’idealismo soggettivo di Fichte e quest’ultimo si sarebbe limitato ad applicare il concetto della filosofia critica kantiana, finendo per ridurre tutta la filosofia alla vuota identità dell’essere, ovvero del pensiero, dell’astrazione operata già, agli albori della storia della filosofia, da Parmenide.