Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi
segue da “Il passaggio dal momento spirito al momento religione nella Fenomenologia”
La religione artistica
A parere di Hegel solo nella religione ellenica, lo spirito dell’umanità (nello specifico lo spirito etico della polis greca) arriva a conoscere se stesso nella sua rappresentazione maggiormente adeguata: l’antropomorfa. Tale religione è definita da Hegel “artistica” in quanto in essa l’elemento propriamente religioso è ancora fuso, in una unità indistinta e indissolubile, con la bella arte. Non a caso furono i poeti della Grecia arcaica Omero ed Esiodo che, con i grandi poemi l’Iliade e la Teogonia, hanno dato ai greci il loro Olimpo, riunendo le divinità adorate nelle diverse polis. Del resto, fa notare a ragione Hegel, la civiltà dell’antica Grecia non ha sentito il bisogno di realizzare un libro sacro vero e proprio cui consegnare le proprie credenze religiose, in quanto le opere di Omero ed Esiodo venivano insegnate nelle scuole ai fanciulli quali veri e propri testi sacri. Inoltre nei templi, a loro volta autentiche opere d’arte di eccezionale qualità come il Partenone, erano adorate come divinità le statue dei migliori scultori dell’antica Grecia, fra i più eccelsi della storia dell’umanità a partire da Fidia. Così la statua di Minerva, custodita nel sacrario del Partenone, non raffigurava la dea Atena, ma era per i fedeli greci la dea stessa. Così, a parere di Hegel, il limite della religione greca non era, come spesso a torto si crede, da rinvenire nel suo antropomorfismo, ma al contrario nel non aver portato a compimento il concetto della religione, ovvero il legame fra uomo e dio, unendo in modo compiuto nella sua concezione del divino l’individuale e l’universale. Del resto, il termine religione deriva etimologicamente dal latino religo che indica, appunto, proprio questo legame, il compimento del quale rappresenta, dunque, il fine della religione. Per cui la storia della religione è segnata proprio dal progressivo stringersi di tale legame sino al suo compimento nella religione cristiana in cui, infine, il dio si rivela uomo e la comunità degli uomini si scopre divina. Nel mondo dell’antica Grecia al contrario, pur raggiungendosi la più bella raffigurazione della divinità, quest’ultima resta una perfezione esteriore, priva ancora della reale individualità umana, una magnifica forma ancora priva di spirito. Non a caso le statue delle divinità proprio per raffigurare la perfezione corporea, esteriore dell’essere umano, non avevano come modello un singolo individuo, ma diversi, che avevano conseguito la perfezione del corpo umano in singoli e differenti particolari anatomici.
Perciò le divinità greche rimanevano, per quanto ancora oggi ammirevoli, prive di vita reale, proprio in quanto non avevano potuto realizzare anche a livello interiore, spirituale il principium individuationis. Del resto questo era anche il limite maggiore del mondo antico. Non si tratta, dunque, di un limite dell’autocomprensione da parte della religione artistica dello spirito della civiltà ellenica, ma di un limite proprio di quest’ultima, in quanto non era ancora riuscita a intendere il valore assoluto dell’individualità e riconosceva gli uomini soltanto in quanto cittadini di una poleis. Tanto che per un greco, come dimostra nel modo più emblematico la tragica morte di Socrate, la condanna all’esilio dalla comunità etica della propria polis, in cui soltanto l’individuo acquisiva senso e valore, era ritenuta più infamante della stessa condanna alla pena capitale. Alla base di tale limite della civiltà ellenica, vi era la contraddizione fondamentale del mondo greco che, pur arrivando a sviluppare la repubblica democratica, la fondava sulla riduzione in schiavitù della maggior parte della popolazione, dagli stranieri, alle donne, dai lavoratori manuali salariati, ai poveri non in grado di ripagare, altrimenti, i debiti contratti con i ricchi. Perciò sarà proprio il sorgere dell’individualità, che riscopre in se stessa il suo valore assoluto, il proprio dio, a segnare la crisi della civiltà ellenica che, non a caso, è anticipata da un’eccezionale opera d’arte come l’Antigone di Sofocle, per poi incarnarsi per la prima volta in Socrate, che non si rivolge più a divinità estranee, ma al demone che vive dentro di sé, ovvero alla propria autocoscienza. Ma lo stesso Socrate non ne è davvero consapevole, tanto da sacrificare a una divinità esterna prima di morire e, ancora da uomo greco, riconosce la superiorità delle leggi della propria polis, rispetto alla propria stessa vita individuale. Da qui il suo estremo sacrificio, fatto però non più da credente, ma sulla base di una considerazione di ordine morale, dunque soggettiva, che proprio con Socrate comincia ad affermarsi di contro all’oggettiva norma etica della polis, cui il cittadino immediatamente aderiva con il proprio cuore.
La religione rivelata
Dal sorgere di questa consapevolezza, che comincerà a sorgere negli ateniesi quando si accorgeranno di aver messo a morte con Socrate il migliore di tutti loro, nasce una fase di crescente scetticismo per cui gli intellettuali perdono la consonanza spirituale con il loro popolo e assumono posizioni sempre più scettiche rispetto alle concezioni tradizionali della religione. Si pensi ai sofisti accusati, per altro essenzialmente a ragione, dai conservatori di essere sostanzialmente atei. Accusa che colpirà, anche qui più a ragione che torto, sia Anassagora che Democrito. Socrate, come abbiamo visto, proprio per l’accusa di ateismo sarà condannato a morte. Mentre Platone non solo svilupperà la polemica già presente in Socrate contro i sacerdoti, ovvero gli intellettuali religiosi, ma criticherà nel modo più aspro l’educazione mitologico-religiosa destinata ai ragazzi, come delle pure illusioni da cui era necessario liberarsi. Abbiamo infine con Aristotele la decisa affermazione della visione scientifico-filosofica del mondo che ormai nel Liceo si sostituisce alla tradizionale visione mitologico-religiosa della tradizione. A questi valori laici e umanisti fu educato da Aristotele lo stesso Alessandro Magno, il quale però supererà quanto trasmessogli dal proprio grande maestro, ossia la prospettiva di sottomettere alla concezione razionale affermatasi nel mondo ellenico le visioni del mondo ancora “primitive”, religiose del mondo orientale. Alessandro, avendo fatta propria da subito la concezione razionale, la ampliò, non contrapponendola più a quella religiosa orientale, ma cercando di sintetizzarle al di sotto della superiore visione scientifica della realtà. In tal modo nel mondo ellenistico fu recuperata la tradizione del mondo orientale, rivisitandola a partire dalla concezione filosofico-scientifica elaborata dai greci. Così facendo, si supera la contrapposizione tra l’astratto agnosticismo scientifico-filosofico e l’immediata credenza, pre-razionale del fedele. Ciò consentiva anche di superare l’astratta contrapposizione fra greci e barbari, fra classi elevate dedite alle attività intellettuali e ceti subordinati e donne relegate ai lavori manuali e, perciò, più o meno ridotti in uno stadio di schiavitù.
Così dalla fusione della religione ebraica, massimo momento di sviluppo della visione del mondo religiosa delle civiltà orientali pre-elleniche e della concezione razionale e filosofica greca, nascerà con il cristianesimo la prima religione filosofica. Perciò Hegel considera il cristianesimo anche come l’ultima religione, il compimento della religione, la religione rivelata, ovvero disvelata, che ha risolto tutti i misteri, ovvero le carenze conoscitive delle precedenti concezioni della religione. Con il cristianesimo anche la religione diviene filosofica e sorge così la teologia, ossia la religione stessa diviene una branca della scienza.
Dunque, secondo il modo di vedere di Hegel, la religione rivela e disvela se stessa, il proprio in sé, il proprio concetto, realizzandolo nel cristianesimo. Nel cristianesimo la ricerca di tutta la religione precedente di un legame, di un rapporto sempre più stretto fra uomo e dio, fra universale e individuale raggiunge il suo compimento e con esso il compimento della storia della religione. Tale compimento consiste nello scoprire la perfetta identità fra la divinità e la comunità umana unita sulla base di un vincolo non più naturale, ma spirituale. In effetti nel cristianesimo non si rivela soltanto che il dio grande e terribile delle religioni orientali, lo stesso signore degli eserciti della religione ebraica, non è altro che un dio padre di ogni uomo, senza più distinzioni di “razza”, genere o classe, ma che dio stesso, per salvare, ovvero divinizzare gli uomini, si è fatto uomo, ha realizzato la sua astratta trascendenza nell’assoluta immanenza dell’individuo. Ma in quanto uomo particolare, questo dio per compiere la propria parabola e fondersi compiutamente con la comunità umana fondata sulla ragione, doveva ancora morire. Solo con la morte di dio si può superare quella astratta separazione fra uomo e dio, singolare e universale, che era la ragione di essere di tutte le religioni precedenti. Tale astratta separazione è infine tolta, l’uomo morto sulla Croce risorge come dio figlio e fratello di ogni uomo. Il dio che muore risorge, discendendo dall’astratto dei cieli, dal piano ancora astratto dell’universale, per incarnarsi nella comunità razionale costituita da singoli individui (nella Pentecoste). L’uomo muore invece come semplice animale e risorge in quanto parte della ragione universale, ovvero come spirito, res cogitans.
Il sapere assoluto
La conciliazione, dunque, al livello della religione può compiersi soltanto sul piano della rappresentazione della Pentecoste, non ancora nella sua sola forma adeguata, ovvero nella purezza del concetto. Perciò, solo superando dialetticamente la forma ancora rappresentativa della religione, nel sapere assoluto lo spirito si conosce nella sua vera forma, nella forma razionale della filosofia, che ha per contenuto in quanto totalità tutti i momenti precedenti, tutti necessari nel loro reciproco superarsi in quanto percorso obbligato al sapere assoluto. La verità è, dunque, tale sapere assoluto, più tutto il percorso che lo ha prodotto. Il risultato in quanto tale, non può che rovesciarsi nel suo opposto, divenendo al contempo il punto di partenza – in quanto infine conseguita unità di soggetto-oggetto, singolare e universale – del sistema filosofico della scienza, a partire dalla sua prima parte: la logica, che ha come fondamento proprio il Sapere assoluto quale compimento, che ricomprende in sé tutti i precedenti momenti della Fenomenologia dello spirito.
Continua nel numero 271 de La città futura, on line dal 22 febbraio.